“Un po’ me lo aspettavo” ha detto ieri la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Resta il fatto che lo stop simultaneo di Berlino e Parigi al “meccanismo volontario di solidarietà”, mentre a Lampedusa alle 23 di ieri sera c’erano 6.762 immigrati, è una vera doccia gelida per il Governo italiano. Germania e Francia hanno chiuso le porte ai migranti accolti sulla base di accordi politici adottati nello spirito di una mediazione europea a supporto dell’Italia, sotto pressione per l’afflusso record dalla rotta tunisina.
Nella lettera di Berlino, contestuale all’annuncio di Parigi di blindare la frontiera di Ventimiglia, si farebbe riferimento al rifiuto dell’Italia di riprendersi i cosiddetti “dublinati”, i migranti in viaggio verso destinazioni europee (i “movimenti secondari”) la cui richiesta di asilo dovrebbe essere presa in carico dal Paese di primo approdo (l’Italia appunto).
Il Governo Meloni già a fine 2022 aveva a suo tempo comunicato che non avrebbe ripreso i “dublinati” perché i numeri dei migranti nel frattempo accolti dai Paesi partner erano nettamente inferiori a quelli concordati. Il patto risale al governo Draghi, che aveva convenuto il ricollocamento in Europa di 10mila migranti l’anno.
Lo schema di Dublino, che tutti i governi reputano inadeguato, non viene però modificato di una virgola, perché nei momenti di crisi migratoria si presta perfettamente a scaricare sugli Stati di primo approdo l’onere dell’accoglienza.
Il commento di Mauro Indelicato, giornalista de Il Giornale e di InsideOver esperto di esteri e tematiche migratorie.
La decisione di Francia e Germania era stata annunciata a fine agosto. Possono dire stop ai migranti provenienti dall’Italia senza battere ciglio?
Sì. Proprio perché il meccanismo è strutturato su base volontaria, non hanno alcun obbligo specifico sull’accoglienza. Per cui, Parigi e Berlino hanno potuto volontariamente interrompere ogni attività volta a farsi carico di parte dei migranti sbarcati in Italia.
Tale meccanismo stabiliva delle quote, 3mila per Berlino e 3.500 per Parigi. Stabilite dove e da chi? Dobbiamo risalire al Consiglio Ue del mancato accordo con Ungheria e Polonia?
Non solo a quel Consiglio di giugno, ma anche ad altri accordi presi singolarmente tra le parti. Si può parlare di un “pacchetto” di accordi con cui Francia e Germania si facevano carico delle quote accennate. Ma, per l’appunto, solo su base volontaria.
Il meccanismo che prevedeva un esborso in denaro per ogni migrante non accolto è rimasto lettera morta? E il trasferimento verso i “Paesi terzi sicuri” concordato e ottenuto da Roma l’8 giugno scorso?
Nessuna evoluzione in tal senso. La presidenza di turno spagnola dell’Ue sta lavorando all’approfondimento del documento proposto nei mesi scorsi, ma probabilmente tutto sarà rinviato al successivo semestre di presidenza.
Berlino e Parigi hanno anche detto che la solidarietà volontaria riprenderà nel momento in cui ci saranno trasferimenti di migranti verso l’Italia sulla base di quanto prevede il regolamento di Dublino. Perché abbiamo detto di no a quei trasferimenti di ritorno?
I “dublinati” sono coloro che non presentano domande nel Paese di primo approdo, come invece previsto per l’appunto dal regolamento di Dublino e che danno luogo ai cosiddetti “movimenti secondari”. L’Italia, dovendo affrontare una massiccia ondata di sbarchi negli ultimi mesi, ha temporaneamente cessato ogni trasferimento di ritorno. Da qui la scelta praticamente in simultanea di Parigi e Berlino.
Le domande dei richiedenti asilo relative al 2022 (fonte: Corriere della Sera) parlano chiaro: 116mila istanze rivolte a Berlino, 83mila a Parigi, 43mila a Roma. Siamo un Paese di transito. Non è colpa nostra se la destinazione richiesta non siamo noi. Dove sta il bug del sistema?
Quando si parla di redistribuzione occorre sempre specificare che non si fa riferimento ai migranti sbarcati autonomamente a Lampedusa, se non in casi davvero minoritari. Al contrario, l’attenzione è puntata su quei migranti che hanno regolarmente presentato domanda di asilo oppure hanno raggiunto le coste dell’Ue tramite navi militari o navi di soccorso. Per cui, quando si accenna alla redistribuzione, paradossalmente l’Italia rischia di avere più redistribuiti che migranti in partenza verso altro Paesi.
Servirebbe una frontiera esterna più “impermeabile”?
Le nostre frontiere meridionali sono marittime e quindi, sotto il profilo prettamente tecnico, non possono essere impermeabili. Il blocco navale, paventato in molte occasioni, non è possibile realizzarlo. Dunque il problema è politico: o si risolve a monte, parlando in modo più approfondito con i Paesi di partenza e lottando contro i trafficanti, oppure lo scenario sarà sempre esattamente uguale a quello visto fino a oggi.
Quanto pesano le prossime europee nella decisione di Francia e Germania?
Molto. Perché i rispettivi governi sono in difficoltà e stanno affrontando situazioni economiche molto precarie. Dunque mostrare la linea dura sul problema immigrazione potrebbe essere una carta da giocare.
È vero che a Bruxelles c’è chi non vuole l’accordo tra Italia e Tunisia?
Sì, molti Paesi del Nord non vedono di buon occhio accordi con Paesi della sponda Sud del Mediterraneo. Però è ancora presto per dire se la loro azione politica contro le intese avrà o meno successo.
Per essere più espliciti: qualcuno cerca il fallimento del governo italiano nel controllo della frontiera esterna europea?
Non sarebbe una novità: si cerca di tirare acqua dentro il proprio mulino, in Europa ha sempre funzionato in questa maniera.
Adesso quali carte ha in mano il Governo Meloni da giocare? Possiamo fare solo redistribuzione interna?
L’esecutivo deve il più possibile evitare di far pesare il massiccio arrivo di migranti su determinate aree del Sud, non solo a Lampedusa. Quindi si procederà verso una redistribuzione interna quanto più possibile omogenea. Meloni punta molto sugli accordi presi in Tunisia e Libia, ma è ben consapevole che si tratta di intese che potranno far sentire i propri effetti nel lungo periodo.
A tuo avviso, il terremoto in Marocco e la catastrofe in Libia alimenteranno i flussi?
Paradossalmente no. È un po’ la stessa situazione osservata durante l’assalto di Haftar contro Tripoli: se le zone della costa sono preda di guerre o di calamità, non ci sono gli spazi logistici necessari per far partire i migranti. C’è però da dire che i flussi dal Marocco e dall’est della Libia sono di portata inferiore rispetto a quelli della rotta tunisina, la quale sta dando più grattacapi. Quindi probabilmente cambierà poco.
Intanto a Lampedusa l’hotspot è al collasso e assistiamo alle cariche di alleggerimento della polizia. Che cosa prevedi per quanto riguarda la gestione sul breve termine?
La situazione è molto tesa, ma dal punto di vista dell’ordine pubblico le forze dell’ordine sull’isola hanno fronteggiato situazioni peggiori durante gli sbarchi causati dalla primavera araba del 2011. Quindi credo che le forze impegnate a Lampedusa sapranno gestire il contesto che si è venuto a creare, per quanto drammatico.
(Federico Ferraù)
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