Chi volesse ripercorrere la storia della sanità a Milano dovrebbe senz’altro riservare un posto a Camillo de Lellis (1550–1614) e ai camilliani.

Già dall’Alto Medioevo in città erano presenti molti xenodochia (che erano luoghi di ospitalità gratuita per pellegrini e stranieri) nonché hospitalia (comprendevano ospizi, brefotrofi, ospedali), fondati da religiosi o da monasteri, sovvenzionati spesso da lasciti testamentari di laici, dove i cosiddetti pauperes Christi o infirmi venivano assistiti da religiosi o laici, animati da spirito di carità in obbedienza ai dettami del Vangelo. Nel corso dei secoli questa rete di assistenza si moltiplicò, nacquero molti nuovi luoghi destinati alla cura, a volte anche di malattie epidemiche come la peste – si pensi al Lazzaretto di Porta Orientale, famoso per I promessi sposi – fino all’edificazione, iniziata nel 1456, del grandioso ospedale promossa dai duchi Francesco Sforza e Bianca Maria, subito chiamato dai milanesi Ca’ Granda. Tutto questo ha fatto parlare di una esemplarità dello Stato di Milano per quanto riguarda l’organizzazione degli interventi assistenziali.



Camillo de Lellis arrivò a Milano nel giugno 1594 con otto dei suoi compagni, detti “crociferi” per la croce rossa che portano sul petto, spinto dalla volontà di “servire li poveri infermi nelle cose spirituali e corporali”. Egli infatti aveva dato vita a Roma ad una compagnia di uomini “pii e dabbene” che si dedicassero all’assistenza agli ammalati fino al rischio della propria vita, quindi senza arretrare di fronte a situazioni particolarmente pericolose come un’epidemia di peste. E proprio durante il viaggio a piedi, il gruppetto incontrò delle persone in fuga da Milano le quali sconsigliarono i religiosi dal proseguire verso la città informandoli che era flagellata dalla peste, al che Camillo rispose: “Ma è proprio per questo che ci andiamo!”



I Camilliani rimasero a Milano, dove svolgevano il duplice servizio di assistenza corporale e spirituale, convinti come erano che l’uomo è uno e non ha senso curare l’anima tralasciando il corpo e viceversa. In effetti il carismatico fondatore, nella Regola del 1584, aveva dettato ai “Ministri (cioè servi) degli infermi” disposizioni numerose e dettagliate per alleviare la condizione dei malati: chiedeva attenzione al cibo e alla pulizia, cura nel medicare le piaghe, nel rifare bene i letti, si preoccupava che non soffrissero troppo il freddo e per questo insisteva che fosse dato loro almeno un berrettino. Colpisce la concretezza di Camillo che arrivava a nascondersi sotto il letto del malato per vedere se l’inserviente chiamato accorreva subito al bisogno, e che nel corso di un’epidemia a Roma portava con sé due capre per poter dare del latte fresco ai bambini affamati che incontrava. A Milano, quando era all’Ospedale Maggiore, si fece comprare una paletta di ferro con la quale non disdegnava di pulire e raschiare il pavimento affinché i ricoverati non si insudiciassero i piedi quando si alzavano dal letto.



È stato Camillo de Lellis a inventare la lettiga per trasportare i malati, e la comoda per chi ne aveva bisogno. Egli non era solo l’esempio trascinatore per i suoi seguaci, ben presto numerosi, ma si faceva carico di introdurli ad un servizio professionalmente ineccepibile, tenendo loro delle lezioni nel corso delle quali voleva che parlassero delle difficoltà anche spicciole che incontravano.

I Ministri degli Infermi nel 1632 riuscirono ad acquistare per sé una casa in via Durini. Qui vollero edificare una chiesa che sussiste tuttora, chiamata Santa Maria della Sanità o della Salute.

Con Giuseppe II e i suoi regolamenti per il riordino e il controllo delle questioni ecclesiastiche – è la politica detta appunto giuseppinismo – si ebbe la nazionalizzazione della comunità camilliana milanese e nel 1787 l’elevazione di Santa Maria della Sanità a parrocchia. Ma fu con la Repubblica Cisalpina che iniziarono davvero le vessazioni nei confronti dei Ministri degli Infermi, i quali videro la loro casa occupata prepotentemente dai nuovi invasori, i francesi a seguito di Napoleone, che ne fecero la loro caserma. Nel 1799 infine l’ordine venne soppresso e i Ministri degli Infermi riuscirono a tornare a Milano definitivamente solo nel 1896.

Nel Novecento Milano non fu certo risparmiata da gravi calamità, come la tubercolosi o l’influenza detta spagnola, e soprattutto dai due conflitti mondiali, che colpirono in modo inaudito la città e la sua popolazione. Tuttavia stava nascendo la “Grande Milano”, che seppe risollevarsi e diventare una moderna metropoli industriale, capace di attirare nuova popolazione proveniente dalle campagne e dalle altre regioni d’Italia. Alle sfide di questa nuova realtà e al costante incremento della domanda di cura risposero nuove fondazioni ospedaliere, supportate dalla straordinaria evoluzione delle conoscenze scientifico/sanitarie e dall’adozione di logiche di carattere sinergico, tanto che oggi si assiste ad una rinnovata esemplarità del territorio milanese e lombardo nel campo dell’assistenza.