Chiunque abbia avuto la fortuna di vedere il film intitolato L’enigma di Kaspar Hauser, di Herzog, si sarà potuto facilmente rendere conto, al di là delle molteplici interpretazioni fatte sul lungometraggio, del fatto che i rapporti umani e, più in particolare, quelli affettivi sono di fondamentale importanza per lo sviluppo psicofisico di qualunque individuo.

A rendere ancor più forte questa convinzione concorre l’esperienza della Fondazione Maddalena Grassi e del suo R.S.D., la Residenza Sanitaria per persone con Disabilità.

Si tratta di una tipologia d’offerta istituita dalla Regione Lombardia con DGR 12620 del 2003. Le strutture R.S.D. sono destinate ad accogliere soggetti in condizioni di fragilità derivanti da qualsiasi tipo di disabilità – fisica, psichica o sensoriale – assicurando un elevato grado d’integrazione delle prestazioni socioassistenziali, educative e sanitarie. Il limite d’età per l’accoglienza in RSD è di 64 anni; al compimento del 65° anno d’età i soggetti in condizioni di fragilità devono rivolgersi alle residenze sanitarie assistite per anziani. L’R.S.D. Marco Teggia, della Fondazione Maddalena Grassi, la cui attività verrà presentata sabato 18 ottobre presso il convegno Coscienza, stati di coscienza e persona, a Vigevano, presenta sotto l’aspetto prima introdotto interessantissimi casi clinici.

«I pazienti affetti da gravi disabilità neurologiche – spiega il professor Massimo Croci – sono portatori di una grande domanda d’assistenza per periodi di tempo anche molto prolungati che, idealmente, potrebbe trovare una risposta adeguata all’interno del nucleo familiare. L’esperienza maturata con l’assistenza al domicilio di questi pazienti ci ha fatto però incontrare realtà ove ciò è oggettivamente impossibile. È nata così l’idea di creare un luogo in grado d’accogliere queste persone».

La struttura ha iniziato l’attività nel novembre 2005. Nel 2006 sono stati assistiti 21 pazienti i in regime di residenzialità permanente e 6 per periodi di sollievo; sono state erogate 3941 giornate d’assistenza, di cui 342 (8,1 %) a pazienti totalmente dipendenti dalla ventilazione meccanica.

«Nel corso del 2007- continua il dottor Croci – sono stati assistiti 25 pazienti in regime di residenzialità permanente e 2 per i periodi di sollievo con 6434 giornate d’assistenza, di cui 747 (11,6 %) a pazienti totalmente dipendenti dalla ventilazione meccanica; questo ha determinato un tasso d’utilizzo dei posti-letto pari al 98 % con una durata media della degenza di 238 giorni. Le diagnosi d’ammissione sono state: stato vegetativo persistente (17,6%), altri esiti di trauma cranico (8,8%), sclerosi multipla (5,9%), sclerosi laterale amiotrofica (5,9%), altre patologie a carico del sistema nervoso centrale (17,6%), altre patologie del sistema nervoso periferico (11,9%), ritardo mentale (23,5%), disabilità per altre cause (8,8%). Attualmente sono presenti 18 pazienti (9 f) con un’età media di 42 + 14 anni (22 – 63); di questi 8 sono ospiti da oltre un anno, tre sono totalmente dipendenti dalla ventilazione meccanica. Nell’ottobre del 2006 e nel maggio 2007 fu somministrato agli ospiti presenti (od ai loro parenti, quando impossibilitati a rispondere) un questionario strutturato (OUR) che indaga il grado di soddisfazione degli utenti di una struttura residenziale; tale questionario, basato su scala Likert, ha un punteggio complessivo che varia da 36 (minima soddisfazione) a 108 (massima soddisfazione). L’analisi dei questionari ha mostrato un buon grado di soddisfazione degli utenti sia nel 2006 (mediana: 88; 25° percentile: 84; 75° percentile: 94) che nel 2007 (mediana: 100; 25° percentile: 93; 75° percentile: 101)».

Ma a fronte di questi risultati assai più che soddisfacenti non si può comunque dire di aver analizzato a fondo la questione.

Sulle “novità” dell’R.S.D il professor Croci è, giustamente, più prudente e utilizza toni pacati dal momento che vuole evitare facili sensazionalismi.

Eppure qualcosa da dire c’è.

Riguarda due pazienti che hanno ripreso parte delle proprie funzioni vitali rendendosi in un certo senso più indipendenti e meno vegetative di altre che presentano un analogo quadro clinico. In particolar modo due ragazze, una poco più che quarantenne, l’altra di appena 21 anni, la prima colpita da leucoencefalite, la seconda da un’anossia cerebrale, sembrerebbero aver riattivato funzioni vitali che, dice il dottor Croci, «come medico non si sa spiegare». A meno che, e qui il professore è assai più favorevole, non si riconsideri da un punto di vista medico la cruciale funzione del rapporto affettivo nella ripresa dei pazienti agli stimoli esterni. Una funzione che purtroppo spesso viene trascurata e sottovalutata in campo accademico a causa di una cieca ostilità verso sistemi non facilmente misurabili e analizzabili alla luce di un’indagine prettamente scientifica. Ma dove non può il ragionamento, verrebbe da dire, può arrivare la semplice osservazione. Due ragazze ricoverate in una clinica per malattie neurovegetative dimostrano più con la propria vita, apparentemente ridotta a una vuota inutilità, di migliaia di testi universitari spesso consultati con esagerata ieraticità oracolare.