Lo Stato di Israele prevede il servizio militare obbligatori di tre anni per gli uomini e due per le donne, e una disponibilità alla mobilitazione nella riserva fino ai 40-50 anni, a seconda dell’incarico. Nelle scorse settimane l’opinione pubblica israeliana è stata scossa dalla decisione del governo di estendere agli ebrei ultraortodossi la chiamata alle armi. Gli ebrei ultraortodossi – haredim in ebraico – che rappresentano il 13% della popolazione, sono cittadini israeliani che aderiscono alle dottrine più conservatrici dell’ebraismo, seguendone una interpretazione più rigida e letterale.
In base alla loro interpretazione della Torah, non si riconoscono nello Stato, di cui contrastano le posizioni sioniste. La loro vita è dedicata alla preghiera e allo studio dei testi sacri. Fin da bambini entrano in scuole religiose (yeshivot) dove spesso non si insegnano materie che non riguardano l’apprendimento di testi e argomenti sacri (come matematica, scienze e inglese) e che continuano a frequentare anche da adulti.
Gli haredim in genere non lavorano, vivono dei sussidi statali, rifiutano il servizio militare obbligatorio dedicandosi esclusivamente allo studio della Torah. Gli uomini, se chiamati al servizio di leva, possono rinviare l’arruolamento fino al completamento del loro percorso di studi, finendo per superare il limite di età per la coscrizione (26 anni) e riuscendo quindi ad evitare il servizio militare.
Questa situazione, che ha origine fin dalla nascita dello Stato di Israele, è stata in qualche modo messa in discussione dall’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. La guerra ha obbligato l’esercito ad aumentare il numero dei coscritti e a richiamare molti riservisti. Mentre tutti i giovani israeliani venivano richiamati, gli haredim costituivano un’eccezione. Per questo motivo una parte della popolazione israeliana ha definito gli haredim traditori, manifestando nelle piazze contro i privilegi a loro concessi. Il governo israeliano ha dunque deciso di togliere i finanziamenti alle yeshivot dove gli uomini rifiutano il servizio militare, rilanciando la coscrizione obbligatoria per tutti, e creando unità speciali per gli haredim che tengano conto delle loro regole religiose e di vita.
Parliamo di questo particolare aspetto perché eventi di questo tipo non sono un fatto isolato nella storia. L’esenzione dal servizio militare in tempo di guerra si è verificato anche in difesa di principi molto meno nobili della difesa delle convinzioni religiose, ad esempio per preservare lo svolgimento del campionato di calcio. È successo nel Regno Unito, durante la Prima guerra mondiale (Forse vale la pena di ricordare che è successo anche in Italia durante la pandemia del Covid, con surreali discussioni sulla necessità di far proseguire comunque il campionato di calcio per motivi esclusivamente economici).
In tutti i Paesi belligeranti l’inizio del conflitto coincide con la mobilitazione generale dell’agosto 1914. La popolazione più giovane è quindi sottratta alla vita civile, determinando di fatto la sospensione di tutti i campionati sportivi nazionali.
Questo accade in tutti i Paesi belligeranti, ma non in Gran Bretagna. All’inizio della Prima guerra mondiale la Gran Bretagna è l’unico Paese a disporre di un esercito di professionisti, che non ha fatto uso della leva obbligatoria all’inizio delle ostilità. Ma f\in dalle prime settimane, con l’estensione della linea del fronte, ci si rende conto che è necessario schierare un maggior numero di combattenti, e si comincia a far leva sull’arruolamento volontario, promettendo ai volontari che si sarebbero arruolati insieme l’assegnazione allo stesso reparto. Nascono così i “Pals Battallions” – letteralmente “battaglioni amici” – composti da volontari che provengono dallo stesso ambiente di lavoro, dalla stessa scuola, dalla stessa società sportiva, decisi ad andare a combattere insieme.
