FORMULA 1, LA STORIA DELL’AUTODROMO DI MONZA

100 anni e non sentirli: anzi, proprio qui Lewis Hamilton ha fatto registrare il record di velocità assoluto per la Formula 1 nel 2020. Nato come circuito automobilistico avveniristico e all’avanguardia per i suoi tempi, oggi l’Autodromo di Monza non è solo conosciuto come il “Tempo della Velocità” (il nome anche del documentario che Rai 2 trasmetterà in prima tv questa sera, ore 21.20) ma oramai è un’icona, uno di quei templi laici delle quattro ruote e la cui storia sarebbe impossibile sintetizzare in poche righe. Noi comunque ci proviamo e facciamo un vertiginoso balzo indietro nel tempo negli Anni Venti del secolo scorso, quando…



…sullo slancio del mito tutto futurista della velocità e, per allineare il nostro Paese a quelli europei che avevano impianti simili, si decise di realizzare un circuito all’avanguardia (tale ancora oggi) per celebrare il 25esimo anniversario del Club Automobilistico Milano. Dopo aver individuato l’area adatta, ovvero il Parco della Villa Reale di Monza, tra i più grandi del vecchio continente, si diede vita a una società ad hoc (la S.I.A.S., Società Incremento Automobilistico Italiano e presieduta dal senatore Silvio Crespi) per organizzare il progetto e ricorrendo a capitali privati. Questo fu supervisionato da Arturo Mercanti, allora direttore dell’ACM, e firmato dall’ingegner Alfredo Rosselli e realizzato poi dall’impresa dell’ingegnere e futuro senatore Piero Puricelli. Che la pista fosse destinata a battere diversi record lo si capi subito: i lavori, iniziati nel maggio del ’22, durarono solo 110 giorni per una consegna a tempo di record.



AUTODROMO DI MONZA, DAL PROGETTO AVVENIRISTICO DEL 1922 ALLE ‘CURVE’

Oggi infatti l’Autodromo di Monza, casa del GP d’Italia di F1 già da 72 edizioni, è il terzo più antico al mondo (sul podio è sopravanzato solo da Brooklands in Inghilterra e da Indianapolis negli USA) mentre dal 1991, complici le modifiche apportate al tracciato britannico di Silverstone, è il più veloce tra quelli nel novero del campionato mondiale. Lungo 5.973 metri e con 11 curve, il circuito si differenzia dal comunque innovativo progetto iniziale: il progetto preliminare addirittura prevedeva un ‘otto’ di 14 km ma a causa dell’impatto ambientale sul parco si decise, sotto la guida di Rosselli, per un tracciato formato da due anelli, utilizzabili contemporaneamente e alternando di giro in giro la percorrenza di uno o dell’altro, mentre il rettilineo d’arrivo era in comune; questo per una pista stradale di 5,5 km e un anello di alta velocità con due curve sopraelevate di 4,5 km.



Nei primi anni le gare furono funestate da due incidenti mortali e altri molto gravi, a seguito dei quali si decise di intervenire sulla pista per ridurre la velocità: un esempio è il circuito Florio che univa l’anello di alta velocità e la parte stradale e inserendo delle chicane. Nel 1939 l’anello fu demolito con la ‘curva del Vialone’ spostata più avanti per immettere su un nuovo rettilineo (assieme a una nuova variante), per una lunghezza passata a 6,3 km: una nuova riprogettazione ebbe luogo nel 1955 e con la nascita della mitica curva Parabolica, proprio perché simile a un arco di parabola. La nuova lunghezza passava a 10 km totali, con 5750 metri di stradale e 4250 di anello; lo stesso anno il circuito fu funestato dalla morte del grande Alberto Ascari tanto che in seguito la curva dello schianto mortale, quella del Vialone, venne ribattezzata col cognome dello sfortunato pilota.

AUTODROMO DI MONZA: IL GP D’ITALIA, TRA INCIDENTI MORTALI E I MITI DELLA F1

L’ultimo, vero anno di svolta fu il 1961: a seguito del terribile incidente del 1961 (ma l’anno prima era morto pure l’austriaco Jochen Rindt…) che causò la morte del pilota della Ferrari, Wolfgang von Trips, e di dodici spettatori, le nuove misure di sicurezza introdotte per legge portarono a correre unicamente sul tracciato stradale. Negli Anni Settanta furono messi in campo altri interventi per limitare la velocità (tre nuove varianti) e, a cavallo del nuovo millennio, ecco gli interventi che hanno reso l’Autodromo simile a come lo conosciamo oggi per un connubio indissolubile col GP d’Italia, se è vero che questo è stato finora l’unico sempre presente nel calendario iridato (contando la parentesi di Imola nel 1980), con la sua curva Parabolica che oramai meriterebbe un capitolo a parte nella storia delle corse moderne.

Anzi, forse ognuno dei rettilinei e delle curve (la variante Ascari, le curve gemelle di Lesmo, la Grande, ecc.) che li collegano ha sicuramente una storia da raccontare e che pesca nel passato mitico e in bianco e nero (ma pure in quello più recente) della Formula 1 e non solo: d’altronde una pista così avveniristica e ‘di rottura’ -che pure nel corso di un secolo ha pagato un tributo molto alto in termini di morti, come accennato- pur nella sua apparente linearità non poteva non guadagnarsi un posto al sole tra le cattedrali moderne della velocità. E poi una galleria di nomi e vetture che meriterebbero un capitolo a parte, partendo dai pionieristici tempi di Nino Farina e dello sfortunato Ascari, ma anche l’onore di aver visto correre -e vincere- Juan Manuel Fangio e soprattutto quella sensazione che Monza sia da sempre una sorta di università in cui laurearsi, un passaggio obbligato per tutti coloro che poi sono diventati campioni. E il record di Hamilton di due anni fa (seppur non ufficiale perché non in gara) racconta che questa storia centenaria è ancora agli inizi.