Prima della morte di Eluana, dieci detenuti del carcere di massima sicurezza di Padova avevano inviato questo appello ai loro amici della cooperativa Giotto, chiedendo di recapitarlo a Beppino Enlgaro. Nelle loro parole la testimonianza di esistenza spezzate, che hanno però saputo recuperare il senso del valore della vita
Siamo un gruppo di 10 detenuti reclusi presso il carcere di Padova, all’interno dell’istituto c’è una infermeria attrezzata che assieme alla nostra disponibilità potrebbe permettere ad Eluana di vivere finché Dio vorrà.
Sì, vivere, perché solo un “Uomo Vivente” può provocare quello che Eluana sta provocando in tutta Italia in molte persone credenti e non.
Sì, forse Eluana è più viva di noi.
Affidiamo questa richiesta con alcuni pensieri ai nostri amici della cooperativa Giotto, affidiamo a loro i nostri nomi, perché vogliamo rimangano segreti, perché non cerchiamo nulla se non testimoniare attraverso il nostro dolore per il male fatto, la “Bellezza” che ci è accaduta incontrando delle persone che anche nella nostra condizione ci vogliono bene.
Le riflessioni di alcuni carcerati sul “caso” Eluana
1.
Da mesi, ma soprattutto in questi ultimi giorni, sta tenendo banco su tutti i giornali e televisioni quello che viene definito “Il caso di Eluana Englaro”. Da sempre l’opinione pubblica è divisa sul se sia giusto o meno interrompere l’alimentazione artificiale e quindi lasciare morire Eluana.
Penso ai suoi genitori e al fatto che vogliano portare a termine quelle che secondo loro erano le volontà della ragazza, se fosse finita nelle condizioni in cui ora si trova. Il dolore di questi genitori merita il più dignitoso rispetto, ma è spontaneo che sorga in ognuno di noi l’interrogativo che tutti si pongono: può “decidere” l’uomo della vita o della morte di un’altra persona?
Inoltre, ciò che viene definito “volontà” è un qualcosa di definitivo o può variare a seconda delle circostanze, degli stati d’animo o delle variabili che ci portano a sperare? Quanti di noi, a distanza di tempo, si sono resi conto che quello che in un determinato periodo della vita era certo, col passare degli anni è diventato qualcosa di irriconoscibile e quindi incerto.
Sembrerà paradossale, inopportuno o forse orribile che proprio chi è dietro a delle sbarre e ha sulle spalle la macchia tremenda di aver commesso degli omicidi, vi dica quello che sto per dire. Ma proprio la orrenda esperienza vissuta, il rimorso e la profonda riflessione sul senso della vita possono aprire varchi o visuali che diversamente non si sarebbero potuti avere. Ed io non li avevo.
Mettiamo al mondo dei figli, li amiamo e li facciamo crescere. Ma può essere tutto lì? Ormai credo, come tanti, che ci sia un qualcosa di molto più grande di noi, di incomprensibile, un disegno al quale tutti siamo chiamati. Io posso mettere al mondo un figlio, ma la sua vita non sarà mai la mia, e lui in autonomia è portato a dover seguire il disegno che Dio ha fatto per lui, come ciascuno di noi dovrà seguire il proprio. Un disegno che è individuale e sul quale nessuno può decidere per l’altro. Se la volontà Divina ci ha voluti al mondo, sia con le gioie che con le atroci sofferenze siamo tenuti a vivere il bene più prezioso che un uomo possa avere. La vita.
Non esiste sofferenza, dispiacere o situazione che ci possa portare a pensare di voler rinunciare a questo bene così grande. Ma quando si parla di “spirito di sopravvivenza” di che cosa parliamo? A volte veniamo schiacciati, umiliati portati allo zero più assoluto, però all’attimo estremo, quando un istante prima pensavamo di esser finiti, nasce improvviso e irruento in noi un senso di ribellione che ci fa ancora alzare la testa, ci fa voler vivere. Ognuno di noi, tutti quanti, se dovessimo toccare quel punto estremo reagiremmo allo stesso modo: vorremmo vivere.
