Il fuoco cova sotto la brace. Com’era ampiamente prevedibile, la prima scadenza della cessazione del Reddito di cittadinanza, quella prevista per il 31 luglio 2023 per i nuclei composti esclusivamente da persone in età tra i 18 e i 59 anni attivabili al lavoro, è diventata l’occasione per rinfocolare le polemiche e per mobilitare il malcontento dei beneficiari privati dell’assegno pubblico. Il numero dei nuclei familiari e delle persone potenzialmente interessate risulta largamente ridimensionato rispetto alle previsioni iniziali, circa 170 mila rispetto alle oltre 400 mila originariamente stimate.



A ridimensionare l’impatto hanno concorso più fattori: il consistente ridimensionamento del numero dei beneficiari del Rdc che è in corso da oltre 18 mesi per effetto della ripresa economica e occupazionale; il rafforzamento del sistema dei controlli preventivi sulla congruità dei requisiti dei richiedenti; una serie di innovazioni introdotte nel decreto legge di riforma del Rdc che consentono di proseguire la prestazione fino al 31 dicembre 2023 (nel caso di presa in carico da parte dei servizi sociali per programmi di recupero per problematiche primo sociali di varia natura entro il 31 ottobre p.v.). Dal 1 gennaio 2024, tutte le prestazioni in corso che saranno sostituite dal nuovo Assegno di inclusione (Adi) che si aggiungerà al Sostegno per la formazione e il lavoro (Sfl) che entrerà in vigore dal 1° settembre p.v.



Quest’ultima misura prevede l’erogazione di 350 euro mensili alla condizione di una partecipazione attiva dei percettori alle misure di politica attiva del lavoro, se coerente con il mantenimento dei requisiti di reddito Isee dei richiedenti, e risulta disponibile per coloro che sono in uscita dal Rdc a partire dal 1° di agosto inoltrando all’Inps una specifica domanda. Per gli ex beneficiari del Rdc viene anche previsto il proseguo del progetto personalizzato per l’inserimento lavorativo già sottoscritto pressi i servizi per l’impiego pubblici durante la vigenza del Rdc, per consentire l’immediata decorrenza della nuova indennità a partire dal 1° settembre p.v.



La comunicazione inviata dall’Inps tramite SMS a tutti coloro che per l’età, e per i requisiti del nucleo (presenza di minori, disabili, anziani over 60, persone con patologie psicofisiche), rientrano nella scadenza del 31 luglio, ha suscitato polemiche largamente prevedibili. L’erogazione dei sussidi nel corso dei 4 anni di vigenza del Rdc è stata per la gran parte gestita in assenza delle condizionalità, la presa in carico da parte dei servizi comunali e dei Centri per l’impiego, che pure erano previste nel provvedimento. Per fare un esempio, i vincoli per l’accettazione delle offerte di lavoro consentivano la possibilità da parte dei percettori di rifiutare due proposte per rapporti a tempo indeterminato prima di essere sanzionati con la perdita del sussidio.

Il cambiamento imposto dalla nuova misura riservata a tutte le persone in età tra 18 e i 59 anni concretamente attivabili al lavoro, ivi comprese quelle appartenenti ai nuclei familiari che beneficeranno dell’Adi dal 1° gennaio del 2024, è radicale. Perché impone una partecipazione attiva alle misure di orientamento, di formazione, di inserimento lavorativo. A partire dal vincolo di accettare tutte le offerte di lavoro ragionevolmente disponibili.

Sulla carta l’innovazione non presenta affatto una riduzione delle prestazioni a favore dei disoccupati poveri. L’indennità di 350 euro mensili in cifra fissa risulta superiore alla media delle integrazioni erogate con il criterio delle scale di equivalenza del Rdc. È utilizzabile da più di una persona appartenente al medesimo nucleo e da quelle in età di lavoro appartenenti ai nuclei che beneficeranno dell’Adi. È cumulabile con i redditi da lavoro fino a 3 mila euro l’anno aggiuntivi. Si sospende in via provvisoria se si accettano offerte di lavoro a termine da 1 a 6 mesi, e rimane disponibile per il tempo e per gli importi rimanenti in assenza di nuove opportunità di lavoro.

L’impianto giuridico formale sembra solido, ma deve fare i conti con gli aspetti sostanziali delle politiche per il lavoro: la partecipazione attiva delle persone interessate e la capacità dei servizi per il lavoro di gestire le misure finalizzate all’inserimento lavorativo. Che non sembrano particolarmente eccelse, soprattutto nelle aree del Mezzogiorno dove si concentra la gran parte delle persone interessate e le prese in carico effettive da parte dei percettori da parte dei servizi per l’impiego risultano inferiori alla metà delle persone attivabili al lavoro.

Inevitabilmente si devono fare i conti anche con le criticità che sono implicite nelle politiche di natura assistenziale. In particolare, la gestione approssimativa del Rdc nella selezione dei richiedenti e la carenza dei controlli soprattutto nei primi anni di gestazione. L’avvio del Rdc per motivi elettorali è avvenuto con modalità di gestione improvvisate. I due anni dell’emergenza Covid, caratterizzati da volumi di erogazione dei sussidi statali che non avevano precedenti, per quanto comprensibili hanno messo in soffitta qualsiasi ipotesi di condizionare i comportamenti dei beneficiari.

La storia insegna che quando si incrementa la spesa assistenziale diventa difficile invertire la rotta. È la quantità dei beneficiari a condizionare i comportamenti delle forze politiche assai più dell’equità e della efficacia degli interventi.

Sul versante politico la riforma del Rdc coincide con la radicalizzazione delle polemiche tra i sostenitori delle misure assistenziali, e degli interventi statali nella direzione dei sostegni ai redditi e ai salari di varia natura, contrapposti a coloro che evidenziano l’esigenza di premiare la ricerca attiva del lavoro e di incentivare prioritariamente le iniziative rivolte a favorire l’inserimento lavorativo.

La rappresentazione delle divergenze appare semplificata, se non fosse che nel nostro mercato del lavoro il tema principale che dobbiamo affrontare per i prossimi anni sarà la carenza di un’offerta di lavoro disponibile per soddisfare fabbisogni crescenti per ogni tipologia di qualificazione professionale. Quanto è compatibile questa priorità con l’erogazione di sostegni al reddito pubblici per motivi di carenza di lavoro che coinvolgono in via ordinaria più di 3 milioni di disoccupati rispetto ai 15 milioni di lavoratori impiegati nei settori economici privati? Se si vogliono impostare delle politiche del lavoro degne di questo nome la risposta al quesito è semplicemente dovuta.

Sulle politiche del lavoro, con il corollario di quelle rivolte a contrastare la povertà, ci attende una seconda parte dell’anno complicata dai ritardi degli approcci culturali sul mercato del lavoro, dagli effetti dell’inflazione sui redditi delle famiglie e da una congiuntura economica destinata ad aggravare le criticità.

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