“Cometa” è un posto bellissimo. Uno spazio, un’impresa, un rifugio, soprattutto una casa, sopra i colli di Como. Cometa accoglie ragazzi feriti e difficili, figlie e figlie, padri e madri. Cometa è un gioiello e un’avventura, un pezzo di bene bellissimo a vedersi, dalle facciate ai soffitti, dai pergolati ai cuscini, dalle sedie alla bontà dei piatti in tavola. Ma meglio ancora le facce, bellissime, dei tre fratelli Figini e di tutta la loro immensa tribù.
Riccardo Muti spinto, letteralmente, dall’entusiasmo commosso di sua moglie Cristina e del maestro Angelo Nicastro, ieri si è innamorato di Cometa. L’ha visitata, ha mangiato con lei, ha suonato per lei. Con l’Orchestra giovanile Cherubini, al Teatro Sociale di Como, le ha regalato – dire concerto di beneficenza è inadeguato, spiega – una delle sue più riuscite avventure, quel “Don Pasquale” tutto giovane che ha trionfato un po’ dovunque e sta ripartendo in tour per l’Europa: Liegi, Colonia, Parigi. Ma la prova generale Muti la fa qui, a Como, per Cometa.
Mentre gira fra le bellissime stanze che ospitano storie grandi e difficili di tanti ragazzi (avete mai visto niente di simile, nei luoghi sempre un po’ tristanzuoli pur dedicati alla bontà?) Muti dice: «Cometa è un gioiello, un esempio per le prossime generazioni di come fare cose serie e concrete con un di più di umanità. Ecco – aggiunge -: ci vuole lo slancio di tutti, per valorizzare le cose positive che ci sono nel nostro Paese. Vanno fatte conoscere». E intanto con questo concerto prende posizione, dà una mano.
Poi, spinto dai Figini curiosi e incalzanti, parla di sé, del suo lavoro maieutico coi giovani cherubiniani, del solito ma-chi-glie-lo-fa-fare, a lei che è tornato da due giorni da Chicago e fra poco sarà di nuovo a New York? Risposta: «In un paese dove l’educazione e la cultura non valgono nulla, dove si stava svendendo a qualche magnate russo persino il patrimonio del Vasari, qui c’è il meglio prodotto dai Conservatori italiani. Crescono affrontando pagine difficili e formative, imparano il gusto del lavoro in orchestra, e poi le migliori compagini italiane ce li portano via. E ogni tot anni, è la regola per queste formazioni, ricomincio daccapo con altri giovani».
«È la stessa passione per l’umano che muove noi – sottolineano i Figini circondati dai loro ragazzi -: l’educazione è tutto». Muti allora si fa pungente: «L’equivoco nostro è quello di credere che per coinvolgere i giovani serva del marketing invece che dell’educazione, come se per costruire un grattacielo si dovesse cominciare dall’ultimo piano». Sospira, il maestro: «Dopo tanti anni di impegno sembra che in questo nostro Paese non cambi nulla». Figini: «Non è vero che non cambia nulla. Guardi cosa fa lei coi ragazzi della Cherubini!».
Ma è già ora di pranzo, i ragazzi di Cometa aspettano l’ospite, vogliono vederlo da vicino. Lui si racconta semplice semplice e torna ai regali del suo San Nicola d’infanzia: «Fra cavallucci e trenini c’era il carbone vero (l’ho mangiato) e un anno (il più brutto S.Nicola della mia vita) al posto della pistola ad acqua ebbi in regalo un piccolo violino. Io e i miei cinque fratelli, papà ci obbligava a suonare e studiare. Così dalla finestra guardavo invidioso i miei coetanei che giocavano al pallone. A me toccava di tirar l’arco e solfeggiare: una tortura».
«Scarsi i risultati, volevo smettere. Mia madre insisté: "Ancora un mese". Frase strana, io non volevo diventare un maestro. Maestro a Molfetta voleva dire direttore della banda. Così avrei dovuto fare l’avvocato (delle cause perse, sfotteva mia madre), fu questa la decisione in famiglia, ma insieme alla musica. Insomma me la sudai la mia adolescenza a Napoli, fra il Conservatorio San Pietro a Maiella e il liceo Vittorio Emanuele. Anche un santo come Giuseppe Moscati ci ha studiato, e c’è nell’atrio una lapide coi nomi degli alunni famosi. "R. Muti" è l’ultimo in fondo, il nome intero non ci stava. Ma sono l’unico ancora vivo, l’unico superstite. Insomma sono un classico prodotto della scuola italiana, e ne sono fiero».
I ragazzini della grande tavolata di Cometa lo guardano incantati, la forchetta nel vuoto. «Una volta anni fa, quando dirigevo a Philadelphia – continua Muti – andai a visitare l’Università dell’Indiana, di grande reputazione. Grande sala da musica, due gran coda Steinway a disposizione, impianto audio meraviglioso, tappeti, gran lusso. Io pensai: vengo da una stanzetta con un vecchio, polveroso mezza coda contornato da sei sedie impagliate, illuminate a fatica da una luce fioca. Ma per quelle stanze duecento anni fa ci passeggiava Paisiello. Abbiamo una storia, veniamo da lontano, dissi agli amici americani. Voi ancora no».
E chiude distillando saggezze, cosa da cui la sua proverbiale ironia lo tiene normalmente lontano. Ma per i ragazzi di Cometa si trasforma: «La vita è sorpresa, si aprono porte inaspettate: non lasciatevi cogliere impreparati dal destino. Si apre e si chiude una porta, l’occasione come è arrivata se ne va. I sacrifici ci preparano a questo». E pensoso, chissà perché, parla del "suo" Mozart sempre diverso nel tempo e sempre in cerca di perfezione.
La sera in teatro, però, va in scena la finissima caratura buffa del "Don Pasquale" di Donizetti, in forma di concerto. Ai lati del palcoscenico, occupato da coro, orchestra e solisti, intravedi le facce stupite dei ragazzi di Cometa e della tribù Figini al completo: sono loro gli ospiti d’onore. Il violoncello apre le danze e la musica va, bella e difficile. Teatralissima, intessuta nel cuore del testo, italianissima, solare ma anche malinconica e piena di sottigliezze. Al solito ci vuole il "Muti touch" per accorgersene.
Torna la fiaba istruttiva del vecchio che si illude di far innamorar di sé la bella Norina, e invece ne viene gabbato, spolpato, sbeffeggiato e infine aquietato. Disilluso s’arrende alla fine al sano corso delle cose: sbocci l’amore fra i giovani al giusto tempo, e siano i vecchi loro saggi sostenitori. In Cometa s’è letto il libretto di Giovanni Ruffini la sera prima, dunque i ragazzi son qui consapevoli e divertiti, pronti a gustare il menù: le finezze donizzetiane, le spiritose baruffe della compagnia vocale, i sapienti fraseggi di Muti in orchestra che riportano quel 1843 di nascita verso leggerezze più settecentesche.
Una giornata diversa, una giornata speciale per Muti e Cometa. I più generosi, quelli che costruiscono in silenzio e nell’ombra, si meritano a volte qualcosa di molto speciale. Ma il nostro dopo concerto, stasera, è pieno di nuovi pensieri. Si può vivere così, con la bellezza e la gratuità che si danno la mano? E non saranno posti come questo, dove le vedi a braccetto, che salveranno questo nostro disastrato e bellissimo Paese? Anzi, che lo stanno già salvando?