“Il borgo di San Leucio, sito Unesco, è più di un luogo della memoria e della bellezza. È anche e soprattutto un emblema dell’ingegno umano e della progettazione sociale. Il Comune di Caserta vuole trasformare questo sito monumentale in un centro di produzione culturale, attrattivo per il turismo e crocevia delle eccellenze”. Queste le parole dell’assessore alla Cultura del Comune di Caserta, Vincenzo Battarra, sul “caso San Leucio”. Già, perché è ancora pienamente attuale l’argomento della destinazione d’uso definitiva da conferire al complesso monumentale borbonico, frutto del tentativo del re Ferdinando IV di costituire una comunità ideale che garantisse lavoro per tutti i suoi abitanti, occupati nella tessitura della seta.
“L’utopia leuciana rappresentava un tentativo da parte del governo di prendere responsabilità diretta per il benessere dei cittadini” secondo lo storico e accademico Michele Campopiano, docente nell’Università di York, in Gran Bretagna. Un dibattito – tornando all’attualità – quello relativo alla rivitalizzazione del “real sito”, risalente ai primissimi anni 80 dello scorso secolo e mai sopito.
Il 21 settembre 1984, l’allora sindaco del capoluogo campano, Vincenzo Gallicola, inaugurò, all’interno di una delle sale del Palazzo Reale, la tre giorni del “Convegno internazionale di idee per San Leucio”, sottolineando: “a noi non interessano le utopie né le cattedrali nel deserto, ma il riuso produttivo del sito, la possibilità insomma di riammettere le nuove generazioni sulla via della seta”. Architetti di fama mondiale, quali Leon Krier, Francesco Venezia, Richard Plunz, Franco Purini ed Alvaro Siza Viera furono chiamati ad esporre i loro progetti. I contributi scientifici furono riportati dalla rivista internazionale di architettura Casabella che all’evento dedicò l’intero numero in edicola nel settembre 1984. Una testimonianza scientifica e giornalistica dal respiro ampio, avviatasi già con l’articolo “Ti sfido a rifare l’utopia”, a firma di Enrico Regazzoni, pubblicato il 18 agosto dello stesso anno, sul numero 33 del settimanale L’Europeo. Il 23 settembre, a chiusura del convegno, riportandone i principali contenuti nelle pagine interne, il quotidiano torinese La Stampa titolava: “La città utopica cara ai Borboni ripercorrerà la via della seta”.
L’eco dei lavori fu, in definitiva, davvero vasta, ma a nessuno dei progetti presentati fu poi dato realmente seguito. Furono, tuttavia eseguiti, dalla seconda metà degli anni 80 all’inizio dei 90, i lavori di restauro conservativo dei tre edifici del complesso, salvaguardando l’integrità statica dello stesso. “Mi dispiace profondamente, c’erano tante attese, tante speranze intorno a quel bene. Unico per molti aspetti” ebbe a dichiarare, anni dopo, Massimo Cacciari. Fu, infatti, proprio il filosofo veneziano ad attivarsi, unitamente al parlamentare casertano Paolo Broccoli, affinché si avviasse una consultazione internazionale di idee in ordine al recupero del borgo. “San Leucio rappresenta uno dei più straordinari esempi di archeologia industriale europea – queste le sue parole, all’epoca –corrispondente ad un programma d’industrializzazione voluto dai Borbone, di cui ancora non si è approfondito a sufficienza l’importanza”.
I dipartimenti di architettura delle università di Roma, Venezia e Napoli, nonché del Politecnico di Milano, aderirono al progetto. Il noto architetto e accademico Vittorio Gregotti ne assunse la cabina di regia, avendone ricevuto espresso incarico dalla Fiat e della Benetton, finanziatrici dei costi della fase preliminare di ricerca e studio e ne rimase entusiasticamente coinvolto (“San Leucio rappresenta non solo uno dei più importanti monumenti dell’archeologia industriale italiana, ma anche un esempio di organizzazione sociale attorno al tema del lavoro, un frammento di ipotesi illuminista” affermò presentando l’esito degli studi effettuati).
Testimone diretto e protagonista di quel tempo, di quegli eventi, fu Battista Marello, ancora oggi (e sin dal ’73) parroco del luogo e della chiesa di San Ferdinando, secondo cui “quell’evento dell’84 fu un modo, un’occasione, per ricevere da architetti di riconosciuto livello indicazioni in ordine alle possibili destinazioni da dare al complesso monumentale di San Leucio. Qui vi era la macchina industriale più elaborata dell’epoca, la più complessa di tutte quelle utilizzate nelle esperienze delle prime industrie che hanno segnato l’Ottocento: il telaio serico. Questa macchina ha costituito lo strumento di lavoro e di sussistenza per intere generazioni di tessitori. La produzione tuttavia si è oramai, da tempo, interrotta, sostanzialmente per due carenze: quella, molto risalente, della coscienza d’uso del Complesso monumentale del Belvedere e, soprattutto, quella della continuità produttiva”.
E ora? Quale sarà il destino di San Leucio? Lo chiediamo al primo cittadino di Caserta, Carlo Marino: “Al complesso monumentale del Belvedere di San Leucio, in questi anni l’amministrazione comunale ha dedicato un’attenzione particolare, in particolar modo attivandosi per intercettare finanziamenti volti alla realizzazione di infrastrutture sulla mobilità circostante, nonché per una rigenerazione strutturale complessiva. Contemporaneamente, si è lavorato per realizzare le funzioni speciali interne, potenziando sia la parte museale che la parte formativa, accogliendo Officina Vanvitelli, un distretto leggero per la moda e il design in Campania, nato all’interno delle attività del Dipartimento di architettura e disegno industriale afferente all’Università Luigi Vanvitelli. La città utopica di Ferdinando IV, insomma, si candida ad essere un hub non solo di cultura, ma anche un polo d’eccellenza tessile, di moda e di enogastronomia”.
Non i progetti del 1984, insomma, ma delle buone prospettive. Non resta che incrociare le dita.
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