Nei campi di battaglia della Seconda guerra mondiale si affrontavano migliaia di uomini addestrati a fare una sola cosa: togliere la vita ad altri uomini. Altri, presenti al loro fianco sotto il fuoco nemico, erano addestrati a un compito totalmente differente: salvare le vite dei loro compagni. Erano i Combat Medics. Venivano scelti per la loro precedente esperienza nella vita civile come medici o infermieri, ma molti di loro erano addestrati da zero. Spesso si trattava di obiettori di coscienza, che non volevano impugnare le armi per motivi etici o religiosi, ma desideravano dare il loro contributo al loro Paese. Il più famoso di loro è probabilmente Desmond Doss, la cui storia è raccontata nel film di Mel Gibson La battaglia di Hacksaw Ridge (2016).



Doss non voleva portare le armi per motivi religiosi, ma desiderava servire il suo Paese in un ruolo di non combattente. Nel mese di maggio del 1945, a Okinawa, Doss da solo salvò la vita a settantacinque compagni sfidando il fuoco nemico per andarli a soccorrere. Venne in seguito decorato con la Medaglia d’onore del Congresso, il massimo riconoscimento al valore del governo americano, unico obiettore di coscienza a riceverla. Undici medici delle forze armate Usa hanno ricevuto la stessa decorazione nel secondo conflitto mondiale.



Nella Seconda guerra mondiale i medici degli eserciti alleati, così come quelli sull’opposto fronte tedesco, erano in prima linea per portare aiuto in combattimento. Erano disarmati, protetti soltanto dalla Croce Rossa in campo bianco posta sui loro elmetti e sulla fascia che portavano al braccio. Se in Europa sul fronte occidentale questo simbolo fu quasi sempre rispettato da entrambe le parti, altrettanto non accadde né sul fronte orientale né su quello del Pacifico. I sovietici non facevano differenza fra invasori combattenti e non combattenti, tanto che i medici tedeschi portavano un’arma personale, di solito una pistola, per autodifesa. Sul fronte del Pacifico i giapponesi consideravano il medico un obiettivo. I cecchini giapponesi, dopo aver ferito un soldato americano, attendevano che il medico si muovesse per soccorrerlo per eliminare entrambi. Per questo motivo i medici militari che operavano in prima linea nel Pacifico evitavano di portare al braccio o sull’elmetto le insegne della Croce Rossa.



Il lavoro del medico di prima linea era (ed è tutt’oggi) pericoloso: i colpi di artiglieria non fanno distinzione tra personale combattente e non combattente. Nell’esercito americano, in un battaglione composto da quattrocento o cinquecento uomini, prestavano servizio una trentina tra medici e infermieri. Il loro compito non era trattare i feriti fino a completa guarigione, ma stabilizzarli e prepararli per l’evacuazione verso gli ospedali o i posti di medicazione delle retrovie. Erano addestrati a fermare le emorragie, applicare bendaggi, spargere sulfamidici sulle ferite, somministrare morfina. Talvolta si trovavano costretti a decidere quali feriti fossero talmente gravi da lasciarli al loro destino, qualunque fosse, per dedicarsi ad altri che potevano essere salvati con maggiore probabilità.

Prestare soccorso ai feriti non era un compito facile e da entrambe le parti del fronte questi uomini hanno compiuto il loro dovere con ammirevole coraggio. Durante lo sbarco in Normandia l’incontro tra i medici americani caduti prigionieri e i loro colleghi dell’esercito tedesco diede luogo a episodi di solidarietà nei quali i sanitari si occupavano indifferentemente dei feriti delle due parti.

Il tenente Brian Baudin, medico chirurgo del 508esimo Reggimento paracadutisti, ebbe modo di raccontare l’esperienza fatta come prigioniero di guerra. Intorno alle tre del mattino del 6 giugno 1944 stava curando alcuni feriti in un posto di medicazione improvvisato in una fattoria che si trovava esposta ad un violento contrattacco da parte dei tedeschi. L’edificio era ripetutamente colpito dal fuoco nemico. Baudin decise di infilare l’elmetto con la Croce Rossa su un lungo bastone agitandolo fuori dalla porta. I tedeschi cessarono immediatamente di sparare, trasferendo i feriti americani al 92esimo Feldlazarett, l’ospedale da campo della 92esima Divisione tedesca al castello di Hauterville. I medici tedeschi accolsero il chirurgo americano come un collega e Baudin, aiutato da un sacerdote cattolico, continuò a lavorare insieme a loro per tutta la notte e nei giorni seguenti. Nonostante sia rimasto prigioniero per qualche settimana ha sempre ricordato la permanenza al Feldlazarett come un momento davvero interessante, occasione per imparare le tecniche dei sanitari tedeschi e per insegnare loro quelle dei combat medic americani.

