Semplificare i procedimenti e ridurre il peso della burocrazia è diventato l’obiettivo primario di tutte le forze politiche. Il nostro Presidente del Consiglio lo considera la madre di tutte le riforme. Lo ripete in tutte le occasioni compresa quella della presentazione del decreto rilancio che contiene al suo interno un centinaio di rinvii a provvedimenti attuativi. Destinati come tali ad allungare i tempi della loro realizzazione e a vanificare parte della loro efficacia economica.



Il burocrate italiano è diventato la rappresentazione del male assoluto. Colui che per ribadire le sue prerogative non esita a boicottare i buoni propositi dei governanti di turno, e a complicare la vita dei cittadini. Tenendo conto che a tale descrizione buona parte dell’opinione pubblica associa quella degli impiegati pubblici nullafacenti e dei furbetti del cartellino, il risultato è scontato. Se le cose vanno male è tutta colpa della burocrazia!



Nel mio vissuto professionale, per una parte significativa interno a diverse organizzazioni dello Stato, non mi sono fatto una grande opinione sulla qualità della Pubblica amministrazione. Ma ho anche maturato la convinzione che una buona parte delle criticità esistenti non siano addebitabili al ruolo svolto dai funzionari pubblici, bensì alle conseguenze operative delle derive giustizialiste che hanno connotato gli orientamenti della maggioranza delle forze politiche italiane dagli anni ’90 a questa parte, e che hanno falsato il corretto rapporto tra le istituzioni e i cittadini.

Dagli anni di Tangentopoli ai giorni odierni, tutti gli interventi riformatori dei procedimenti di affidamento degli appalti e delle forniture delle pubbliche amministrazioni, con riflessi a cascata anche sulle pratiche che riguardano i singoli cittadini, sono stati incardinati sul presupposto che le imprese che partecipano alle gare, e i funzionari che gestiscono delle procedure pubbliche, possano essere dei potenziali delinquenti in combutta tra loro per aggirare le regole dell’amministrazione.



Questa deriva ha prodotto 4 conseguenze visibili:

– la proliferazione degli atti rivolti a rafforzare gli accertamenti preventivi dei requisiti soggettivi dei concorrenti e dei beneficiari dei provvedimenti, e delle modalità di controllo interno, anche della Corte dei conti, sulla corretta attuazione degli adempimenti stessi;

– un rilevante spostamento delle risorse umane delle amministrazioni verso gli apparati dedicati al controllo degli adempimenti, a discapito di quelli operativi, privilegiando le professionalità con formazione giuridica, e l’utilizzo di magistrati, rispetto a quelle tecnico progettuali e per la valutazione economica dei risultati;

– l’assunzione di comportamenti prudenziali da parte delle dirigenze delle amministrazioni chiamate a rendere operative le scelte di spesa, per cercare di ridurre il rischio di contestazioni e di potenziali danni erariali per i reati di abuso di ufficio;

– la diffusione di comportamenti opportunistici da parte dei partecipanti alle gare, rivolti a utilizzare le complicazioni procedurali per attivare contenziosi, e alzare il proprio potere contrattuale nei confronti dell’amministrazione e dei concorrenti.

Tutto questo ha ridotto i livelli di corruzione? A detta degli stessi organi di coordinamento e di rappresentanza della magistratura sembrerebbe di no. Forse per un riflesso condizionato, dato che l’obiettivo di contrastare la corruzione è diventato una fonte di potere e di incarichi. In effetti sono aumentate le indagini e i rinvii a giudizio, concentrati soprattutto sul reato dell’abuso di ufficio. Sfociati nella stragrande maggioranza dei casi in proscioglimenti o in assoluzioni degli imputati. Mentre all’opposto sono praticamente inesistenti le procedure attivate verso i funzionari responsabili di aver ritardato l’attuazione dei provvedimenti di spesa. Un fatto assai curioso nel Paese perennemente esposto al rischio di dover restituire le risorse non utilizzate dei fondi europei.

Altrettanto indicativo che nel frattempo due innovazioni introdotte per semplificare i procedimenti amministrativi e migliorare la qualità dei servizi, come l’obbligo delle amministrazioni di richiedere ulteriormente ai cittadini le informazioni già in possesso delle amministrazioni, e per coinvolgere gli utenti nella valutazione dei servizi, siano state scientemente ignorate.

La creazione dell’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione con la nomina di un famoso magistrato alla guida, è l’ultimo prodotto di questa cultura politica. Non a caso attivata in coincidenza del varo del nuovo Codice degli appalti, ha rappresentato la sublimazione di questo modo di intendere il ruolo dell’amministrazione.

Ho avuto l’opportunità, per motivi professionali, di verificarne gli effetti presso il più importante ente statale erogatore di prestazioni. Enormi perdite di tempo per trasferire ai funzionari dell’Anac informazioni finalizzate a far comprendere loro la natura degli affidamenti, con l’esito finale di prorogare i servizi appaltati ai precedenti fornitori e di ritardare l’aggiornamento dei sistemi informativi. Cos’abbia comportato la deriva giustizialista, l’anomalo intreccio che si è consolidato nel tempo tra la politica e le correnti della magistratura, e l’uso della giustizia per la finalità di distruggere la reputazione degli avversari politici, emerge con tutta evidenza nelle vicende che hanno coinvolto il Procuratore Palamara.

Il tema viene accuratamente aggirato dall’attuale classe dirigente politica, che preferisce rifugiarsi in una comunicazione politica che annuncia i risultati prima di averli ottenuti, salvo attribuire le responsabilità dei fallimenti all’ottusità dei burocrati. Un esercizio dall’esito scontato dato che gli apparati amministrativi sono quelli direttamente esposti al giudizio degli utilizzatori. Ma nei provvedimenti recenti, i ritardi dovuti alla mancata erogazione dei prestiti alle imprese sono essenzialmente dovuti alla scelta politica di non introdurre la manleva per i funzionari delle banche per l’erogazione dei prestiti alle imprese in sofferenza. Figlia della cultura che abbiamo precedentemente stigmatizzato. Quelli sull’erogazione dei sostegni al reddito sono il frutto della decisione governativa di disperdere le risorse su una miriade di interventi, che hanno semi-collassato l’istituto di previdenza nazionale.

Del resto nell’attuale maggioranza di governo si annidano le principali forze che hanno cavalcato la deriva giustizialista beneficiandone in termini di rendita politica.

Per attivare una semplificazione dei procedimenti amministrativi è necessario ribaltare radicalmente la filosofia che ha ispirato le riforme degli anni trascorsi, nell’ottica di una valorizzazione dei risultati economici dell’operato dei dirigenti e dei funzionari pubblici, del potenziamento delle risorse umane dedicate a questo scopo, del coinvolgimento degli utenti nella valutazione dei servizi. Assai difficile che questo cambio di passo possa avvenire con l’attuale Governo.