“Un uomo può rinascere quando è vecchio?” chiedeva Nicodemo a Gesù. La risposta di Gesù fu un sì. Sì, ma non solo per Nicodemo; possiamo applicare quella risposta di Gesù a tutte le situazioni, a tutte le persone.

È ciò che è accaduto la domenica 2 maggio alla città di Torino, che ha ricevuto il Papa “pellegrino alla Sindone” sotto un cielo grigio e piovoso, nell’abbraccio di un popolo immenso che di ora in ora è stato conquistato dal carisma petrino di Benedetto XVI. “Non vedi come cambia la faccia della gente, quando non è più centrata su di sé, ma guarda un Altro?”, mi faceva notare don Silvino Dalcolmo, parroco in uno dei “Bronx” della città.

In effetti, dal primo istante della sua apparizione in Piazza San Carlo, “il salotto di Torino”, un evento si è imposto, come l’apparizione del Risorto nel Cenacolo e la giornata è trascorsa, correndo dietro al Papa, ai suoi gesti, alle sue parole, mentre l’onda della commozione è andata crescendo come quel primo giorno dopo la Resurrezione di Cristo. Un fatto, un evento, non dei pensieri, non i nostri pensieri.

Oggi nel mondo non c’è una novità più grande del Papa a cambiare il sentimento che abbiamo di noi stessi. Con un tocco di umanità e di intelligenza, raro oggi nei politici, il sindaco Chiamparino nel saluto al Papa ha detto: “Ragione e fede la accolgono”. Ed è così: i cinque discorsi pronunciati a Torino, l’omelia durante la Santa Messa, il saluto mariano al Regina Coeli, l’incontro con i giovani, la riflessione davanti alla Santa Sindone, il commovente incontro con i malati del Cottolengo sono una vera e propria Enciclica alla città e alla Chiesa che è in Torino.

La speranza è che non vengano dimenticati presto, ma segnino la storia di una città che dopo essersi rifatta il look dei suoi eleganti palazzi ha bisogno di riattingere dalla ragione e dalla fede una rinascita civile e religiosa. Il nuovo presidente della Regione Roberto Cota ne sembra convinto, ma soprattutto sono i giovani che sperano nel segnale dato loro dal Papa. Si sono autopuniti i gruppuscoli di radicali e di anarchici che hanno manifestato “No Ratzinger. No Sindone”, puniti dalla commiserazione del popolo.

All’omelia della Messa il Papa ha ripreso la frase di Gesù: “Vi dò un comandamento nuovo”. Qual è la sua novità si è chiesto il Papa? Essa sta in “una aggiunta molto importante”: “Come io ho amato voi, così amatevi gli uni agli altri…. Tutto il nostro amare è preceduto dal suo amore e si riferisce a questo amore, si inserisce in questo amore, si realizza proprio per questo amore. Ciò che è nuovo è proprio questo amare come Gesù ha amato (…)Anche nel ricco e variegato mondo dell’Università e della cultura non manchi la testimonianza dell’amore di cui ci parla il Vangelo odierno, nella capacità dell’ascolto attento e del dialogo umile nella ricerca della Verità, certi che è la stessa Verità che ci viene incontro e ci afferra”.

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Senza entrare nel penoso tema della pedofilia, il Papa ha rivolto una parola di incoraggiamento ai sacerdoti, il cui lavoro nella vigna del Signore può essere faticoso e ha indicato loro dove attingere quotidianamente: preghiera, rincentrarsi sull’essenziale, la comunione e la fraternità all’interno del presbiterio.

 

Più pesanti sono state le due ore del pomeriggio passate in attesa del Papa che ritornava in Piazza a incontrare i giovani che erano lì ad attendere dalle 7 del mattino. Queste “animazioni urlanti” per destare l’entusiasmo nei giovani sono sempre più difficili da reggere. A essi invece il Papa ha parlato di scelte definitive, di un uso diverso della libertà: in un contesto culturale che induce a rapporti sempre più superficiali. “Con Cristo è possibile una vita bella e grande”. Il Papa li ha invitati a scoprire l’Amore vero: Colui che li ama per primo e desidera il loro amore e ha indicato a tutti come esempio il Beato Pier Giorgio Frassati invitando a fare proprio il motto della “Compagnia dei Tipi Loschi” fondata con i suoi compagni del Politecnico: “Vivere e non vivacchiare”.

 

L’occasione della visita del Papa era l’Ostensione della Sindone ed è davanti al “simbolo dell’umanità oscurata del XX secolo” e nell’incontro con i malati del Cottolengo che il Papa ha toccato il cuore di tutti. Benedetto XVI ha confessato di essere diventato con il passare degli anni ancora più sensibile al messaggio di questa straordinaria icona, “forse perché sono qui come successore di Pietro e porto nel mio cuore tutta la Chiesa, anzi, tutta l’umanità”.

