L’Unione Europea eliminerà i motori a combustione interna entro il 2035, una decisione che mette in difficoltà il settore automotive dell’Italia. Nel mese di dicembre, il Ministro dei Trasporti Matteo Salvini aveva affermato che questo obiettivo “non ha senso dal punto di vista economico, ambientale e sociale”, così come il nuovo standard Euro 7. Come riporta il quotidiano francese L’Opinion, nel mese di aprile 2020 Daimler, Volkswagen e BMW avevano domandato un incontro ad Angela Merkel per chiedere un coordinamento europeo per consentire la riapertura degli impianti industriali, in particolare di quelli italiani, così strategici per le tre principali case automobilistiche tedesche.



Il settore dei ricambi per auto in Italia è infatti un’eccellenza, che vede protagoniste 2.200 aziende con oltre 168.000 dipendenti e un fatturato pari a 54,3 miliardi di euro. Un settore che allo stesso tempo ha segnato una flessione nelle immatricolazioni (-9,7% nel 2022) e che potrebbe subire un ulteriore contraccolpo in seguito alla decisione dell’Unione Europea di porre fine alla vendita di veicoli con motori a combustione interna entro il 2035.



Addio dell’Unione Europea ai motori a combustione interna: “rinnovare intero settore italiano”

Stop dell’Unione Europea ai motori a combustione interna, il quotidiano L’Opinion ha interpellato sull’argomento Gianmarco Giorda, direttore generale dell’Anfia, l’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica, secondo cui “chi produce freni o porte continuerà a farlo, ma per alcuni non sarà facile reinventarsi”. Il quotidiano spiega che il processo di conversione delle aziende del settore automotive e ricambi d’auto sarà costosa, coinvolgendo un ambiente formato principalmente da imprese familiari con un numero di dipendenti compreso tra 10 e 49 (quasi il 40% del totale). In Italia, le grandi aziende con più di 250 dipendenti rappresentano solo il 10% del totale, delineando uno squilibrio tra piccoli e grandi operatori che potrebbe rivelarsi un problema.



Nel nostro Paese, appena il 27% delle aziende non ha legami economici con il gruppo Stellantis. Il 40% di chi è in affari con Stellantis riceve dal colosso dell’automotive oltre la metà degli ordini. Inoltre, analizza L’Opinion, il 66% degli ordini provenienti dall’estero arriva dai produttori tedeschi. Il destino del settore delle automobili e dei ricambi per automobili in Italia si delinea dunque fortemente legato alle decisioni di altri gruppi quali Stellantis o le case automobilistiche tedesche, e l’eliminazione dei motori a combustione interna potrebbe contrarre ulteriormente questo settore già provato. Secondo Anna Moretti, docente di management all’Università Ca’ Foscari di Venezia, non è più sostenibile per l’Italia seguire ciecamente la Fiat, ora Stellantis, e invoca la necessità di innovare profondamente l’intero settore.