Porto due personali esempi che in qualche modo possono forse far riflettere sul categorismo delle “ultime volontà”.
Mia madre gravemente malata fu categorica e mi fece giurare che se fosse dovuta essere ricoverata in ospedale in fin di vita, io non sarei dovuto andare scortato a trovarla per darle l’ultimo saluto.
Io lo giurai, e lei purtroppo tempo dopo fu ricoverata con i giorni contati. Con sofferenza, molta sofferenza, decisi di infrangere le sue “ultime volontà” e scelsi di farmi scortare in ospedale per vederla l’ultima volta in vita. Arrivai in ospedale ed era sul letto ormai irriconoscibile e consumata dalla malattia. La morfina e la sofferenza non le consentivano di essere sempre cosciente, ma appena mi vide e si rese conto che io ero lì davanti a lei, le si illuminarono gli occhi. Con voce strozzata le dissi subito di perdonarmi se non avevo tenuto alla promessa che le avevo fatto… ma non mi fece nemmeno finire che mi disse: “Hai fatto bene, sono felice che tu sia qua”.
Il secondo esempio, più leggero, forse improprio ma significativo, è che quando ero libero mi sono sempre detto che se avessero dovuto arrestarmi l’avrei fatta finita. Che non avrei mai potuto vivere anni e anni dietro a delle sbarre, piuttosto avrei voluto morire. All’epoca, se avessi potuto lasciare un testamento scritto lo avrei fatto proprio in quel senso.
Sono passati ormai 15 anni da quel giorno e sono ancora qua, felice di esserci anche se con sofferenza, anche se con atroci rimorsi per il male fatto e anche se rinchiuso e con poche speranze per una vita fuori dal carcere. Se ripenso a quel giorno so che quello che mi ero prefissato era un qualcosa che in quel tempo avrei voluto con assoluta chiarezza, oggi mi dico che sarebbe stata la cosa più scellerata che avrei potuto volere.
Per questo non credo più in sostanza a quello che possano essere chiamate le “ultime volontà”.
Perché non esistono! L’unica volontà certa ed infinita è quella di Dio.
Mi chiedo perché volere la morte di queste povere creature, chi siamo noi per poterlo decidere? Alcune sono nella profonda sofferenza, altre non hanno più stimolazioni per comprendere la loro situazione totalmente dipendente dagli altri. Ma perché non possiamo continuare ad accompagnarle nel loro cammino, quale che sia! Ci sono detenuti che sarebbero disposti prendersi cura di loro, seguirle e stargli vicino. Non importa se non si dovessero rendere conto dell’aiuto ricevuto, ma in coscienza mi dico e dico che ogni uomo deve stare al fianco del suo simile e aiutarlo, anche quando le speranze per un ritorno alla “normalità” sono finite.
Lo spirito di sopravvivenza ci insegna che il nostro istinto primordiale è quello di continuare a vivere sempre, e la nostra speranza estrema dev’essere quella di portare a compimento quello che ci è stato donato, con accettazione.
2.
È molto difficile esprimere la propria opinione sulla dolorosa storia di Eluana, un dramma talmente dolente che il papà stesso ha deciso di porvi fine, chiedendo di lasciarla morire. Sì perché, comunque la si voglia girare sempre di morte si tratta, e anche se non vorrei schierarmi né da una parte né dall’altra, quando ho saputo che tra 15 giorni il cuore di quella donna cesserà di battere, ho pensato a quanto tutto ciò sia ingiusto. Con quale diritto l’uomo può decidere di fermare un cuore che batte, che “respira”? Con quale diritto si nega l’alimentazione a un essere umano? Un bambino non si lascia morire, anzi si cerca di accudirlo ancora più premurosamente proprio perché non è autonomo, lo si allatta e lo si pulisce, gli si dona tutto l’affetto di cui un genitore è capace, perché invece Eluana deve morire? Se Dio non l’ha ancora portata con se, evidentemente il suo disegno non si è ancora compiuto, il valore di ognuno di noi è universale e come tale va accettato.
