Il suono di un pianoforte nasce dalla cura di un’infinità di dettagli. Questo strumento, capace di commuovere, ma anche di tener testa a un’intera orchestra, nasconde infatti una fredda e complicata meccanica di leve, feltri e martelletti, in grado però di riportare fedelmente alle corde le mille sfumature con le quali il pianista può premere uno dei suoi tasti. Uno strumento misterioso, che non ha mai saputo accettare l’etichetta di “strumento a percussione” e prova a restituire, anche se in parte, quel contatto diretto con le corde, che un’arpa o un violino non negano ai propri musicisti. Trecento anni fa un padovano di nome Bartolomeo Cristofori lo inventò, desideroso di poter costruire uno strumento che permettesse di variare l’intensità del suono, superando i limiti del clavicembalo. Forse però non tutti sanno che oggi, nelle sale da concerto più prestigiose del mondo, è di nuovo un pianoforte italiano a sfidare le grandi case costruttrici americane, austriache o giapponesi, nonostante il vantaggio che hanno potuto maturare in oltre un secolo di storia e di esperienza.
L’uomo che ha creduto in questo sogno, iniziato trent’anni fa, è Paolo Fazioli. Ingegnere romano e pianista diplomato al Conservatorio, ha saputo riconvertire l’azienda di famiglia, che operava nel settore del mobile, unendo passione, conoscenza e spirito imprenditoriale. La sua “bottega” è a Sacile, nel “ricco Nord Est”, non lontano da Venezia e da quella Val di Fiemme, nella quale, non a caso, Stradivari sceglieva accuratamente i migliori abeti rossi per costruire i suoi leggendari strumenti ad arco. Il successo, con queste premesse, sembrava scritto nel destino, anche se all’inizio in pochi potevano credere in questa scommessa, come ci racconta l’Ing. Fazioli.

Come ha inizio la sua avventura?

Sono partito da zero, ricavandomi un angolino per lavorare a questa idea nella fabbrica di Sacile. Con me c’erano un esperto del legno e un esperto di acustica.

Avevate un pianoforte di riferimento quando siete partiti?

No, la scelta è stata fin da subito quella di non ispirarci a nessuno dei costruttori esistenti. Come musicista avevo capito che il mercato non aveva bisogno di un’ulteriore copia, ma di un’alternativa. Per questo ci siamo messi nelle condizioni di non dover imitare, scoprendo passo dopo passo i migliori materiali, le migliori tecniche di lavorazione, di assemblaggio e le migliori soluzioni ai problemi che si ponevano. Abbiamo avuto il coraggio di rimettere tutto in discussione e lo facciamo ancora adesso.

Avete puntato fin da subito a uno strumento di altissima qualità?

Sì, serviva un pianoforte di grande valore. Negli ultimi 50 anni invece i grossi produttori si sono adoperati per aumentare la quantità di strumenti prodotti e hanno finito per sminuire il valore del pianoforte, riducendolo a un elettrodomestico. Non è necessaria la quantità, anche perché è un mercato in diminuzione.

Per intenderci, quanti pianoforti producete all’anno e qual è il costo?

 

 

Oggi produciamo 150 pianoforti a coda all’anno, in sei modelli diversi, e non vogliamo aumentare, faremo invece di tutto, in termini di ricerca e di investimenti, per migliorarne la qualità.
Il costo va dai 55.000 ai 120.000 euro.

Qual è il vostro fatturato?

Oggi è di 5 milioni di euro ed è cresciuto ogni anno dal 10 al 15%.

Attualmente quali sono i vostri competitor?

Steinway & Sons è sicuramente il competitor più radicato nei mercati mondiali. Bösendorfer è invece in difficoltà ed è stata acquistata da Yamaha.

Se dovesse descrivere il suono che con tanto lavoro siete riusciti a ottenere?

Il suono dei nostri pianoforti è pieno di sfumature e colori, raggiunge palette sonore molto particolari, con una grande dinamica. È capace di pianissimi quasi impercettibili e di fortissimi strepitosi e senza distorsioni. Ha una cantabilità tipicamente italiana, un suono molto chiaro, capace di rimanere nel tempo. Da studente ho sempre avvertito come un tradimento i pianoforti con un suono che finisce troppo presto.

