Come era prevedibile, la campagna elettorale per le prossime politiche del 25 settembre si sta trascinando tra colpi bassi e pubblicità negative. E qui tutto è permesso, compreso il dileggio del trinomio “Dio, Patria, Famiglia”. Orbene, finché si tratta di manifesti redatti dall’on. Cirinnà con quella sua caratteristica finezza di gusto (memorabile il suo “che vita de mmerda!”), siamo ancora nel cabaret della politica ed è inutile scandalizzarsi. E così anche quando il trinomio sopra citato viene criticato da cantanti e attori, da sempre reclutati nel mondo del cuore a sinistra e portafoglio a destra: cantanti e attori che rappresentano il punto d’arrivo dell’intellettuale organico di gramsciana memoria e che, tuttavia, vanno distinti dagli intellettuali di plastica, da quelli di metallo e dagli intellettuali indifferenziati. Chi voglia mantenere una propria autonomia di pensiero, costruita su studi e interessi nel corso della vita, sa che il pattume intellettuale deve essere selezionato accuratamente per non inquinare il cervello. E ciò va detto da chi ancora conserva e rilegge un memorabile editoriale di Giorgio Amendola sull’Unità del 12 giugno 1977 dal titolo “Difendere la Repubblica” e che prendeva di mira quelli che un combattente come Amendola chiamava “nicodemisti”, e cioè quelli che non stavano né con lo Stato né con le Br. Un editoriale ancora oggi valido se applicato a coloro che dicono “né con la Nato né con Putin”. Altri tempi, altri comunisti.
Sull’origine del trinomio si sono spesi in molti: chi lo riconduce a una frase del gerarca fascista Giuriati nel 1931, chi lo fa risalire a Mazzini (ma il discorso di Mazzini è complesso e articolato e non si presta a semplificazioni). Chi scrive sa che il proprio omonimo nonno, Alberto Leoni, l’aveva adottato come motto personale: un Alberto Leoni che, per quanto fascista, aveva restituito la tessera del partito dopo il delitto Matteotti e, durante la guerra, aveva ospitato due disertori in casa propria a grave rischio personale. Tutto ciò mentre altri giovanotti che poi fecero carriera come “maîtres-à-penser” antifascisti erano regolarmente tesserati e non correvano rischi.
Si ricorda che, sul tema, si è già espresso Marcello Veneziani col suo Dio, Patria e Famiglia: dopo il declino precisando che senza quei tre elementi “si spegne la civiltà e si ridisegna radicalmente la condizione umana. Non si conoscono civiltà prive di quei riferimenti, mentre si conoscono civiltà che continuano a crescere sul piano dello sviluppo, avendo ancora un guscio originario di provenienza situate in quel preciso triangolo: per questo hanno le spalle forti”.
Che il trinomio sia conosciuto anche oltre i nostri ristretti confini nazionali è confermato da Chris Kyle, l’“american sniper” che nella sua autobiografia dichiara da subito di essere cresciuto negli ideali di “Dio, Patria e Famiglia”. Tuttavia, nella costruzione mentale della sinistra odierna, anche il defunto Chris Kyle potrebbe passare da parafascista, lui e Clint Eastwood che gli ha dedicato un film drammatico e struggente. Ecco, se qualcuno vuole dare del fascista anche a Clint Eastwood può provarci, a proprio rischio e pericolo.
Ma il punto più sconcertante è stato espresso da Aldo Cazzullo che, sul Corriere della sera del 2 settembre risponde a un lettore che, sì, il motto non è propriamente fascista quanto conservatore, salvo poi descrivere alcune tra le malefatte del fascismo, senza che ciò sia pertinente alla domanda. Perché sconcertante? Perché proprio Aldo Cazzullo aveva pubblicato nel 2015 un libro davvero meritorio, Possa il mio sangue servire, in cui venivano raccolte decine e decine di brevi biografie di partigiani armati e resistenti disarmati. La frase riportata nel titolo è stata scritta da Franco Balbis, medaglia d’oro al valor militare (Movm) che, prima di essere fucilato, così scriveva al padre:
“Babbo mio caro, Iddio ha voluto che io ti precedessi nella morte: sia fatta la sua volontà! Non perderti d’animo ed accetta quest’ultimo volere di Dio! Ti raccomando la Mamma: anche per lei devi essere forte ed imporle che si sappia far forza e non si abbandoni. Muoio con la grazia di Dio e con tutti i conforti della nostra religione. Nel momento supremo Tu sarai nel mio cuore e sul mio labbro. Arrivederci, Babbo, ti stringo a me nel virile abbraccio degli uomini forti e chiedo la tua benedizione. Tuo nella vita e nella morte. Iddio mi permette oggi di dare l’olocausto supremo di tutto me stesso all’Italia nostra ed io ne sono lieto, orgoglioso e felice: possa il mio sangue servire per ricostruire l’unità italiana e per riportare la nostra Terra ad essere onorata e stimata nel mondo intero”.