Si continua a parlare tanto di moratorie contro la pena di morte, alle quali anche l’Italia ha aderito, ed ho provato a pensare che se io – che pure ho commesso il reato più ignobile e sprezzante che esista, e cioè l’omicidio – decidessi per qualsiasi motivo di lasciarmi morire, cercando di suicidarmi o smettendo di mangiare, proprio perché la vita è sacra lo Stato cercherebbe in tutti i modi di impedirmelo, e allora mi chiedo: se non si lascerebbe morire neppure una persona con colpe terribili come le mie, perché invece si autorizzano dei medici a lasciar morire di fame e di sete una donna che di colpe non ne ha neppure una?
Qui in carcere ho un amico che lavora al call center gestito dalla Cooperativa sociale Giotto, dove si prenotano visite mediche per conto degli ospedali cittadini. Proprio ieri è successa una cosa che mi ha fatto molto riflettere: al termine di una telefonata, una signora di 81 anni si è messa a singhiozzare. Si è scusata spiegando all’operatore che era tutto il giorno che piangeva, dopo aver saputo che Eluana avrebbe smesso di vivere e ha aggiunto: «ho perso mio marito un anno fa, e penso che presto, come io non vedo più mio marito, anche quel papà non vedrà più sua figlia».
Sono convinto che una cosa non la si possa conoscere fino in fondo finché non la si prova sulla propria pelle, e quindi non posso sapere quanto dolore abbia provato Beppino Englaro per arrivare a decidere che sua figlia deve smettere di respirare. Però anch’io penso al momento in cui quel papà non potrà più vedere né abbracciare sua figlia, e temo che anziché placarsi, forse il suo dolore aumenterà di intensità. Credo davvero che quell’uomo avrebbe avuto bisogno di essere aiutato a superare la sofferenza quotidiana di vedere Eluana ridotta a una larva, e stanco nel fisico e nella mente dalla continua e amorevole assistenza che non le ha mai fatto mancare, ha preso una decisione che probabilmente non allevierà le sue sofferenze.
E allora sarebbe stato importante aiutare quel papà a dare la giusta collocazione a tutto il lacerante dolore accumulato in questi 17 anni, anche perché ogni persona reagisce alla sofferenza a modo suo. Anche se il contesto è completamente diverso penso ai miei genitori, che all’improvviso, dall’oggi al domani, si sono ritrovati con un figlio assassino condannato all’ergastolo, pena che in qualche modo rappresenta comunque una condanna a morte. Eppure i miei genitori, profondamente sconvolti da questo fatto, e soprattutto dal fatto che io fossi responsabile di reati inaccettabili per qualsiasi essere umano, hanno avuto reazioni abbastanza diverse.
Mia madre mi ha sempre detto che se ogni mese non viene a trovarmi, se ogni mese non viene a parlare con me (e come tutte le mamme, e nonostante i miei 44 anni, continua a chiedermi se ho mangiato, se ho freddo eccetera), non riesce più a dormire la notte. Ogni volta arriva felice di vedermi, e mi abbraccia e mi coccola con tenerezza…
Mio padre invece ha avuto la reazione opposta. Non lo vedo dal 2000, ma non perché non mi voglia bene, anzi forse me ne voleva troppo. Entrava a colloquio e piangeva ininterrottamente dall’inizio alla fine, riusciva a malapena a biascicare qualche parola e, alla fine delle due ore di colloquio, se ne andava con le lacrime che scendevano lungo il viso e i singhiozzi che gli impedivano perfino di salutarmi. Stava troppo male, così dal 2000 ha deciso di non venire più a trovarmi, ha fatto questa scelta ed ha preferito non vedermi più piuttosto che vedermi rinchiuso dietro le sbarre, condannato a una pena senza fine. Seppure a malincuore ho rispettato e continuo a rispettare la sua scelta, anche se mi sembra una decisione dettata da un istinto di sopravvivenza che assomiglia un po’ alla decisione di Beppino Englaro rispetto a sua figlia Eluana.
