La vicenda di Franz Jägerstätter, “il mite eroe contadino che disse no a Hitler” – la definizione è di Claudio Magris – condannato a morte nel 1943, su cui queste pagine sono tornate più volte, diviene ancor più comprensibile alla luce dei rapporti tra il Terzo Reich e la Chiesa cattolica.
Le idee cui Hitler si ispirerà una volta al potere sono delineate già nel Mein Kampf, che egli scrive durante la prigionia seguita al fallimento del putsch di Monaco del 1923. Come ben documenta Francesco Agnoli nel suo libro Novecento: il secolo senza croce (Sugarco, 2011), notevole è stata l’influenza esercitata sul futuro dittatore dal nazionalismo pangermanista, diffuso nel mondo tedesco ma anche in quello austriaco. La teoria della superiorità della razza ariana con le sue nefaste conseguenze (antisemitismo, eutanasia, ecc.) rappresenta – come è ben noto – il concetto base di quella miscela esplosiva che è l’ideologia hitleriana.
Vi è poi una forte avversione alla religione cattolica, accusata di intolleranza, di opposizione alla scienza e alla ragione, in quanto si nutrirebbe di superstizioni, e quindi destinata a morire presto di morte naturale, un destino che comunque vale la pena accelerare.
Nella nuova Germania unificata, centralizzata (fin dai primi mesi ogni autonomia territoriale viene eliminata) e arianizzata, in breve si assiste alla nazificazione della cultura, al rigido controllo della stampa, della radio e del cinema, inediti strumenti di propaganda per l’edificazione di uno Stato totalitario. Particolare cura il Reich dedica a modellare le nuove generazioni secondo i suoi dettami, attraverso un’educazione controllata fin nei minimi particolari.
Le scuole, dalle elementari fino all’università, vengono rapidamente nazificate: i libri di testo riscritti, i programmi di studio cambiati. La storia subisce una falsificazione ridicola, così come le scienze naturali che diventano “scienze razziali”. Il fatto è che per Hitler hanno importanza non tanto le scuole, da lui stesso poco frequentate, quanto le organizzazioni della Gioventù hitleriana.
I cristiani della più numerosa confessione cristiana presente in Germania, quella protestante, che raccoglieva i due terzi della popolazione, presto avrebbero sperimentato di persona il pugno di ferro di Hitler, sebbene la maggior parte dei pastori protestanti appoggiassero i nazionalisti e perfino i nazisti. Alla fine del 1935 vengono tratti in arresto settecento pastori della Chiesa confessionale, altri 807 pastori e personalità della stessa Chiesa nel 1937 e diverse centinaia nei due anni successivi. Nel 1938 il vescovo di Hannover, August Marahrens, ordina a tutti i pastori della sua diocesi di prestare giuramento di fedeltà al Fuhrer, cosa che sarà fatta dalla maggior parte di loro.
Per quanto riguarda i cattolici, il Concordato firmato con la Santa Sede nel luglio 1933, ossia nei primi mesi di avvio della macchina nazista, non era stato che una mossa politica per avere il favore della Chiesa. In realtà, eliminato il partito dei cattolici, il Centro, soppressi i conventi e imprigionati sacerdoti, suore e laici con le accuse più diverse o anche senza, ben presto si apre per la Chiesa cattolica un periodo di gravi difficoltà, di vera e propria persecuzione. Continuamente sorvegliati sono la predicazione e l’insegnamento religioso, come pure i pochi giornali cattolici non soppressi, costretti a pubblicare articoli tendenziosi.
Nonostante la rassicurazione contenuta nel Concordato circa la continuazione indisturbata dell’associazione della gioventù cattolica, pochi giorni dopo la sua ratifica si compiono i primi atti per sciogliere la Lega dei giovani cattolici. Nel 1936 poi Hitler dichiara fuori legge tutte le organizzazioni giovanili non naziste.
Dai sei ai diciotto anni, età della coscrizione al lavoro obbligatorio o nell’esercito, i giovani sono organizzati nella Gioventù hitleriana. In essa viene data una formazione sistematica basata sullo sport, sulla vita all’aria aperta, nello spirito dell’ideologia nazista e per i maschi come preparazione all’arte militare. A dieci anni, superato uno speciale esame di atletica, campeggio e storia, i bambini devono prestare un giuramento “al salvatore del nostro Paese, Adolf Hitler” che si concludeva con la formula “Sono disposto e pronto a dare la mia vita per lui” (citato in William Shirer, Hitler e il Terzo Reich, Vol. I, pag. 396).
L’addestramento delle ragazze è molto simile. A 18 anni molte vanno a lavorare per un anno nelle aziende agricole e le ragazze di campagna si spostano in città, sempre con l’obiettivo di facilitare il loro coinvolgimento e il loro contributo alla vita del Paese. Vivendo in promiscuità, senza controlli, si verificano molti casi di gravidanze non previste, cosa che allarma i genitori ma che non costituisce un problema per i più convinti nazisti, in quanto il compito primario delle donne è dare figli al Reich.
