Quando suonavano il campanello della famiglia di Assunta, al settimo piano di quel palazzo di 9 piani sporco e scrostato, Ema e Antonio non immaginavano che quella frase “Condividere i bisogni per condividere il senso della vita”, che tante volte avevano sentito e tante volte ripetuto facendo il Banco di Solidarietà, sarebbe entrata nella loro carne con la forza di un’esperienza reale, vissuta e gridata.

Perché era proprio un grido quella lettera che Assunta aveva scritto a loro, anzi più precisamente a Ema, che qualche giorno prima l’aveva invitata alla festa per il Battesimo del suo terzo figlio. Quattro pagine piene del racconto di una vita di fatica e di dolori, di un tunnel alla fine del quale non si riesce mai a intravedere una luce. O almeno così sembra. Perché poi la lettera di Assunta si conclude così:

«Insomma, la mia vita è un disastro: i miei figli non obbediscono e mi trattano male, anche a scuola gli insegnanti si lamentano di loro. Io e mio marito litighiamo sempre. I vicini e tante persone che ci conoscono non fanno altro che commentare e criticare quello che facciamo. Però quando tu Ema ci hai invitato al Battesimo di tuo figlio, sono stata contentissima perché ho capito che tu ci vuoi bene. E allora ho capito che anch’io valgo».

Ema e Antonio avevano conosciuto Assunta e il marito Mimmo solo un anno prima. La loro situazione era stata segnalata da un’amica comune. E in effetti quando avevano varcato la soglia della casa di Paola si erano scontrati con una situazione davvero difficile: una povertà tangibile, una casa trascurata, una vita familiare disordinata e pasticciata. Loro erano entrati in quella vita con un pacco di generi alimentari in mano: il gesto dei Banchi di Solidarietà, che in migliaia di case italiane aiutano famiglie povere con questo pacco e con una presenza amica.

Assunta era sposata con Mimmo, entrambi alla soglia dei trent’anni. Lei era scappata da casa all’età di 20 anni per stare con Mimmo, e non era più tornata indietro. Ma la vita si era subito presentata difficile. Soprattutto mancava il lavoro. Quando sono arrivati i figli – tre, uno dopo l’altro – mandare avanti la casa con pochi soldi sembrava impossibile. Mimmo, armato di buona volontà a giorni alterni, si era pure inventato un lavoro: acquistava auto usate e le rivendeva; ma non effettuava il trapasso, non per scaltrezza, ma per un misto di ignoranza e ingenuità. Qualche soldo da questa attività gli restava in tasca, ma poi gli sono arrivati tutti i bolli da pagare: tutti in una volta, per un valore di qualche milione di lire.

E c’era anche di peggio: un grosso debito di quasi 20 milioni di lire per un acquisto di casalinghi fatto tramite una telepromozione in Tv; in realtà la spesa era inferiore a meno di un milione, ma gli interessi delle rate non pagate avevano fatto decollare la cifra. Forse anche oltre il lecito. Che fare?

Ema e Antonio chiedono aiuto a un avvocato loro amico, che contatta l’azienda venditrice. Si prepara un piano di rientro che sia sostenibile dalla famiglia di Assunta: il creditore accetta di dimezzare il debito. Un po’ alla volta con molta fatica – perché il lavoro va e viene – cominciano a pagare le rate, grazie anche al costante richiamo e sostegno di Ema e Antonio che ogni due settimane sono lì da loro, con quel pacco di generi alimentari e con un rapporto che cresce e che si fa carico anche di altri bisogni: ad esempio il bambino che va male a scuola, la figlia maggiore che cominciava a frequentare pessime compagnie; ma anche il problema della casa. Quel palazzo di 9 piani è un pessimo ambiente dove crescere figli.

Così Ema e Antonio si danno da fare per trovare una nuova casa ai loro amici. Non è facile, ma quando raccontano a un assessore locale tutto quel che succede grazie al Banco di Solidarietà e soprattutto la situazione drammatica di Assunta e Mimmo, l’assessore si prende a cuore quella famiglia. Intanto Assunta resta di nuovo incinta: lei e il marito non sanno che pesci prendere, entrambi si convincono poco a poco che la soluzione più realistica sarebbe quella di rinunciare al bambino che sta arrivando. Ma Ema e Antonio non li lasciano soli con questa decisione: sono sempre più spesso lì ed è forse proprio questa presenza fedele e la promessa che continueranno ad essere lì con loro, a fare cambiare idea ad Assunta e Mimmo.

Vanessa nasce proprio quando l’assessore sembra essere riuscito a trovare una nuova abitazione: molto più bella, ma soprattutto in una zona decorosa dove finalmente possono permettersi di non doversi preoccupare quando i figli escono sul pianerottolo e scendono le scale. È una festa: ad Antonio chiedono di fare il padrino di Battesimo.

Sembra che le cose comincino ad andare per il verso giusto. Ma arriva una nuova tegola: Mimmo si infortuna sul lavoro, ma non essendo regolarizzato non ha tutele e in casa non entrano più soldi. Intanto però si avvicina l’ultima rata del pagamento dei casalinghi. È una liberazione. E merita un festeggiamento: ma la vera sorpresa Ema e Antonio la trovano quando entrando in casa di Assunta intravedono una tenda parasole nuova di zecca installata sul balcone.

“Ma come”, dicono, “avete appena finito di pagare un debito, e subito ne aprite un altro. Ma era il caso? E adesso chi le paga quelle rate?”. E in effetti Mimmo si rende conto che forse si sono lasciati trascinare dall’entusiasmo. E cerca di spiegarlo: “Avete ragione. Ma sapete com’è… Il nostro balcone era l’unico a non avere la tenda. Non abbiamo resistito”. E via, si riparte con un altro piano di rientro da accompagnare e presidiare, facendo un po’ la faccia arrabbiata, ma anche ricordandosi di quella frase che una volta disse un amico: “Ai poveri si consentono di avere bisogni, ma non desideri”.

A distanza di 13 anni, gli amici del Banco di Solidarietà continuano a consegnare quel pacco di generi alimentari ad Assunta e Mimmo, un gesto che porta con sé qualcosa di più grande: un’amicizia dentro cui può nascere una vera affezione all’altro e al suo destino: “Condividere i bisogni per condividere il senso della vita”. Oppure, come aveva scritto, Assunta in quella lettera: «Ho capito che tu ci vuoi bene. E allora ho capito che anch’io valgo».

(Davide Bartesaghi)