Ho responsabilità penali molto gravi e non ho la possibilità di uscire dal carcere, e anche per questo la mia voce conta poco o nulla, ma se mi venisse chiesto di esprimere un desiderio su Eluana le mie idee sono chiarissime, anche se sicuramente irrealizzabili: in questo carcere c’è un’infermeria che con pochi accorgimenti potrebbe essere adeguata ad ospitare Eluana. Se ci venisse affidata saremmo proprio noi ad assisterla con tutto il calore e l’amore fraterno di cui, molto probabilmente, sente ancora il bisogno. In questo modo lei continuerebbe a vivere e anche noi che conosciamo bene quanto devastante e lancinante sia il dolore che si prova per aver spento delle vite umane, ri-torneremmo almeno un po’ alla vita sapendo di aver finalmente fatto qualcosa di buono e di utile.
3.
Mi chiamo …, ho … anni e sono in carcere condannato a “fine pena mai”. Proprio per questo non dovrei giudicare e forse nemmeno esprimere il mio parere, soprattutto riguardo alle decisioni che hanno perso i medici e ancora di più i genitori di Eluana, ma sono certo, ora che ho capito quanto male io abbia fatto, che non si può decidere dell’esistenza di una vita mandata da Dio, ed è proprio per questo che io non vorrei mai più smettere di pagare pur di restituire quello che ho tolto. Voi che avete deciso la sorte di Eluana, perché volete diventare come me, e cioè un assassino? Non ci sono motivazioni a un gesto come il mio, ma io forse un motivo minimo per fare quello che ho fatto forse l’ho avuto, ma voi che motivo avete per uccidere una ragazza? Non voglio giudicarvi, ma non vi voglio nemmeno colpevoli come me, e allora perché non aspettare che un fiore sbocci nuovamente, e che torni a rivivere? Anche se, vedendo che cosa dalla sua stanzetta Eluana sta provocando in tutta Italia, forse è più viva di noi.
Vorrei donare a Eluana tutte le cure che vengono riservate a me. Io sono già stato fin troppo fortunato perché posso comunicare con voi, posso dirvi “ho sete, ho fame!”, e voi cosa avete capito della carità, dell’obbedienza e soprattutto dell’amore? Aprite gli occhi e lasciate da parte l’egoismo, si parla tanto di non abbandonare gli animali(e non mi si venga a dire che gli animali sono capaci di intendere e volere), di non maltrattarli, e come la mettiamo allora con Eluana?
Per quanto possa servire, in nome di Dio vorrei chiedervi di fermarvi, anche se non è proprio la stessa cosa non fate gli errori che ho fatto io, fermatevi e ascoltate il nostro Creatore. Eluana è ancora viva e questo è già un segno, non diventate assassini come me perché non sta a noi esseri umani decidere della vita! Sarà Lui a decidere quando prendersi Eluana, che per ora è ancora tra di noi. Vi prego, ascoltate queste parole!
4.
Vengo da …, sono in carcere da 5 anni e vedendo le fotografie di Eluana, soprattutto quelle di quando era piena di vita, penso che non si debba lasciarla morire. Nonostante io sia detenuto, se posso contribuire in qualsiasi modo per aiutare questa ragazza sono disponibile, facendo volontariato o anche lavorando pur di tenerla in vita. Si spendono tanti soldi per le cose superflue, o addirittura per le guerre, possibile che non si possa aiutare un angelo come lei? Se il Signore ci ha creato è perché ci vuole bene, e se Eluana continua a respirare nonostante si trovi in quelle condizioni è perché Lui vuole farla vivere e interrogare tutti noi.