In queste parole c’è tutto ciò che costituiva Balbis. Ma era un caso isolato? Nel recente Partigiani cristiani nella Resistenza: la storia ritrovata (1943-1945) di Alberto Leoni e Stefano Contini (Ares, 2022) di frasi come queste ve ne sono a centinaia. Eroi come Giancarlo Puecher (Movm) che scriveva al padre: “Raggiungo con cristiana rassegnazione la mia mamma che santamente mi educò e mi protesse nei vent’anni della mia vita. L’amavo troppo la mia patria non la tradite e voi tutti giovani d’Italia seguite la mia via e avrete il compenso della vostra lotta ardua nel ricostruire una nuova unità nazionale. Perdono a coloro che mi giustiziano, perché non sanno quello che fanno e non pensano che l’uccidersi tra fratelli non produrrà mai la concordia”.
Costanzo Ebat (Movm) scrive al figlio Mario: “Piccolo mio Ninì, come vedi il tuo papalino se ne va senza poterti parlare come vorrebbe, ma ti scrive ancora una volta, una letterina solo per te, come sempre tu mi chiedevi. Il mio sogno era quello di vederti crescere, di istruirti a tuo modo; forgiarti alle tue idee e ai tuoi sentimenti. Ma tutto è perduto; ti è rimasto il mio esempio e tu ne sono certo, saprai calcare questa orma di onestà e lealtà. Saprai esserne degno non è vero? Questo devi prometterlo sulla mia tomba, come io lo promisi col sacro giuramento sulla tomba del padre mio. Tu dovrai portare il mio nome e onorarlo perché è sacro per te. (…) Ma soprattutto ama e abbi fede nella Patria. Ad essa anteponi tutti gli affetti e se ti chiede la vita offrigliela cantando. Sentirai allora, come io lo sento adesso, quanto è bello morire per lei e che la morte ha un effettivo valore. Sappi e non dimenticarlo mai che il tuo papalino se ne va sorridendo, fiducioso e senza un attimo solo di debolezza, da uomo forte di nervi e di animo, sicuro di aver fatto fino all’ultimo istante il suo dovere verso la Patria amata”.
Paola Del Din (Movm) così rievoca la radice del suo impegno per la lotta partigiana. “Siamo cresciuti in una famiglia dagli ideali risorgimentali, la Patria era per noi più importante della nostra stessa vita. Quando mio fratello ed io parlavamo di ciò che facevamo, la nostra unica preoccupazione era quella di non portare a termine il compito che ci eravamo prefissati, non quello di poter essere uccisi”.
Il beato Teresio Olivelli (Movm) che, nel 1934, si presentava all’esame di maturità con la spilla dell’Azione Cattolica, così definiva i propri obiettivi. “Volontà gagliarda, fiducia in sé, costruzione della propria personalità, severo senso della vita come conquista. Per Dio, per la famiglia, per la Patria. La fede, potenziamento della natura, la roccia su cui si edificherà; la Divina Provvidenza, l’ausilio; l’equilibrio spirituale, il mezzo; la forza vigorosa del carattere, lo sprone; così sia. Così ti prego, tu, Ministro di Colui che ha parole di vita eterna, invoca dall’Altissimo. Animato di tali propositi, mi accingo agli studi universitari. Quae fausta sint!”.
Eccezioni? Si prenda a campione il lavoro svolto dall’Istituto nazionale “Ferruccio Parri” che ha raccolto le lettere di 574 deportati o condannati a morte. Ben 233 dichiarano la propria fede cristiana. E d’altra parte sarebbe ora di rivedere la composizione ideologica della Resistenza, Laddove le brigate Garibaldi comuniste costituivano quasi la metà del movimento partigiano ma, all’interno di esse, vi erano numerosi cattolici. A questi vanno aggiunti i 600mila militari italiani internati in Germania, quelli che hanno combattuto nei Balcani a fianco degli jugoslavi e i militari monarchici dell’esercito del Sud. E, per sovrammercato, tutta la Resistenza disarmata con i suoi martiri della carità, morti per salvare ebrei, perseguitati e fuggiaschi. E se la Resistenza propriamente detta fosse stata composta, in maggioranza, proprio da un’Italia conservatrice?
Quegli ideali che ancora oggi possono e devono alimentare la nostra personale resistenza nelle sfide che ci attendono sono rispecchiate nell’articolo 52 della Costituzione. “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”. Chi ricorda, oggi, quell’articolo e quel dovere che, unico, è riconosciuto come sacro?
Lucio Caracciolo in un editoriale di Limes (n. 6/2022 pag. 8) è stato spietato quanto efficace: “la guerra non è la nostra dimensione. Da tre generazioni abbiamo scommesso sulla pace eterna. Facciamo talmente fatica ad accettarne la fine da negare a noi stessi di partecipare ad uno scontro epocale. Non al fronte, non ancora. Ma dentro un conflitto che cambia le nostre vite. Non abbiamo molto tempo per recuperare il senso di dove siamo finiti a forza di fingerci nel mondo che non c’è. Dovere verso noi stessi. Solo allora, forse, potremo gestire le conseguenze della nostra inconsapevolezza”. Partendo da quel “sacro dovere del cittadino”.
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