Una vittima di abusi ha raccontato al Meeting di Rimini come ha perdonato chi gli ha fatto violenza e si è riconciliato con la Chiesa cattolica. Il protagonista della vicenda è una persona speciale: si tratta di David Maurice Frank, un indiano della Ahousat Riserve, sull’isola canadese di Vancouver. E la sua vicenda personale si intreccia con la storia del suo popolo, con il quale solo due anni fa il governo canadese si è scusato ufficialmente. Per tutto il secolo scorso infatti gli indiani del Canada sono stati deportati fin dalla prima infanzia nelle Residential schools, dove sono stati costretti ad assimilarsi alle abitudini dei bianchi.
Qual era lo scopo di questa operazione?
Era quello di separare i bambini aborigeni dalle loro famiglie, per evitare che ne fossero influenzati. Nelle Residential schools abbiamo sofferto l’oppressione e perso le nostre tradizioni – racconta Frank -. E la conseguenze è stata che numerosi nostri giovani si sono lasciati andare ad alcol, droga, gioco d’azzardo e tentativi di suicidio. Anch’io sono passato attraverso ciascuna di queste fasi, anche a causa del fatto che un sacerdote ha abusato di me. Un episodio che mi ha gettato nell’angoscia più nera. Ero disperato. Chiedevo a Dio: perché proprio a me? Non credevo ci potesse essere giustizia.
Che cosa le ha permesso di superare questa situazione?
Un altro prete, che un giorno ha bussato alla mia porta ed è venuto a trovarmi. Mi ha chiesto: «Come stai?». Mi sono accorto che Dio c’era ancora, ed è stato l’inizio di un lungo percorso che mi ha portato a una nuova vita.
Quali sono state le tappe che le ha consentito di superare il trauma subito?
Io e le altre persone che come me avevano subito abusi siamo stati reintrodotti nella nostra cultura attraverso cerimonie tradizionali indiane e rituali come bagni di purificazione in mare. Questi antichi rituali ci hanno guariti, perché ci hanno fatto riscoprire noi stessi e le nostre origini. E’ stata una tappa cruciale del nostro ritorno al Cristianesimo.
In che senso?
Uno dei primi insegnamenti della tradizione indiana è che quando parliamo del cuore parliamo di amore, e quando hai amore nel cuore non hai nemici, neppure la persona che ti ha fatto il torto più grande. Questo è quanto mi ha trasmesso mio nonno, prima ancora che la mia famiglia si convertisse al Cristianesimo, e che proviene dall’antica tradizione della First Nation, i nativi d’America.
E questo perdono lo vive anche nei confronti di chi ha abusato di lei?
Sì.
Ora quindi vede in modo diverso il suo rapporto con la Chiesa?
Sì, perché ho capito che non tutti i sacerdoti erano cattivi, ma che è stato uno solo a rendersi colpevole nei miei confronti. Quando sei ferito vedi il male dappertutto e lo identifichi con la Chiesa intera. Quando inizi a guarire invece capisci che il male è stato fatto solo da pochi.
Gli altri aborigeni della Ahousat Riserve sono cattolici come lei?
Alcuni sì, altri sono protestanti o della religione tradizionale animista. Ma al di là delle singole fedi, la religiosità è molto radicata nello spirito del mio popolo. Prima di iniziare ogni cosa compiamo dei riti di purificazione, riconoscendo Dio, ringraziandolo e chiedendo il suo aiuto. Ogni cosa che compiamo ringraziamo Dio, anche la giornata di oggi per me è incominciata così.
Che esperienza è stata per lei andare al Meeting di Rimini?
Quando sono arrivato, sono rimasto colpito dalle persone che ho trovato e dalla loro gentilezza. In loro ho riconosciuto la presenza di Gesù, che ci insegna a essere generosi e gentili. Nel Meeting di Rimini ho visto quindi il riflesso di Dio.
(Pietro Vernizzi)