Un testimonial di eccezione, il mitico Albert Adrià, titolare con il fratello Ferran di El Bulli, il ristorante più famoso del mondo, per un’iniziativa sociale della pasticceria più strana d’Italia.

Siamo nel carcere penale di Padova, dove i detenuti sfornano a ripetizione panettoni e colombe. Una pasticceria sociale già di suo. Eppure qui il 27 marzo è stata presentata con lo slogan “La carità aiuta la carità, il sociale aiuta il sociale” un’idea che rende ancora più non profit il laboratorio artigianale dietro le sbarre. Chi acquisterà infatti le pregiate colombe pasquali dal sito www.idolcidigiotto.it potrà infatti devolvere un euro alla Fondazione Banco alimentare e alla sede padovana dell’Ail, Associazione italiana per la lotta contro le leucemie. Quanto al testimonial, ci si aspettava una primadonna, una star dei fornelli. In fondo è lui l’uomo delle meringhe effervescenti, delle gelatine calde, del caviale vegetale, delle olive verdi sferiche.

Invece Albert, il centravanti della pasticceria spagnola e forse mondiale, ha stupito tutti, giocando in contropiede. In carcere c’è rimasto oltre due ore, provenendo dalla Spagna con una tappa intermedia (per modo di dire) ad Hong Kong. E si è messo letteralmente in gioco con un’umiltà che ha stupito tutti. Ha impastato, decorato, spolverizzato di zucchero a velo le colombe artigianali realizzate dai detenuti assunti dal consorzio Rebus. Ha presenziato con molta attenzione al lancio della campagna sociale a favore di Ail e Banco Alimentare. E infine, quando ha parlato, lo ha fatto in punta di piedi, definendo la sua avventura in carcere «una delle sorprese che ti serba la vita».

«Come il fatto che oggi sono considerato un grande chef, è una cosa che mi sorprende, per la stessa cosa sono meravigliato di essere qua, sono contentissimo di essere qui oggi. Sono meravigliato di essere qui. Questa esperienza mi ha colpito profondamente, la società ha bisogno di realtà come questa. Spero di collaborare attivamente a questo progetto».

Ecco le altre dichiarazioni del pasticcere spagnolo rese alle telecamere che lo assediavano.

«Non sono una persona di parola facile, chiedo scusa, il mio mestiere è fare il cuoco. Io stesso sono un messaggio di speranza. Sono cresciuto in un paesino molto umile, da una famiglia umile, dove la delinquenza era un modo per andare avanti. Io ero un bravo ragazzo e mi sono sempre comportato bene, ma non avevo nessuna prospettiva. A quindici anni, quando ho avuto la possibilità di imparare un mestiere, questo mestiere mi ha permesso di formarmi come persona e di arrivare dove sono arrivato oggi. Tutto grazie alla pasticceria. L’unica cosa che posso dire è che non sono nessuno per dare consigli. Posso solo ringraziare enormemente della possibilità di visitare il carcere».

Qual è stato il suo percorso culinario?

«Grazie alla cucina moderna la Spagna è conosciuta in tutto il mondo. Adesso vogliamo far conoscere la nostra cucina tradizionale. Quando ho cominciato nel 1985, io ero conosciuto solo in Spagna. Adesso la cucina spagnola è famosa in tutto il mondo fino in Cina. Ora il mio futuro è far conoscere la cucina tradizionale come le tapas, perché per me mangiare dev’essere divertente come la vita e la tapas sono il modo più divertente di mangiare. Il mio intento è quindi di ritornare alla tradizione nella maniera più rigorosa, più pura: per esempio, se devi fare la salsa spagnola tradizionale, la devi fare “grossa”, senza raffinarla, senza usare tecniche moderne. Quello che sto facendo adesso è leggere e mangiare, per conoscere e imparare la tradizione bisogna leggere e mangiare molto».

Quello che ha visto in carcere è un esempio del fatto che qualità e il sociale possono andare insieme?

«Per me è soprattutto un esempio di intelligenza. Occorre rendersi conto di possedere delle qualità per fare qualcosa e dire “allora lo faccio”. E poi è un esempio di valori: potenziamento della tradizione, saper fare trattative, ordini, vendite, c’è dentro tutto».

Visitando il carcere ha ritrovato qualcosa che le ha fatto ripensare alla sua storia?

«Sicuramente, ho ripensato a quando avevo quindici anni e non avevo futuro. Grazie alla ristorazione e alla pasticceria mi sono formato nella professione come persona e come uomo, io devo tutto al mio lavoro».

Si può dire che il cibo aiuta a stare meglio sia nell’anima che nel corpo?

«Soprattutto per un italiano. Sicuramente per un latino il cibo non è solo un fattore organico, ma anche emozionale».

La prima emozione che ha provato entrando qui?

«Sono uno a cui piace riflettere, preferisco tornare a casa e analizzare bene tutto quello che ho visto, ho visto moltissime cose, cose che non potevo neanche immaginare, qui si sta facendo un lavoro sociale incredibile. Questo luogo non sembra assolutamente un carcere, i risultati di questa realtà sociale si vedono e deve essere appoggiata».

Ha raccontato la sua storia, una storia che comincia da lontano, che parte da una condizione umile…

«Si, io e mio fratello Ferran veniamo da una famiglia molto umile, abbiamo vissuto in un contesto dove non si può essere sicuri del proprio futuro, siamo cresciuti in un quartiere di Barcellona dove la vita era tutto tranne che facile. Ciò che ci ha permesso di venir fuori, e diventare tutto quello che siamo e che la gente conosce, è stato il lavoro a cui devo tutto, la mia crescita come professionista, come persona, come uomo».

E adesso a cosa sta pensando? Ha in mente qualcosa di nuovo?

«Adesso? Penso solo di approfittare del tempo che mi è dato di stare qui a Padova, domani a Venezia… e così giorno per giorno. adoro vivere giorno per giorno. Non so se c’è inferno e paradiso. Non so se ci sono date da vivere due vite. Io cerco di vivere questa vita meglio che posso!»

Lei è un pasticciere famoso…

«No, no. Io non sono famoso nel 95% del tempo, molto più spesso sono un professionista che si trova ogni volta di fronte a clienti che gli chiedono di provare una sensazione nuova».

Le sembra fatta bene questa colomba?

«Sicuramente. Io 3 o 4 anni fa mi ero cimentato a fare il panettone e mi è sembrato così difficile da non riuscirci, è la verità. Tra tutte le lavorazioni artigianali della tradizione questa è la più difficile del mondo».

Insomma con la sua modestia e la sua classe nel carcere italiano il centravanti degli chef spagnoli ha fatto gol. Ma Spagna-Italia, stando alle sue dichiarazioni, finirà 1-1, se è vero che i dolci di Giotto sono attesi da una trasferta iberica impegnativa ma che promette molte soddisfazioni…