Il portavoce della Commissione europea ieri ha dichiarato che entro la fine dell’anno non sarà più possibile importare gas russo dai gasdotti che transitano dall’Ucraina. L’Italia, insieme ad altri Paesi europei, verrà coinvolta da questa decisione perché la Commissione non ha intenzione di rinnovare l’accordo trilaterale che oggi consente il passaggio dall’Ucraina. Sempre ieri i dati diffusi da Snam indicavano che solo il 2% delle importazioni di gas in Italia sono arrivate dalla Russia. Si potrebbe concludere che, dopo più di due anni dall’inizio della guerra e tre anni dallo scoppio della crisi energetica europea, iniziata nella primavera 2021, l’Europa e l’Italia abbiano vinto la sfida della sostituzione del principale fornitore di gas.
La sfida è stata facilitata da due inverni consecutivi eccezionalmente miti. Nei primi mesi dell’inverno 2022/2023 le ipotesi di imposizioni di blackout, in Germania e in Italia, si affacciavano sui principali quotidiani europei e sono poi tramontate anche grazie a temperature molto meno rigide della media.
In questi anni molte cose sono cambiate, oltre alla sostituzione delle importazioni russe. Ci sono almeno due novità che meritano di essere menzionate. Nel 2019 il prezzo medio dell’elettricità in Italia è stato di 52 euro al megawattora, sostanzialmente in linea con i 15 anni precedenti. Nel 2023 è stato di 123 euro al megawattora e dall’inizio del 2024, dopo due inverni molto miti, la media è 91 euro a megawattora. I prezzi dell’elettricità in Italia oscillano tra le due e le due volte e mezza quelli antecedenti alla crisi. Questi incrementi probabilmente non hanno grandi impatti sulla maggioranza delle famiglie, ma pesano sul sistema industriale. Il successo nella sfida della dipendenza dalla Russia è passato anche da chiusure di impianti e fabbriche nei settori che più consumavano gas. Nel 2022, per esempio, l’Europa ha perso un quarto della produzione chimica; cali superiori al 10% si sono registrati nel settore del ferro e dell’acciaio, della carta, dei prodotti in legno e in altri settori. Questi sono cali da “recessione” o peggio.
Per i prossimi anni la grande speranza dell’Italia, in termini di produzione rinnovabile, è legata allo sviluppo del fotovoltaico sui tetti che potrebbe dare un aiuto nei mesi con più sole e più ore di luce. In questo caso occorre sperare che non piova troppo in questi mesi e che continuino ad arrivare i pannelli solari cinesi che oggi “fanno” il 90% del mercato; all’Europa servirebbero anni per sostituire un’eventuale interruzione delle importazioni di Pechino. Per l’energia in eccesso che si potrebbe avere in alcune ore della giornata bisogna inventarsi da zero o quasi un nuovo settore a costi colossali. Oggi, per fare un esempio, alimentare un motore a idrogeno verde, “Made in Italy”, non costerebbe meno di tre volte della benzina o del diesel.
La seconda questione è la sicurezza energetica. Oggi l’Italia ha meno fornitori di prima e più lontani. La maggior parte delle importazioni russe sono state sostituite dall’Algeria, da cui l’Italia importa quasi il 40% del suo gas, dagli Stati Uniti e dal Qatar via nave. Il Qatar è dall’altra parte del canale di Suez e gli Stati Uniti sono ben disposti a esportare il loro gas solo nella misura in cui non rischiano di esporre i prezzi interni a quelli di un’eventuale nuova crisi del gas europea. Al culmine della crisi energetica europea, nell’autunno 2021, si discuteva di un possibile blocco delle esportazioni dell’Amministrazione Biden. Per gli Stati Uniti la priorità è la reindustrializzazione e questa richiede, come condizione necessaria, prezzi del gas e dell’elettricità bassi.
L’Italia non ha vinto la sfida dei prezzi e non ne è stata schiacciata anche grazie al crollo della produzione industriale europea. In un’ottica di sicurezza energetica la situazione italiana appare fragile, sia dal punto di vista geopolitico che commerciale, vista la possibile evoluzione dei rapporti con la Cina.
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