Pio XI (Achille Ratti, nato a Desio nel 1857 e papa dal 1922 al 1939) negli ultimi anni della sua vita manifesta un acuto e crescente rifiuto dei totalitarismi. Si radicalizza la sua condanna per gli aspetti anticristiani e disumani del nazismo e del fascismo: le discriminazioni su base razziale, l’esasperazione dei nazionalismi, la persecuzione degli ebrei, diventano per l’anziano e malato pontefice assolutamente inaccettabili.
Si arriva così alla stesura e alla pubblicazione dell’enciclica Mit brennender Sorge (Con bruciante preoccupazione) il 14 marzo 1937, pubblicata in tedesco per abbreviare i tempi della sua diffusione in terra germanica. L’enciclica sancisce la rottura tra il Papa e Hitler. Il nocciolo della lettera è volto a contrastare il carattere “religioso”, idolatrico del nazismo.
La reazione tedesca sarà durissima, Hitler è furioso. Si verificano diversi episodi di ritorsioni non solo nei confronti di singoli: le tipografie che hanno stampato il documento vengono chiuse, sono perquisiti gli archivi diocesani per scovare episodi di immoralità di cui accusare religiosi e preti.
L’enciclica si articola in undici punti in cui si documenta l’ansia e l’afflizione del pontefice perché “molti abbandonano il cammino della verità”. Innanzitutto egli lamenta il fatto che il Concordato, voluto a suo tempo dal governo del Reich, non abbia impedito che l’avversione profonda contro Cristo e la Chiesa si esprimesse in lotta aperta contro le scuole confessionali e l’educazione cattolica.
Sempre riferendosi alle Sacre Scritture (le cui citazioni sono ben 37), il Papa raccomanda ai vescovi di vigilare che la fede in Dio rimanga pura e integra, contro quella indeterminatezza panteistica che identifica Dio con l’universo secondo la concezione precristiana dell’antico germanesimo. Si tratta in realtà di neopaganesimo, fatto di perniciosi errori e numerose bestemmie. Non è lecito porre accanto a Cristo, o – peggio ancora – sopra di Lui o contro di Lui un semplice mortale, fosse egli anche il più grande di tutti i tempi. In modo altrettanto stringente è necessaria la fede nella Chiesa, colonna e fondamento della verità. Parlare di una “chiesa tedesca nazionale” è rinnegare l’unica Chiesa.
Non basta però essere annoverati nella Chiesa, bisogna esserne membri vivi, dice il testo, e costituire così “esempio e guida al mondo profondamente infermo, che cerca sostegno e direzione”. Al credente non resta che la via dell’eroismo, anche a costo di gravi sacrifici. Coloro che pensano si possa impunemente separare la morale dalla religione spalancano le porte alle forze dissolvitrici, compiendo in realtà contro l’avvenire del popolo un attentato i cui tristi frutti peseranno sulle generazioni future.
Ulteriore caratteristica nefasta del tempo presente è il voler distaccare le fondamenta del diritto dalla vera fede in Dio. Al contrario, è imprescindibile il riconoscimento del diritto naturale che lo stesso Creatore ha impresso nel cuore umano: alla luce di questo devono essere valutate le leggi positive. Tra i diritti dati all’uomo da Dio per lo sviluppo del bene comune vi è il diritto essenziale dei genitori all’educazione dei figli. Leggi emanate nel recente passato che non ne tengono conto sono in contraddizione col diritto naturale, quindi immorali e non valide per la Chiesa.
La lettera si rivolge poi a quei giovani, che in un contesto inondato di contenuti avversi al cristianesimo e alla Chiesa, hanno sopportato vituperio, disprezzo e accuse a causa della loro fede. Ai giovani ricorda che la vera libertà è la libertà dei figli di Dio e che c’è un eroismo anche nella lotta morale; raccomanda di non dimenticare le grandi gesta e i molti santi che la Chiesa ha sempre prodotto. In concreto, per esempio, non è da trascurare il comandamento di santificare la domenica che lo Stato vuole dedicata a infiniti esercizi ginnici e sportivi.
Ai sacerdoti e ai religiosi viene inviato un particolare riconoscimento, specie a quelli che hanno sofferto il carcere e i campi di concentramento. Tutti loro sono esortati a “mostrare i retti sentieri” con la dottrina e con l’esempio, con la dedizione e con la pazienza. Il loro compito è servire la verità e confutare l’errore in tutte le sue forme.
In chiusura, il Papa assicura la sua preghiera per la riconciliazione, che egli auspica prossima, tra la Chiesa e lo Stato in Germania. In realtà, i rapporti tra le due parti non migliorano, anzi peggiorano. Tuttavia l’opera di chiarimento svolta efficacemente dal documento papale non è di poco conto: innanzi tutto nei confronti dei Paesi stranieri, ma anche per i fedeli e il clero tedeschi che vi trovano autorevolmente indicate strada e direzione.
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