Che le parole e le rime di Dante siano capaci di incantare ogni animo, che la sua lirica possa muovere e commuovere sono cose note a chi, giovane o meno giovane, si è imbattuto nei suoi versi e ha percorso con il sommo poeta l’allegorico cammino della vita. Ma non è altrettanto noto e scontato che ci siano ragazzi, disabili psico-fisici, con gravi handicap e gravi ritardi mentali, ragazzi che non sanno né leggere né scrivere e che a malapena sono in grado di pronunciare il loro nome, capaci di mandare in scena la Divina Commedia e di ammaliare il pubblico.
Uno spettacolo grande quanto il mistero che lo ha generato, realizzato grazie alla collaborazione di tre cooperative sociali: Cura e Riabilitazione di Milano (www.curaeriabilitazione.org) che si costituisce nel 1989 per iniziativa di un gruppo di amici e professionisti che operavano nel campo dei servizi alla persona; Anaconda di Varese, la capofila di questa esperienza teatrale, che nasce nel 1980 come esito di un incontro e una condivisione con persone affette da gravi disabilità; Solidarietà e Servizi di Busto Arsizio che viene fondata nel 1979 “come proposta di una compagnia e un aiuto per tutti coloro che, a partire dal proprio bisogno di lavoro, vogliono scoprire e vivere in pienezza la loro umanità”. Un bell’esempio di sussidiarietà in azione.
La rappresentazione teatrale della Divina Commedia, la cui “prima” è andata in scena il 30 marzo scorso al teatro Carcano di Milano, con un grandissimo successo di pubblico, a grande richiesta vedrà la sua replica venerdì 11 giugno al Teatro Nazionale di Milano. Dopo un lavoro che ha richiesto un notevole sforzo di preparazione sia per gli attori coinvolti che per i loro educatori, che li hanno accompagnati nelle fasi dell’apprendimento e della recitazione, lo spettacolo ha debuttato nel capoluogo lombardo come conclusione di un processo educativo, riabilitativo e formativo.
Ma cosa c’è di unico in questa pièce? Cosa scatta tra gli attori e il pubblico che, commosso, emozionato e incredulo, applaude e non riesce a tenere a freno le emozioni? «I ragazzi – dichiara il direttore della cooperativa Cura e Riabilitazione promotrice dell’evento, Antonello Bolis, – portano in scena un’umanità fragile, ferita e sofferente che rappresenta l’umano di ognuno di noi. Ciò è reso possibile da un metodo educativo che abbraccia il mistero della persona e che permette di vivere il limite come la condizione per la propria realizzazione. I ragazzi riescono così a dare il meglio di sé perché vengono guardati con stima e simpatia, presi sul serio da educatori qualificati, amati per quello che sono e arrivano ad ottenere risultati che nessuno di noi si sarebbe mai aspettato. Questa rappresentazione diventa così un vero inno alla vita e un modo per attaccare la teoria moderna del “vali solo se emergi”: qui entra in campo un fattore che va al di là della pura logica della produttività o del tecnicismo; entra in campo un io insopprimibile che chiede il proprio compimento e che nulla può mettere sotto silenzio».
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Così Alfredo che si cala nei panni di Dante, Claudio che fa Virgilio, Michele che recita Caronte, Valentina che si trasforma in Marco Lombardo e altri 21 attori, disabili psichici, accompagnati dai loro educatori, da ballerini e musici, mandano in scena i canti danteschi più conosciuti e drammatizzabili, commentati da improvvisazioni musicali, coreografie e balletti. «Il teatro è vita, il teatro è amore – dichiara la regista dello spettacolo Luisa Oneto -. La Divina Commedia è un linguaggio universale che non ha limiti come la musica: non si può tradurre, si può imparare e recitare. Questi fantastici ragazzi l’hanno appresa a memoria e sono stati in grado di far vivere a me, agli educatori e al pubblico un’esperienza unica e irripetibile.
Parlare di noi stessi, delle nostre paure e dei nostri limiti, si sa, è difficile e per questo spesso ci nascondiamo. Qui invece ci si rende conto che i ragazzi non hanno alcun timore a mettere in scena le loro debolezze e a superare dei gravissimi limiti fisici e mentali: qui entra in scena un fattore che travalica le conoscenze e i pregiudizi, diventa protagonista la persona con la sua ricchezza interiore».
Il teatro svolge sì la sua funzione riabilitativa, ma il piccolo miracolo lo compiono gli occhi degli educatori, il loro sguardo ricco di “pietas”, il livello di motivazione dei ragazzi connesso alla dimensione affettiva che tutti coinvolge e tutto permea. Questi attori “speciali”, che da anni si cimentano in rappresentazioni teatrali, quali il Giamburrasca, la Turandot, il Gobbo di Notre Dame e West Side Story, sembrano dimenticare la loro disabilità per prendere appieno coscienza di se stessi e della ricchezza del loro io. E alla domanda, «perché il pubblico deve venirvi a vedere?» Michele/Caronte, uno di loro risponde: «devono assolutamente venire a vedere lo spettacolo perché devono sbalordirsi». E in questo verbo sta la summa dello spettacolo e dell’effetto che esso genera: lo sbalordimento del pubblico, che applaude alla bravura e alla capacità recitativa dei ragazzi, un pubblico che si commuove e viene travolto da un pathos coinvolgente e quasi “contagioso”.
E basta la dichiarazione “a caldo” dopo la prima al teatro Carcano di un ospite d’eccezione, l’ex allenatore del Milan Leonardo, a testimoniare il forte impatto che i ragazzi riescono ad avere sul pubblico: «Non ho parole, sono commosso, non mi aspettavo una bellezza del genere. Qui c’è qualcosa di nuovo per me: come sono guardati e trattati questi ragazzi, come persone. Per questo è stato fatto qualcosa di straordinario».
(di Francesca Glanzer)