“Non pagate dividendi fino alla fine della pandemia, tenete da parte quei soldi per assorbire le perdite e sostenere i prestiti”.  L’appello e l’iniziativa della Bce di venerdì 27 marzo di non pagare dividendi almeno sino al mese di ottobre 2020 è senza precedenti, anche se è solo una raccomandazione, poiché non può vietare d’imperio a una società di distribuire gli utili ai suoi azionisti. La Vigilanza europea ha quantificato in 30 miliardi il capitale aggiuntivo che rimarrebbe nel sistema bancario dell’Eurozona per questa via, mentre in Italia, secondo stime, se tutte le banche bloccassero la distribuzione degli utili si libererebbero quest’anno 5,8 miliardi di capitale.



Così la Bce, dopo aver annunciato “interventi illimitati sul mercato per sostenere le economie”, ha raccomandato di congelare il pagamento dei dividendi del 2019 e del 2020, oltre a fermare ogni buyback. E la Vigilanza Bce l’ha messo per iscritto agli Ad. Tutto ciò almeno fino a ottobre 2020, quando la congiuntura negativa potrà essere nuovamente valutata. 



A macchia di leopardo sono seguite anche le decisioni sulla parte variabile delle retribuzioni dei manager, che, come ricorda Bankitalia, può avere anch’essa “un impatto significativo sulla base patrimoniale”. Messina, Ad di Intesa, e i suoi donano 6 milioni dei loro bonus a iniziative sanitarie, Mustier e il management devolvono l’intero bonus alla Fondazione di UniCredit per “iniziative sociali”. Sembra quasi una gara fra banchieri a chi dà di più, ma non inganni la cosa. Bonus che, a volte, sono futuri, che dovrebbero maturare (se saranno ottenuti, cosa alquanto dubbia nel 2020) e andare poi in beneficienza.



Gli istituti italiani via via si stanno adeguando all’appello: da Unicredit a Intesa i gruppi più grandi, i Cda hanno già deciso di sospendere o rinviare le proposte in tema di remunerazione dei soci. UniCredit è stata la prima a farlo: domenica 29 marzo, un CdA straordinario ha deciso di rinviare le delibere sul dividendo dell’esercizio 2019 e sul riacquisto di azioni proprie previste per l’assemblea del prossimo 9 aprile. Il Consiglio si è riservato di convocare una nuova assemblea per ripresentare le proposte ritirate, ma solo dopo il primo ottobre 2020 – data limite indicata da Francoforte – o in caso di nuove indicazioni della Bce. Inoltre, il gruppo non accantonerà nessun dividendo nel 2020. Alle Fondazioni azioniste, al posto dei dividendi, sono stati offerti “finanziamenti dedicati a condizioni favorevoli” a costo zero, senza interessi fino a un valore pari all’ammontare dei dividendi, per continuare a svolgere il loro ruolo fondamentale sui territori in cui operano.

Anche Banca Mediolanum, Banca Generali, Ubi Banca, Bper hanno disposto lo stop ai dividendi sugli utili dello scorso anno, e altre banche si allineeranno alla raccomandazione della Bce.

La decisone delle banche si colloca in un mercato azionario giù in picchiata alla chiusura di un primo trimestre che è risultato il peggiore dal 1998, con Piazza Affari giù del 27,5% e un indice di volatilità Vix vicino a quello del 2008. E il mercato non poteva che rispondere negativamente a questa decisione visto che, dopo la bufera che ha investito i listini, le cedole erano un salvagente sul quale gli azionisti, soprattutto i piccoli, contavano come ogni anno, sottraendo loro reddito. E si interrogano sul perché della scelta di tutte queste banche, comprese quelle con una redditività e un patrimonio robusto. A cosa sono serviti altrimenti gli stress test, le ricapitalizzazioni e le cessioni di miliardi di Npl, se non a preparare le banche a una situazione emergenziale?

Cosa succede nel resto d’Europa? Anche qui, diversi istituti di credito hanno già annunciato lo stop ai pagamenti dei dividendi. Le banche pubbliche tedesche vanno avanti però per la loro strada, alcuni colossi non in buona salute hanno conti squilibrati e non tira aria di cedole, mentre Commerzbank si adegua all’Eurotower. Nella patria del rigore alla Banca centrale, Landesbanken e Sparkasse invece pagheranno regolarmente il dividendo. Più tesa la situazione in Francia, dove al momento sono ancora all’ordine del giorno il versamento di cedole sia alla Bnp Paribas che alla Société Générale. In Spagna Santander posticipa la cedola, Bbva per ora non si è espressa. In Olanda sono Ing, Rabobank e Abn Amro a bloccare i dividendi. Il colosso elvetico Ubs ha confermato invece il versamento del dividendo a titolo dell’esercizio 2019.

Per molti analisti, questa “mossa senza precedenti della Bce”, anche se “in parte scontata”, “non è una sospensione dei dividendi, ma una cancellazione tout court che rende quasi impossibile pagare nel 2020”. È noto poi che le raccomandazioni della Bce non sono semplici inviti, ma quasi sempre equivalgono a ordini. Nel 2021 la distribuzione di dividendi dipenderà dalla capacità di generare utile sul 2020, ma sono poche le banche in grado di ripristinare più rapidamente la “dividend policy”.

L’onda lunga non si ferma però alle banche: è arrivata anche alle assicurazioni, visto che l’Ivass con una lettera inviata a tutte le compagnie vigilate raccomanda “estrema prudenza”, oltre ad accendere un faro sui bonus al management. È perciò probabile anche qui che assisteremo a una serie di congelamenti.

Fin qui la situazione a oggi a livello europeo, ma comunque diversa e disaggregata: non esiste una visione e una politica univoca e tutto ciò non sorprende. La Bce fa fatica a svolgere appieno la missione che le è stata affidata in una visione più ampia del futuro.

Anche il caso dei dividendi conferma e fa parte di una politica di comunicazione, di un modo di fare più complessivo inidoneo rispetto alle attese, che suscita reazioni preoccupate e negative dei mercati, se si confronta questo atteggiamento a quello incisivo del 2012 (il whatever it takes europeo). Servono misure quantitative e qualitative all’altezza di questa drammatica situazione, il costo totale addossato alla popolazione comunitaria sarà sempre più elevato e questo contrasta con la missione della Bce.

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