Probabilmente quello che ci fa più scandalo, quello che fuggiamo, quello di cui abbiamo paura è il fatto che se ci poniamo delle domande sul significato della nostra vita, qualche risposta arriva.
Io, e molti di noi qui dentro per anni e anni, non abbiamo voluto porci delle domande e ci sembrava di possedere il mondo, di essere liberi e felici, ma in realtà eravamo schiavi e profondamente infelici.
Che paradosso, oggi che sono in carcere mi sento più libero e più felice.
Cari papà e mamma di Eluana vi siamo con tutto il cuore vicini e speriamo che quello che è successo a noi possa accadere anche a voi.
Un abbraccio, vi aspettiamo.
La risposta della Cooperativa Giotto
Grazie. Sì, grazie; è con stupore e gratitudine che accogliamo, facciamo nostra e consegniamo al papà e alla mamma di Eluana questa vostra disponibilità a cui si aggiunge anche la nostra.
La consegniamo al papà e alla mamma di Eluana, ma anche a tutti gli Italiani.
Che strana che è la vita.
In queste ultime settimane non si fa altro che parlare (e molto a sproposito) di due argomenti: di Eluana, e dei “delinquenti”. Argomenti così delicati e difficili non possono essere trattati attraverso incontrollate scariche emotive (tra l’altro ben indotte presso il popolo).
Entrambi li si vorrebbe eliminare, in entrambi i casi la parola speranza viene spazzata via velocemente. E che da un luogo come il carcere, dove nulla di buono ci si può aspettare, dove il male viene relegato (o ci si illude di relegarlo), emerga un segno di speranza non può non colpire, non può lasciarci indifferenti.
Siamo grati dell’umile testimonianza che ci arriva da chi nella vita ha sbagliato tanto e in maniera gravissima. Per un padre, quando un figlio perso torna a casa, è prevalente la richiesta di perdono che fa scaturire un immediato abbraccio amoroso più di tutti i torti ed il male fatti.
Un nostro amico detenuto, che a causa di una grave malattia oggi non è più tra noi, poco tempo prima di morire, assieme ad altri suoi compagni scriveva: “Quando ci si rende conto del male fatto, non si vorrebbe più finire di scontare la pena, e anche quando la si è finita di scontare, il dolore che rimane nel cuore è grande.”
Vogliamo anche noi assieme ai detenuti essere vicini alla mamma ed al papà di Eluana in questo momento così tremendamente doloroso, desiderando che il loro cuore possa trovare al più presto pace e serenità. Che la domanda che il loro cuore ha di felicità possa trovare una risposta.
Pace, serenità, felicità che arriva quando si incomincia ad intravedere, a trovare il senso delle cose della vita, di quelle belle e di quelle dolorose.
Eluana è stata, prima per pochi e ora per tantissimi, uno strumento, un segno di questa domanda.
Questa domanda di significato, di cui Eluana è solo uno strumento, ha bisogno di incontrare una risposta, altrimenti il dolore diventa insopportabile. Non è perciò eliminando Eluana che noi risolviamo il nostro problema.
Cari mamma e papà di Eluana vi siamo veramente vicini, desiderando che come per noi, ma ancor di più per i nostri amici carcerati, il vostro dolore possa al più presto approdare ad un porto “Sicuro”.
Assieme ai nostri amici carcerati vi aspettiamo al più presto a Padova.
Nicola Boscoletto, Andrea Basso, Alessandro Krivicic, Roberto Fabbris, Andrea Boscolo, Roberto Bonsembiante, Issa Mohamed, Alberto Rizzetto, Anna Pedrazzini, Michele Ciatto, Gianluca Chiodo, Luca Passarin, Lorenzo Chillon, Mariano Varotto, Matteo Florean,…