Siamo alcuni ergastolani della Casa di reclusione di Padova. Ci troviamo in carcere da 10-15-17 anni. Abbiamo appreso dalla tv l’agghiacciante notizia del suicidio di Diana Blefari Melazzi, un gesto che sta facendo molto discutere, a differenza del silenzio sulle centinaia di altri nostri compagni che in questi anni si sono suicidati e che sono passati inosservati, forse perché “anonimi” e di nessun interesse giornalistico, ma non per questo meno “importanti” sotto l’aspetto umano, che invece dovrebbe sempre essere tenuto in primaria considerazione.
Dal giorno del nostro arresto ne è passata molta di acqua sotto i ponti, siamo stati anche in carceri “dure” e, nonostante a volte la tentazione di farla finita sia stata quotidiana, non ci siamo mai arresi alla disperazione, neppure quando ci siamo ritrovati a regime duro e completamente da soli in una cella di isolamento. La nostra natura di Uomini, e cioè di persone che cercano inarrestabilmente un senso alla vita, prende sempre il sopravvento, e questo riguarda sempre tutti anche i non carcerati – basta avere il coraggio e la lealtà di guardarsi attorno. Stante le condizioni in cui siamo di per sé dovremmo essere in pochi a non suicidarsi e invece no.
Questo riguarda tutta la società, anche chi ha tutto. Non sono le condizioni di vita: pensate che per delinquenti e non, siano così determinanti? Basta guardarsi attorno vicino – a casa propria – o lontano che sia – nei paesi più poveri.
Non sono neppure il rispetto dei diritti umani minimi a dare dignità all’Uomo. Serve una vera Speranza nella vita, di cui i diritti umani, la dignità del vivere ne sono una conseguenza. Riconoscere la positività che vince ogni solitudine, ogni violenza, ogni sopruso è possibile solo grazie all’incontro con persone che testimoniano che la vita vale più di ogni apparente mancanza e delle peggior condizioni di vita, della malattia e della morte.
Non confondiamo perciò la Speranza vera, quella che risponde alla nostre e vostre domande di giustizia, di verità e di felicità con l’acqua calda, un pasto un tetto e un po’ di rispetto (che certo permettono di vivere meglio).
Noi possiamo reputarci dei “fortunati” perché non abbiamo mai perso la fiducia, o forse non abbiamo mai avuto il coraggio di mettere in pratica tutte le strane idee che vengono facilmente in testa quando si è in condizioni disperate.
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Per quanto ci riguarda, la nostra fortuna è stata quella di aver trovato delle persone che in noi hanno visto il lato buono; persone che nonostante le pessime “referenze” hanno comunque scommesso su di noi, e anche se potrà sembrare strano, paradossalmente è stato proprio quel briciolo di fiducia a farci comprendere ancora meglio i nostri errori e il valore infinito che ognuno di noi, di voi ha.
Quando viene data una possibilità durante la detenzione non significa svilire il senso della condanna, ma anzi si aiuta la persona a prendere coscienza delle proprie responsabilità; è proprio in quel momento che si inizia davvero a pagare, a scontare veramente la condanna con la giustizia dei tribunali e soprattutto con gli altri, nei confronti della società e ancor di più verso le persone alle quali si è fatto del male.
Il sistema carcerario e legislativo purtroppo hanno alcuni controsensi. Si parla a volte di diritti umani e poi ci si indigna tanto se qualcuno propone l’abolizione dell’ergastolo, sostituendolo con una condanna ugualmente dura ma che abbia un fine pena, anche se molto lontano nel tempo, che lasci quindi un barlume di speranza e di redenzione a chi lo sconta.
Ora sembra, ascoltando i telegiornali, che il problema sia consistito solo in un controllo poco adeguato di Diana Blefari Melazzi, e che quindi bastava tenerla continuamente monitorata o per le sue condizioni “trattata in un altro modo”. O per citare un altro caso di attualità, che il povero Cucchi non fosse morto. Ecco questi casi non si possono trattare usandoli, come sempre tutto – vedi anche il caso Marazzo – a proprio uso e consumo, fagocitandoli per poi dopo un pò passare a un altro scoop.
Bisognerebbe invece porsi il problema che aldilà dell’individuo che ha commesso un reato, c’è sempre la persona, e nessuna persona è in grado di vivere se le si toglie qualsiasi progettualità o speranza per il futuro, e se la si identifica solamente e per sempre nel crimine che ha commesso.
Per quanto ci riguarda crediamo infatti che, fermo restando la responsabilità penale e quindi la giusta condanna che stiamo pagando, sarebbe importante sapere che non tutti gli occhi degli altri rimangono indifferenti allo sforzo che facciamo, giorno dopo giorno, nel voler crescere come uomini che molto hanno tolto, ma che ancora qualcosa di buono sentono di poter dare.
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È vero che la funzione della carcerazione è quella di punire una persona che ha commesso dei reati e di isolarla dalla società. Difatti ci si trova spogliati di tutto, senza più amicizie, spesso senza più una famiglia che non ti può aspettare in eterno. Si è soli con le proprie colpe, con i rimorsi della propria coscienza, rinchiusi tra quattro mura. Ma a questo punto che valore hanno i tanto declamati “diritti umani”, se non c’è nessuno che ti tende una mano e che ti dice che non sei più solo e che se vuoi puoi tentare di riscattarti?
Allora l’invito che vogliamo rivolgere a tutti e in particolare a chi si trova nelle nostre condizioni in tutte le carceri del mondo, di non smettere mai, di lottare per ottenere condizioni migliori e dignità nel vivere, ma soprattutto che si possa trovare una risposta al senso del vivere e del morire subito e questo possa rendere la vita più bella.
La felicità non è avere l’acqua calda in cella.