Invidia qualcosa a Steinway & Sons?

No, siamo diversi e loro non hanno i colori che abbiamo noi.

Il vostro pianoforte è più adatto a un certo tipo di musica?

Penso di no, abbiamo avuto apprezzamenti da jazzisti come Herbie Hancock, Stefano Bollani o Brad Mehldau e pianisti classici come Louis Lortie.
Forse i pianisti jazz sono stati più compatti nell’apprezzare i nostri pianoforti, ma questo perché improvvisano e probabilmente la ricchezza di sfumature è per loro una fonte di ispirazione, che li aiuta nella ricerca che fanno in tempo reale.

Quali sono stati i vostri punti di forza?

 

 

Io non ho una concezione di artigianato chiuso, imprigionato dalla tradizione, ma quella di un artigianato ancorato alla tradizione, ma che allo stesso tempo si guarda attorno e crede nel futuro. Ad esempio, ritengo fondamentale il controllo dei dati, e, per questo motivo, stiamo elaborando, in collaborazione con il Politecnico di Milano, un modello matematico che simula il funzionamento acustico del pianoforte. Questo modello ci consente di vedere cosa succede modificando le dimensioni, la geometria delle parti componenti o il sistema di montaggio. Ci indica su quale strada muoverci e sui risultati di ogni possibile modifica.

Immagazzinare e razionalizzare i dati dell’esperienza di lavoro è un approccio innovativo, è il salto di qualità rispetto alla bottega?

Il pianoforte è uno strumento acustico che funziona secondo leggi fisiche e una conoscenza approfondita di tutto questi dati non può che essere di aiuto. Data la mia formazione di ingegnere a questo ho sempre creduto.
La ricerca poi è continua, abbiamo ad esempio costruito un pianoforte dalla tavola armonica in fibra di carbonio, anche se poi abbiamo deciso di non metterlo sul mercato.

Quanto vi ha aiutato la collocazione geografica?

È stato un elemento determinante. Siamo nel distretto del mobile, l’industria è organizzata e servita al meglio. Molti giovani iniziano a lavorare nel settore del mobile e poi vengono formati da noi. In più c’è la vicinanza con Venezia, città d’arte conosciuta nel mondo, e con il cuore dell’Europa (Austria e Germania). Non si poteva scegliere luogo migliore. Per questo la produzione non si sposterà mai da Sacile. Su questo siamo integralisti, deve rimanere qui, controllata e "Made in Italy".

Quanti dipendenti avete?

Circa quaranta, la maggior parte professionisti locali, molti di cui giovani, che come dicevo, formiamo in una specie di scuola interna, dato che non esistono scuole specifiche.

In quali mercati siete presenti e dove puntate ad espandervi?

Abbiamo una trentina di rivenditori sparsi nel mondo, ma puntiamo ad aprire nuovi mercati dove non siamo presenti, come in Sudamerica, in Medio Oriente e in Russia.

La vostra crescita ha risentito degli effetti della crisi?

 

 

 

In questi 30 anni è stata costante, direi a 45° gradi, ora stiamo subendo dei piccoli contraccolpi dovuti alla crisi, ma la crescita comunque non si è arrestata. Speriamo nella ripresa, i segnali sono più che positivi.

In tempi di crisi che consiglio da ai giovani che entrano nel mercato del lavoro e a chi vuol fare impresa?

Ai giovani dico di non aver paura a impegnarsi e a rischiare in quello che credono. Crisi o no, si può fare impresa e in Italia, nonostante le sue pecche, i presupposti ci sono.

Domani verrà inaugurato il vostro nuovo show room a pochi passi dal Conservatorio di Milano. Anche questa volta bisogna aspettarsi qualche innovazione?

Non sarà uno di quei negozi dove i pianoforti sono ammucchiati uno sopra l’altro come casse da morto. Sarà invece un luogo per eventi culturali e per diffondere la cultura del pianoforte. Si potrà venire tranquillamente a provare i nostri strumenti. Nessuno caccerà via gli studenti, anche se non sono interessati all’acquisto, come capitava a me ai tempi del Conservatorio.

(Carlo Melato)