Ci sono voluti ben tre giorni di viaggio per raggiungere Isohe, sperduto villaggio nella Contea di Ikotos, nello stato dell’Equatoria orientale in Sud Sudan. Ben pochi sanno dove questo villaggio sia e son rare le carte geografiche che riportano il suo nome.

Sono stato là per poco meno di un mese, lavorando come medico chirurgo nella clinica St. Teresa, una struttura della diocesi di Torit fondata nel 2000 e ancora non completamente realizzata. La strada che ci arriva passa dall’Uganda e precisamente da Kitgum: da qui circa 200 chilometri di piste devastate dalla pioggia e dal passaggio di stracarichi camion conducono oltre confine, in Sud Sudan attraverso un paesaggio che a tratti ti porta indietro di secoli. L’Africa come l’avevano vista i missionari che oltre cento anni fa o più raggiungevano queste savane dopo mesi di viaggi e di stenti.

Diverse tribù che vivono esclusivamente in capanne di fango e paglia, sommariamente vestiti. Il paesaggio è di una bellezza che incute rispetto e mistero: le savane infinte che degradano verso la Kidepo valley sono qui interrotte da catene di montagne che all’orizzonte appaiono blu e sorgono improvvisamente dal nulla, roccioni scuri levigati che raggiungono anche i 2800 metri.

I villaggi attraverso cui passiamo hanno nomi esotici: Seretegna, Ikotos, Lobira, Chahari… e sono lentamente ripopolati dalle tribù che negli oltre 22 anni di guerra civile si erano rifugiate sulle cime delle montagne per sfuggire sia alle bombe aeree dell’esercito integralista islamico di Karthoum che all’ingombrante presenza dei ribelli sudisti dell’SPLA.

L’accordo di pace firmato nel 2005 ha riportato una parvenza di normalità, anche se la guerra lascia i suoi segni nella vita di oggi: la quantità di armi presente è impressionante e ogni giorno ho ricevuto in ospedale almeno un ferito, più o meno grave, da colpi d’arma da fuoco. I pastori seguono le loro mandrie con il kalashikov regolarmente sulla spalla e ti salutano sorridenti. La pace qui evidentemente non è ancora consolidata, nei prossimi due anni sono previste elezioni e referendum sulla indipendenza del Sud Sudan da Karthoum e le insidie nascoste non sono poche. Utto potrebbe precipitare di nuovo nell’orrore.

Sono a Isohe perché l’Ong AVSI è stata la prima ad arrivare in questi posti, circa 7 anni fa incontrando le eroiche suore africane che da qui non si sono mai mosse, diventando l’ultimo avamposto contro il nulla, contro la barbarie, presenti anche quando gli Antonov di Karthoum scaricavano bombe da centinaia di chili tra queste capanne e l’SPLA minava le strade di accesso.

Suor Pasqwina ha fondato una scuola-collegio, la St Kizito frequentata ora da oltre 400 allievi, l’unica presente tra queste montagne, una vera oasi, e portava gli allievi a nascondersi nelle grotte durante i bombardamenti; unica arma il rosario e il suo sorriso. Sr Florence e suor Hellen hanno invece sostenuto la clinica e l’hanno fatta crescere sino a essere uno dei pochi punti di riferimento in centinaia di chilometri.

AVSI ha accettato di aiutare la scuola, costruendo nuove classi al posto di quelle con il tetto di paglia, garantendo attraverso il sostegno a distanza i due pasti giornalieri agli alunni che provengono da villaggi lontani giorni di cammino. Nella Clinica St Teresa l’intervento di AVSI è stato complesso: costruzione del reparto di maternità, degli impianti idraulico ed elettrico, delle latrine e dotazione di farmaci e strumentario medico.

 

È in via di completamento la sala operatoria che permetterà alla Clinica di trasformarsi ufficialmente in ospedale rurale, evitando di dover trasferire feriti e madri che necessitano un cesareo urgente sino a Kitgum, là oltre il confine dove c’è il primo ospedale degno di questo nome, il St. Joseph, anche questo gestito dall’AVSI. Gli unici medici presenti, oltre a un dottore sudanese che è resistito qui solo pochi mesi ed è scomparso senza lasciare traccia, sono i medici di AVSI.

 

Il chirurgo dr. Salandini, la pediatra dr.ssa Mezzalira ed il sottoscritto si alternano coprendo circa 7-8 mesi all’anno per garantire un minimo di servizi alla popolazione e di aggiornamento agli infermieri (tutti locali). La ricerca di un medico africano comunque continua. Inoltre il compito dei volontari AVSI si estende al di fuori di queste strutture, trivellando decine di pozzi nei villaggi da sempre senz’acqua, fornendo i servizi di 5 dispensari periferici, appena ricostruiti completamente: vaccinazioni, servizi prenatali alle mamme, educazione sanitaria alla popolazione, lotta alla malnutrizione che in questi villaggi è diffusa, specie ora che dopo le scarse piogge è temuta una grande carestia come accaduto gli anni scorsi.

 

Quello che più colpisce e accoglie chi arriva in questo sperduto villaggio è il lungo viale alberato, con piante maestose seminate dai Comboniani nei primi anni del 1900. Il viale prelude a un ampio piano che improvvisamente offre alla vista una stupenda chiesa in mattoni, costruita negli anni ‘30 sempre dai missionari italiani.

 

Non si sono accontentati di un edificio per pregare, non si sono adeguati alla povertà del luogo, hanno dimostrato che a Dio va dato solo il meglio che l’uomo possa costruire: un ampio portone sovrastato da un arco, colonne all’interno, campane di bronzo, un’abside dalle forme perfette, migliaia di mattoni regolari cotti in questo villaggio, l’imponenza della bellezza che testimonia la natura del Mistero. Adesso ogni domenica centinaia di persone, per lo più giovani, partecipano con entusiasmo alla messa cantata e ballata delle 10:00, mentre i giorni feriali alle sette del mattino se ne celebra una più austera. La fede in queste vallate è ancora viva.

 

Mi chiedo quale sia il mio ruolo qui, il senso di questi progetti umanitari in posti così particolari. La maestosa chiesa forse mi suggerisce la risposta: servire Cristo nelle persone che qui vivono e soffrono, dando loro il massimo, come si conviene a esseri che sono l’immagine del Re dei Re. Per questo si vuole completare in tempi brevi la sala operatoria, affinché l’ospedale sia efficiente e completo, e si possano trattare i gravissimi problemi di salute di queste persone, dar loro acqua ed educazione, per questo val al pena di incontrare gli uomini e le donne che qui vivono e di testimoniare loro quella bellezza già presente nella chiesa.

 

Per questo è importante che dai nostri paesi si viva uno slancio missionario che arrivi fin là e renda chi vive qui a Isohe protagonista del suo sviluppo e cosciente del suo destino. Una provocazione per tanti di noi, soprattutto giovani.

 

(Alberto Reggiori)