Ha ereditato l’azienda dal padre, che l’ha fondata 42 anni fa. Oggi Alberto Amici è alla guida di Realizzazioni Tecniche Navalmeccaniche Srl, sei milioni di euro di fatturato, 15 dipendenti e un cantiere a Castel San Giovanni, in provincia di Piacenza. «Ci siamo sempre occupati di impianti di propulsione per le navi, di taglia sia media che grande, quindi dagli yacht alle petroliere e al trasporto passeggeri. La crisi del 2008 – spiega Amici a ilsussidiario.net – ha investito in pieno il settore ed è stato un tracollo. I dici anni di boom, con continue crescite anche del 15 per cento l’anno, sono solo un ricordo». Ma di fronte alla crisi Amici non si è dato per vinto e ha capito che o si voltava pagina o l’alternativa era sparire. La storia della piccola e buona impresa che innova e ce la fa, però, è un copione che va lasciato dov’è, nel cassetto, insieme agli ultimi dati trimestrali e alle ricerche di mercato. Perché per RTN la scommessa è ancora aperta e l’esito – «per noi come per tantissimi altri che le potrei citare tutti, ma non voglio portarle via tutto il pomeriggio», dice Amici, è tutto da vedere.



Dunque la crisi ha investito in pieno l’intero settore.

L’anno scorso, a settembre, il fatturato della ditta ha avuto un tracollo. Abbiamo subito la bolla finanziaria perché la nave è stata per anni uno degli investimenti privilegiati: tanti hanno fatto gli armatori usando a mani basse i soldi che le banche prestavano senza remore.



Anche l’industria nautica ha subito una bolla speculativa?

L’importo di costo di una nave e i redditi che ne nascevano era visto come uno dei business più interessanti. C’erano cordate fatte da qualche centinaio di dentisti tedeschi che acquistavano petroliere per il business finanziario che ci stava dietro. Operazioni grottesche e funamboliche come queste hanno drogato il mercato. Anche noi come azienda siamo stati contattati per diventare armatori: se volete vi regaliamo soldi a tassi agevolati e con ritorni a lunghissimo termine per comprare navi. Capito? Fino a che, da un momento all’altro, questo business fatto di speculazione è crollato. Dati alla mano non si è mosso più nulla.



Facciamo un passo indietro. Cos’è RTN?

Rappresentiamo grandi aziende tedesche leader di settore. La proprietà è sempre stata nostra, ma abbiamo contratti in esclusiva per il territorio italiano di prodotti tedeschi e infatti fino a quattro anni fa il nome dell’azienda era Rappresentanze Tecniche Navalmeccaniche. Siamo di estrazione commerciale, però negli anni ci siamo evoluti, abbiamo fatto e facciamo assistenza e revisione completa delle macchine che i tedeschi costruiscono e attualmente abbiamo i mezzi e le macchine non dico di un produttore, ma quasi. Un prodotto nostro fino all’anno scorso non l’avevamo.

Un prodotto interamente vostro, quindi. Come ci siete arrivati?

Quando abbiamo visto il tracollo del mercato abbiamo capito che se non avessimo trovato subito un’alternativa saremmo spariti. Ci siamo chiesti quale poteva essere la strada per mantenere il mercato e i lavoratori. Abbiamo visto che nel nostro settore storico c’era lo spazio per un nuovo prodotto e abbiamo puntato tutto sulla propulsione ibrida navale.

Un po’ come si vuol fare sulle autovetture, insomma.

 

Esatto. Abbiamo pensato di mettere sulle barche una soluzione simile a quella, anche per le imbarcazioni di media e piccola taglia. Con la differenza che nel navale non è come nel settore delle auto, dove poche case fanno il prodotto finito, ma ci sono dei sistemisti. Il mercato riduttori e eliche navali per esempio è diviso tra noi – noi come filiale di azienda tedesca – e altre due case.

 

E adesso a che punto siete?

 

Da nessuna parte. Le dico questo perché all’ottimismo preferisco la prudenza. La svolta è ancora in atto, abbiamo intrapreso una strada che non ha ancora portato a cambiamenti totali in azienda se non nel metodo di lavoro. Però ha aperto una prospettiva. Dal punto di vista del fatturato un ritorno non ce l’abbiamo ancora, da quello tecnico i primi risultati si vedono. In queste ore uno yacht del cantiere Azimut Benetti – quindi tra i cantieri più grandi al mondo – in cui è stato messo per la prima volta un propulsore elettrico accanto a quello meccanico tradizionale, sta girando al largo di Varazze. Ho saputo al telefono che le prove stanno andando molto bene e che l’Ad di Azimut sta andando a bordo per vedere i risultati.

 

Dove sta l’incognita? Nel mercato o nei costi?

 

Nel fatto che abbiamo buttato tutte le nostre energie anche finanziarie su questo progetto. Se la cosa va in porto, bene, se no non sappiamo quale sarà il futuro dell’azienda. Anzi no, lo sappiamo molto bene: si sbaracca. Ci sono due politiche di fronte alla crisi: una è quella di andare in letargo, ridurre al minimo i costi e aspettare che passi. Noi abbiamo scelto l’altra, quella di rischiare.

 

Non dev’essere stato facile. Una scelta complessa, e con una posta in gioco molto alta. Perché avete scelto di puntare tutto sulla propulsione ibrida?