 

C’è già chi specula sulla differenza fra la parola Icona e reliquia. Abbiamo sentito in proposito don Roberto Gottardo, vicepresidente del Comitato per la Sindone: “Non si tratta di una svalutazione della Sindone, è lo stesso termine usato da Giovanni Paolo II nel 1998 ed entrato ormai nel linguaggio sindonico. Benedetto XVI ha aggiunto che si tratta di una Icona scritta con il sangue”.

 

La meditazione del Papa ha accostato il mistero della Sindone al mistero del Sabato Santo, “giorno del nascondimento di Dio”, “del grande silenzio” e della solitudine. “Le tragedie del secolo scorso hanno reso l’umanità particolarmente sensibile al Mistero del Sabato Santo, perché il nascondimento di Dio fa parte della spiritualità dell’uomo contemporaneo… come un vuoto nel cuore che è andato allargandosi sempre più”.

 

“La frase di Nietzsche: ‘Dio è morto! E noi l’abbiamo ucciso’ è presa quasi alla lettera dalla tradizione cristiana…. Dopo le due guerre mondiali, i lager e i gulag, Hiroshima e Nagasaki la nostra epoca è diventata in misura sempre maggiore un Sabato Santo. Ma la Sacra Sindone – ha aggiunto il Papa – si comporta come un documento fotografico dotato di un positivo e di un negativo…. Il mistero più oscuro della fede è il segno più luminoso di una speranza che non ha confini. Io penso che se migliaia e migliaia di persone vengono a venerarla è perché in essa non vedono solo il buio ma anche la luce. Questo è il potere della Sindone, Icona scritta con il sangue”.

 

Il Papa si è soffermato in particolare sul sangue e l’acqua usciti copiosamente da una grande ferita procurata da un colpo di lancia romana. “Quel sangue e quell’acqua parlano di vita; è come una sorgente che mormora in silenzio e noi possiamo ascoltarla”.

 

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Il culmine di questo giorno straordinario è avvenuto quando il Papa, passando sotto l’arco della Divina Provvidenza, ha fissato con gli occhi le parole di San Paolo, assunte come motto dal Cottolengo: “Caritas Christi urget nos”. Ed è entrato nella calda Chiesa accolto da un entusiasmo travolgente. Alle tre congregazioni fondate dal Cottolengo (prete che non si è limitato a protestare contro l’inefficienza del sistema sanitario del suo tempo, ma ha edificato con una tenacia incredibile la Piccola Casa che oggi piccola non è con i suoi 2000 ospiti) il Papa ha tracciato le linee essenziali del carisma cottolenghino: il privilegio di servire Cristo nei poveri. Tutto si impara ai piedi della Croce, diceva il Cottolengo.

 

E qui il motto di questa ostensione “Passio Christi, passio hominis” è un fatto tradotto in metodo famigliare. “I poveri sono Gesù in persona e come tali bisogna servirli… Tutti i poveri sono i nostri padroni, ma quelli che all’occhio materiale sono così ributtanti sono i nostri padronissimi, sono le nostre vere gemme”. Chiunque entra in questa Piccola Casa avverte un clima di famiglia dove ogni aspetto dell’umano viene valorizzato. “Recupero della dignità personale per San Giuseppe Benedetto Cottolengo voleva dire ristabilire e valorizzare tutto l’umano: dai bisogni fondamentali psicosociali a quelli morali e spirituali, dalla riabilitazioni delle funzioni fisiche alla ricerca di un senso per la vita, portando la persona a sentirsi ancora parte viva della comunità ecclesiale e del tessuto sociale….Tutti voi che siete qui, ciascuno per la propria parte – ha detto il Papa – non sentitevi estranei al destino del mondo, ma tessere preziose di un bellissimo mosaico che Dio, come grande artista, va formando giorno per giorno anche attraverso il vostro contributo”.

 

Il sigillo di questa giornata trascorsa a Torino il Papa lo ha portato a casa da un caloroso bacio sulle guance ricevuto da Angela, una donna che è entrata nella Piccola Casa a 7 anni, da bambina, e ora ne ha 69. È cieca, sorda e muta, comunica soltanto con suor Giancarla attraverso pressioni sulla mano. Suor Giancarla le ha spiegato che la persona che ha davanti è il Papa e lei se lo è baciato e abbracciato. Queste sono le cose nuove, i cieli e la terra nuova che incontriamo già su questa terra.

 

(Don Primo Soldi)