Schlein e  confusamente  il Pd con lo strascico dei pentastellati  chiedono brutalmente al Governo Meloni un cambio di rotta: un passo avanti sul salario minimo, un passo indietro sul Reddito di cittadinanza e il denominatore comune è sempre la povertà sventolata con argomentazioni  in verità un tantino strumentali. Un’opposizione che afferma che nel metodo e nel merito i due provvedimenti buttano il Paese in un disastro economico   non fa i conti con la realtà.



I dati Istat certificano che, nonostante i 25 miliardi del Reddito di cittadinanza nel 2022, poco meno di un quarto della popolazione (24,4%) è a rischio di povertà o esclusione sociale, quasi come nel 2021 (25,2%). Tuttavia, con la ripresa dell’economia, si riduce significativamente la popolazione in condizione di grave deprivazione materiale e sociale (4,5% rispetto al 5,9% del 2021) e rimane stabile la popolazione a rischio di povertà (20,1%). Dunque, la verità è che le risorse spese per il Rdc hanno aggravato semmai il nostro debito pubblico, secondo quanto comunicato dalla Banca d’Italia alla fine  di maggio salito a circa 2.817 miliardi di euro rispetto ai 2.812 miliardi di inizio mese. L’incremento mensile è stato di circa 5 miliardi di euro e vero è che è dal gennaio 2023 che è previsto l’avvio della riforma del Rdc e, dunque, sia i patronati che i Comuni hanno avvisato i percettori che la verifica dei criteri di assegnazione sarebbe stata modificata dalla ultima  Legge di bilancio. Ancora vero è che la stretta  decisa dal Governo  unita al rafforzamento dei controlli ha già  ottenuto un primo effetto: le famiglie beneficiarie del sussidio sono in calo.



L’obiettivo era quello di contrastare la povertà, di aiutare i più svantaggiati, coloro che più degli altri hanno bisogno dell’intervento pubblico, promuovendo il diritto all’occupazione. Ma l’obiettivo è fallito e il Governo Meloni – per fare in modo che l’occupazione diventi veramente un’assicurazione contro la povertà – cerca di agire sulle condizioni del mercato del lavoro, ossia contrastare non solo la povertà da disoccupazione, ma anche quella da lavoro non sufficientemente remunerato, contrastando il lavoro nero e ragionando su un salario minimo che la contrattazione può garantire.



Anziani e disabili sono garantiti in questo processo riformatore (e dunque non lasciati soli e non privati di sostegno): c’è un impegno concreto sul versante formativo e dell’incontro domanda/ offerta di lavoro  tenendo conto  che però bisogna affrontare il problema della povertà in tutte le sue sfaccettature (la povertà dei senza lavoro, la povertà nel lavoro, la povertà minorile) con gli strumenti più appropriati alle varie forme. Su questo il Governo deve dimostrare che si sta organizzando finalmente  a operare  con un concreto coordinamento  interministeriale per l’utilizzo razionale di tutte le risorse a disposizione  sia livello nazionale che europeo, senza sprechi. Un’opposizione che sa fare il suo mestiere non si occupa delle parziali buste paghe  dei parlamentari, non si limita ad aizzare le folle annunciando nel torrido agosto il disastro sociale, ma affronta il  periodo post-feriale preoccupandosi della ripresa (Nadef) cioè  dell’aggiornamento delle previsioni economiche e di finanza pubblica del Documento di economia e finanza (Def) approvato ad aprile, rivedendo quindi le stime fatte nella prima metà dell’anno alla luce dei cambiamenti nello scenario nazionale e internazionale.

Abbiamo bisogno di un processo riformatore che si sviluppi sulla base delle sfide che il Pnrr  ci pone in un contesto economico complicato da un’inflazione maligna, un sistema bancario indebolito e uno imprenditoriale da sostenere, un vincolo debitorio da onorare  e il confronto con le proposte con tutte le parti sociali  e internazionali  mette alla prova  tutto il nostro Paese nelle scelte più coraggiose. Questo s’ha da fare.

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