Una vera e propria rivoluzione nei bar di Milano: stop ai buoni pasto con i ticket per la classica pausa pranzo. A indurre gli esercenti a bloccare questo metodo di pagamento molto utilizzato dai dipendenti per risparmiare sul cibo durante la pausa lavorativa, le commissioni fin troppo alte che gli stessi devono pagare. «Un meccanismo perverso — sono le parole di Bruno Marsico, proprietario di Globe, storico ristorante sui tetti di piazza Cinque Giornate, al Corriere della Sera —. Le società che emettono ticket ci chiedono percentuali sempre più alte. Io ho deciso di non cedere al ricatto e offro uno sconto del 7 per cento a chi non li usa. Possono tenerli per fare la spesa, ma così non conviene a nessuno». Da tempo i ticket per la pausa pranzo sono in crisi, ma ora sembrerebbe essere arrivato il colpo del definitivo ko.



Come riporta il quotidiano di via Solferino, negli ultimi anni le aziende che producono ticket hanno offerto sempre più sconti alle aziende ma in cambio hanno aumentato maggiormente le trattenute nei confronti dell’esercente che accetta appunto il buono pasto. «Così si perde il valore d’acquisto che finisce per danneggiare più di tutti il consumatore — spiega Carlo Squeri, direttore di Epam Milano —. Fino a una decina di anni fa lo sconto alle aziende non era esagerato ora si aggira tra il 10 e il 20 per cento. Davanti a questo storni il ristoratore o il barista è come avessero un socio occulto che gli mangia fino a un quinto del potenziale incasso. E ha solo due alternative. O alza il prezzo o abbassa il livello. Un danno economico per il ristoratore e uno di qualità per il cliente. Una sconfitta per tutti».



STOP AI BUONI PASTO A MILANO: “UN MECCANISMO IRREVERSIBILE”

Così si arriva a perdere fino al 70 per cento, derivante dalla trattenuta dell’esercente ma anche dal canone del pos, e un costo per ogni singola transazione. Inoltre, c’è da fare i conti con gli incassi che arrivano in ritardo, dai 30 giorni in su dopo l’effettiva transazione, e in questo momento di crisi post covid è ovvio che tale situazione non aiuta.

«Per evitare di perderci devo offrire un piatto che valga quello che è il reale incasso che prendo da chi paga col ticket — sono le parole di Giuseppe Gissi, gestore del Tre Marie di viale Piave —. È un meccanismo che subiamo in modo irreversibile: ci sono società come Pellegrini che chiedono solo il 7%, ma altre, come Sodexo o EdenRed che tra costi fissi e variabili prendono più del doppio. E il trend è quello. Nel nostro settore in questo momento tutti, dal governo in giù, stanno cercando di dare una mano perché il sistema riparta. Sarebbe il momento anche per le società che emettono buoni pasto di dare un segnale». Nel settore c’è richiesta di unità.