Spesso i dibattiti sull’integrazione possibile, gli studi dei modelli dei flussi migratori, tendono ad astrarsi e a radicalizzarsi a tal punto da trascurare alcuni piccoli esempi di una integrazione già in atto nel nostro Paese in tante esperienze formative sparse in tutto il territorio nazionale.
Quella di Redouane è una storia certamente particolare, unica come quella di ciascun immigrato e come quella di ciascuno di noi.
Redouane è un ragazzo marocchino della città di Youssoufia, di famiglia benestante benchè atipica sia per i canoni di noi italiani che per quelli arabi: genitori molto anziani e tre fratelli sparsi per il mondo, di cui uno in Italia. Quando Redouane arriva nel 2005 in Italia all’età di 17 anni con l’intenzione di passare un mese di vacanza con il fratello, ma da allora non è più ripartito.
A raccontare questa vicenda a ilsussidiario.net è Giuliano Ranzato, un uomo molto gentile e dalla voce simpatica. Ranzato è un tutor di ASLAM, una associazione di scuole professionali nella zona di Varese, un ente di servizi che si occupa di formazione e avviamento al lavoro. Redouane, infatti su proposta del fratello ha deciso di trasformare quello che doveva essere solo una breve vacanza nell’inizio di un cammino formativo e professionale frequentando i corsi di ASLAM. «Abitavano a pochi chilometri da qui – racconta Ranzato – e  quando ci hanno fatto questa proposta, anche se eravamo a ridosso dell’inizio dell’anno scolastico abbiamo verificato che era possibile per Redouane iscriversi così lo abbiamo preso. Ha deciso di fermarsi con le quattro cose che aveva di punto in bianco, senza sapere nemmeno una parola di italiano e ha iniziato la scuola in queste condizioni. Era un po’ disorientato, e abbiamo dovuto inserirlo all’inizio del ciclo di studi anche se aveva qualche anno in più, ma poi tutto è andato bene».
Con l’andare del tempo, però sono emerse alcune difficoltà. «Ma per Redouane, come per tutti i ragazzi che vengono da noi, innanzitutto c’è stata la proposta di un rapporto personale e di una amicizia. La stessa proposta che facciamo a chiunque arrivi qui, sia esso italiano o extracomunitario: a noi interessa guardare in faccia chi abbiamo davanti per fare insieme un percorso umano e quello che abbiamo cercato di fare con Redouane è stato aiutarlo a trovare la propria strada. A volte capita che questo ci porti a consigliare al ragazzo, alla ragazza o all’adulto un’altra scuola o un’altra ipotesi professionale. Il nostro problema non è tenere i ragazzi con noi, ma che crescano». E così il cammino di Redouane ha avuto inizio, con la proposta di seguire un corso triennale per entrare in un’officina specializzata e iniziare in tempi molto brevi un lavoro che avrebbe potuto portarlo all’indipendenza economica. Per Redouane non era un percorso scontato, lui non era uno di quei “disperati” che con un malcelato senso di superiorità possiamo pensare che qualsiasi cosa imparino a fare – in fondo – è sempre meglio di niente. In Marocco frequentava quella che, fatte le debite proporzioni, è l’equivalente del nostro liceo. «Lui ha deciso dopo aver visto cosa volesse dire fare l’operatore meccanico che la cosa gli interessava. Poi, certamente, è stato fondamentale, come anche per altri suoi compagni extracomunitari accompagnarlo ogni giorno anche nelle difficoltà che incontrava nella lingua e nella comprensione di ciò che lo circondava, anche perché mentalmente non era preparato a un percorso così lungo, in fin dei conti era qui per una vacanza e si è trovato immerso in un mondo totalmente diverso dal suo per modo di agire, di pensare, di vivere sia nel rapporto con gli adulti che con i suoi coetanei». E le difficoltà si presentavano anche a casa, con gli anziani genitori rimasti in Marocco e il fratello maggiore che era diventato responsabile per lui davanti alla legge italiana, trasformandosi di fatto in una nuova figura autoritaria che a volte entrava in conflitto con il ragazzo. E questo nervosismo si ripercuoteva a scuola. «In particolare, però, un primo punto di difficoltà nei rapporti anche con i suoi compagni è stato che secondo Redouane noi lasciavamo agli alunni troppa libertà. E’ una cosa che lo ha sempre “scandalizzato”: per lui era inconcepibile una disciplina non rigida. Almeno non quanto in Marocco, dove il maestro di norma per mantenere silenzio e disciplina bacchetta gli alunni sulla schiena o sulle mani. Ma quello che non riusciva a capire in quel momento, e che lo avrebbe però aiutato a superare le difficoltà nate anche in famiglia è stato che  stavamo iniziando a educarlo a vivere con libertà. Lui non ci era abituato e – soprattutto – non era abituato a gestire la responsabilità che dalla libertà deriva. Ma la chiave educativa per recuperare o inserire nella società ragazzi difficili o che sono fuori dalla società perchè stranieri, è spingere sull’acceleratore della fiducia e metterli alla prova nella gestione della propria libertà nel rapporto tra loro e con noi insegnanti».
Così, Redouane e il fratello, affidandosi all’aiuto di Giuliano sono riusciti a superare il loro momento difficile e per Redouane si è aperto un periodo di grandi soddisfazioni, nell’apprendimento di qualcosa che sentiva per cui e che a detta di tutti gli insegnanti era particolarmente portato a fare ottenendo grandi risultati in termine di qualità e quantità del lavoro svolto. E questo metodo vincente è proseguito anche negli stage nelle diverse aziende (grandi e piccole perché si possa essere in grado di valutare che tipo di dimensione lavorativa è più adatta per sè) e nei rapporti con amici e insegnanti.
«L’integrazione per Redouane è stata questa dinamica: una proposta educativa di qualcuno che ha avuto a cuore solo di farlo crescere e di aiutarlo a scoprire la sua strada e a muoversi per cercare di percorrerla. Ma è la dinamica che usiamo con tutti i nostri ragazzi: è la descrizione di una compagnia nel diventare adulto della persona che abbiamo di fronte. Nel caso di un extracomunitario, quello che cambia è più che altro l’aspetto dell’inserimento lavorativo perché capita talvolta che le aziende abbiano timore, magari anche per passate brutte esperienze, di assumere ragazzi extracomunitari, ma qui sta a noi fare da “garanti” non in modo formale ma grazie al rapporto di fiducia che sappiamo costruire nel tempo con chi fa l’azienda a cui ci rivolgiamo. Il problema è sempre la persona». Oggi Redouane è riuscito a completare il suo ciclo di studi e a ottenere la qualifica a cui aspirava superando anche gravi difficoltà burocratiche insieme a Giuliano, che continua a raccontare appassionatamente i progetti, i drammi, il desiderio di costruire una famiglia e tutti i piccoli e grandi risvolti di una storia di cui oramai lui e gli altri insegnanti di ASLAM sono parte integrante, tanto che gli anziani genitori di Redouane sono arrivati dal Marocco per ringraziarli e pregare (loro sono musulmani) insieme a loro. Un esempio concreto, di ciò che vuol dire integrazione.