In questa fase, mentre molti ambienti sportivi (rugby, cricket) invitano immediatamente i loro aderenti ad arruolarsi, l’ambiente del calcio professionistico inglese – al contrario di quello scozzese – si rivela quello meno propenso a rispondere alla chiamata, argomentando che l’invio al fronte dei calciatori avrebbe significato la sospensione del campionato di calcio appena iniziato, determinando un calo nel morale della popolazione non combattente, ed una perdita di danaro per le squadre che impiegavano giocatori professionisti.
Il proposito dell’ambiente calcistico di far proseguire il campionato ad ogni costo nonostante lo scoppio delle ostilità fa sorgere un caso di natura politica, sportiva e militare, passato alla storia come la “Football Controversy”. La stampa si solleva contro la Football Association. Nel 1914, nel Paese che gli ha dato i natali, la popolarità del calcio raggiunge il livello più basso. Gli articoli pubblicati dai giornali dipingono i dirigenti del calcio come persone disoneste e attaccate al denaro. Alcuni sostengono che il gioco del calcio è il più grande impedimento all’arruolamento dei giovani, arrivando persino a chiedere al Re Giorgio V, presidente onorario della federazione, di abolirne la pratica, accusando il calcio professionistico di atteggiamento antipatriottico. Allo stesso tempo il pubblico inglese si dimostra orgoglioso delle partite di calcio giocate dai soldati al fronte tra un combattimento e l’altro, mentre è invece scandalizzato per le partite giocate in casa dai professionisti che non si sono arruolati.
Ben diversa è la situazione della Lega Scozzese, che fin dall’inizio delle ostilità si è messa a disposizione del War Office, offrendo i propri stadi come luoghi per l’arruolamento. Il 25 novembre 1914 Sir George McCreae, presidente della camera scozzese, annuncia che alcuni giocatori professionisti di due squadre scozzesi si sono arruolati insieme. Molti dei loro tifosi, per spirito di emulazione, rinunciando alle loro tradizionali rivalità, si arruolano insieme ai loro beniamini, dando inizio a quello che sarebbe divenuto in seguito il 16esimo Royal Scots, la prima unità militare britannica costituita unicamente da calciatori e tifosi di squadre scozzesi, che vanno a combattere accompagnati dal suono delle cornamuse, salvando in qualche modo l’onorabilità del gioco del calcio.
Anche in Inghilterra non si è più disposti ad accettare lo spettacolo domenicale nel quale i professionisti corrono dietro ad un pallone, mentre una partita ben più importante si sta giocando nelle trincee in Belgio e Francia. Così, di fronte alla reazione indignata dell’opinione pubblica, anche le associazioni calcistiche si vedono costrette a supportare l’arruolamento volontario dei propri membri.
Nel dicembre 1914 si forma un battaglione di calciatori dell’area di Londra che riunisce ben 13 club. A questo punto il meccanismo dei Pals Battalions crea una situazione del tutto inedita, che vede presentarsi all’arruolamento intere squadre di calcio insieme ai loro tifosi e supporter.
Il 25 aprile 1915 la partita tra Clapton Orient e Leichester Fosse si conclude con una grande festa, non solo per celebrare la vittoria per 2-0 del Clapton, ma anche per salutare la squadra, le riserve, i tecnici e i dirigenti che si sono arruolati, dando vita al 17esimo Middlesex Footballers Battalion.
Lo stesso giorno allo stadio di Manchester si gioca la finale di campionato tra il Chelsea e lo Sheffield United, che vince la partita per 3-0. La partita passa alla storia come la “Kakhi Cup”: al termine dell’incontro i giocatori partono infatti per il fronte. Nella cerimonia di premiazione Lord Derby pronuncia la frase che metterà efficacemente fine alla football controversy: “Avete giocato gli uni contro gli altri per il titolo: ora giocate gli uni con gli altri per l’Inghilterra”.
Così anche i giocatori di calcio professionisti partono per il fronte, spesso insieme ai loro tifosi, per essere ingoiati da quell’infernale calderone che nei successivi quattro anni stroncherà molte delle loro giovani vite. Porteranno con sé anche i palloni, e anche al fronte giocheranno a calcio. Ma questa è un’altra storia, che racconteremo nella seconda puntata di questo articolo.
(1 – continua)
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