 

Ci siamo accorti che nel mondo navale è emersa la necessità un sistema di propulsione ibrida diesel-elettrica. Questa soluzione non è un pallino, ma un’esigenza che abbiamo raccolto dai nostri clienti e che abbiamo cercato di interpretare al meglio. Arrivata la crisi il mercato che aveva alimentato il business dell’azienda per quarant’anni è crollato e ci ha chiuso le prospettive. A quel punto fare l’azienda per noi voleva dire cercare nuove strade o andare a casa. Ora non sono ancora in grado di dire come andrà. Abbiamo detto: siamo piccoli, non abbiamo probabilmente le forze ma ci proviamo lo stesso, investiamo e facciamo un progetto per realizzare questo prodotto. Lo abbiamo fatto e adesso una nave sta navigando per mettere alla prova l’affidabilità del nuovo sistema.

 

Il know-how necessario è tedesco o italiano?

 

È totalmente nostro. Anzi abbiamo avuto delle difficoltà, perché quando la casa tedesca ha visto che il suo rappresentante in Italia stava elaborando in proprio delle alternative, ha avuto reazioni forti. Mi hanno chiesto di render conto di quello che stavamo facendo, e quando hanno visto che il progetto cominciava a prender forma hanno tentato subito di appropriarsene. È iniziata una discussione ancora in corso.

 

State sviluppando altri progetti?

 

 

Sì, ma fuori del nostro settore navale. Una grande società cooperativa modenese che opera nel settore dell’energia cercava un’azienda italiana che costruisse gruppi di cogenerazione, impianti che producono energia elettrica e sfruttano al meglio l’efficienza del motore per produrre altra energia, in modo da ridurre la dispersione e portare l’efficienza del sistema intorno all’85-90 per cento. Hanno valutato in modo positivo la nostra esperienza maturata nel settore navale e si sono rivolti a noi.

 

La crisi ha messo in ginocchio moltissime aziende e per l’autunno si prevede un allarme occupazione. È anche il caso vostro?

 

 

Se fossi rimasto legato al settore tradizionale avrei sicuramente dovuto lasciare a casa quasi tutti per salvare il salvabile. Non l’ho fatto e tuttora ho i 15 dipendenti storici, ai quali ho aggiunto altre 15 persone con contratti a termine che mi servono per sviluppare i nuovi prodotti. Nel fatturato il 2009 potrebbe essere migliore rispetto all’anno scorso e dovremmo toccare i 7,5 milioni, di cui stimiamo che un milione possa venire dai nuovi cogeneratori.

 

Qual è la situazione complessiva del settore navale? Vede un calo di commesse dopo lo scoppio della bolla?

 

L’intero settore attraversa una crisi gravissima. Tenga presente che un rilevamento preciso dell’ultimo  fatturato non è possibile, perché la crisi è scoppiata un anno fa e siccome gli impianti di propulsione hanno tempi di consegna intorno ai due anni, l’impatto sul prodotto venduto non è ancora disponibile. Però sono monitorati gli ordini in ingresso. Attualmente in Germania nelle nostre case madri c’è un calo dell’80 per cento rispetto al periodo pre-crisi. Questo calo avrebbe avuto sul nostro fatturato conseguenze devastanti.

 

Avete partner, fate filiera con altri fornitori?

 

Sì, ci sono aziende con le quali non c’è un rapporto storico, ma con le quali  abbiamo condiviso un rapporto di ricerca e sviluppo del prodotto. Nella propulsione ibrida alcuni partner sono stati fondamentali e con essi  abbiamo fatto un progetto di sviluppo comune. In questi giorni abbiamo anche fatto una richiesta all’Ue per il finanziamento di una nostra partnership innovativa con un’azienda tedesca. E un’azienda di 15 persone non avrebbe mai potuto fare un progetto di quel tipo senza fare sinergie.

 

Che valutazione si sente di dare di questo periodo così difficile e incerto? La crisi ha diviso un po’ tutti in due partiti, ottimisti e pessimisti…

 

Non sono un economista, posso parlare solo dal mio punto di vista. Come RTN non abbiamo ancora la conferma che stiamo andando nella direzione giusta, diciamo che stiamo puntando su molti indizi che alimentano in me un certo ottimismo. Staremo a vedere. Non essere calati di fatturato per una piccola azienda come la nostra è già un successo che ha del miracoloso. Per il resto, la crisi è così brutta che non permette di stare tranquilli in nessun momento. Le difficoltà sono enormi. Dai saloni nautici di Cannes e di Genova (che sarà il mese prossimo)  si vede bene che la cantieristica navale da diporto, che in questi anni è stata il fiore all’occhiello della nautica italiana a livello mondiale, è in crisi con un calo del 40-50 per cento.

La mia impressione è che avremo davanti a noi un anno o due in cui si toccherà, senza esagerare, il dramma sociale. Tra poco scadrà la cassa integrazione e questo porterà gravi difficoltà non solo agli imprenditori ma anche alle famiglie. Sarà inevitabile chiudere per molte aziende, ma chi avrà la forza di resistere – e non vedo altre alternative diverse da quella di seguire strade nuove, andando a tentoni, cercando di fare prodotti nuovi anche modificando totalmente la struttura dell’azienda – potrebbe avere buone potenzialità di sviluppo.