Durante lo sbarco in Normandia la situazione sulle spiagge era assolutamente drammatica. I medici, come molti dei loro commilitoni, si erano trovati in luoghi diversi da quelli previsti, nell’impossibilità di allestire i posti di soccorso, senza i materiali che erano su mezzi da sbarco affondati o arrivati in un luogo diverso. Molti di loro compirono atti di eroismo impensabili.

A Omaha Beach l’evacuazione dei feriti era un compito quasi impossibile. I soldati giacevano distesi sui ciottoli bagnati, tremando per il freddo e la paura. Il personale medico doveva intervenire su ferite in varie parti del corpo, fratture e ustioni. Somministravano i primi soccorsi, un’iniezione di morfina, applicavano un laccio emostatico, apponevano sul ferito un cartellino per identificare la gravità delle ferite. Il numero dei feriti era superiore a qualsiasi aspettativa, e non c’erano mezzi per trasportarli lontano dalle spiagge. Non c’era modo di sottrarli al fuoco nemico se non, caso unico nella storia, portandoli in avanti invece che indietro, vicino ai pochi ripari del muro frangiflutti. L’unica cosa che i medici potevano fare era stabilizzarli e sedarli, riparandoli dal freddo con le coperte recuperate dai mezzi da sbarco danneggiati rimasti sulla battigia. Quando era possibile spostavano i feriti fino al bagnasciuga in modo che potessero essere caricati a bordo dei mezzi che tornavano verso le navi. Quando ciò non era possibile, cercavano riparo installando posti di soccorso sopra la linea dell’alta marea al riparo degli sbarramenti. Il tutto avveniva sotto il fuoco delle mitragliatrici e dell’artiglieria tedesca. Il medico dell’esercito Ray Lambert era uno di loro.

Lambert è cresciuto in Alabama durante la Grande depressione. Nel 1940 si arruola nell’Esercito, principalmente perché ha bisogno di un lavoro fisso. L’anno successivo gli Stati Uniti entrano in guerra. Presta servizio in Nord Africa, dove è decorato con la Silver Star per aver recuperato alcuni feriti guidando una jeep in mezzo a uno scontro a fuoco e ferito da un tedesco con un fucile a baionetta. Successivamente partecipa allo sbarco in Sicilia, dove viene nuovamente ferito. Nel 1944 è inviato in Inghilterra. Il 6 giugno sbarca ad Omaha Beach con la prima ondata della Prima divisione di fanteria. Sulla nave dove è imbarcato scopre che a bordo c’è anche suo fratello maggiore, Bill Lambert. Decidono che se uno dei due non ce la farà, l’altro si prenderà cura della sua famiglia.

A bordo dei mezzi da sbarco i soldati sono in preda al mal di mare e le cose peggiorano mentre si avvicinano alla riva. Quando la rampa si abbassa, Lambert si lancia verso la spiaggia, ma è colpito al braccio destro. Il colpo gli frantuma l’osso. È ancora esposto al tiro delle mitragliatrici tedesche e deve a ogni costo avanzare per occuparsi dei compagni. Nel caos che lo circonda, continua a spostarsi da un soldato all’altro, cercando di prendersi cura di quanti più feriti possibile. Viene nuovamente colpito alla gamba. Impossibilitato a continuare si somministra da solo una dose di morfina. Mentre cerca di spiegare a un altro medico come subentrargli quest’ultimo viene abbattuto da un proiettile che gli attraversa la testa. Nonostante le sue condizioni, Lambert ritorna in acqua per soccorrere i compagni feriti. Mentre si trova in acqua, la rampa di un altro mezzo da sbarco si abbatte su di lui schiacciandogli la spina dorsale, tra la quarta e la quinta vertebra, e lo spinge sott’acqua. Quando l’imbarcazione finalmente arretra Lambert riemerge e riesce a trascinarsi all’asciutto, portando a riva un altro soldato ferito. È ormai esausto  quando viene evacuato e portato su una nave. Un dottore legge la sua piastrina e gli comunica che sulla stessa nave c’è un altro soldato di nome Lambert. Si tratta di suo fratello Bill, anche lui ferito. I due fratelli si ritrovano, vengono trasferiti in Inghilterra, curati e rimpatriati negli Stati Uniti.

Settantacinque anni dopo lo sbarco, a novantotto anni, Ray Lambert torna in Normandia. Nel luogo dove in quel 6 giugno del 1944 ha raggiunto la spiaggia è stata posta una targa, fissata sul pezzo di cemento dietro al quale i feriti si sono riparati. Oggi è chiamato Ray’s Rock, ed è il luogo in cui Lambert ha combattuto per salvare la vita dei suoi compagni. Ray racconta che sul memoriale volevano scrivere “Ray Lambert l’eroe”, ma lui ha chiesto che sulla placca fossero scritti i nomi di tutti i suoi compagni. Nella sua autobiografia pubblicata nel 2019, poco prima del 75esimo anniversario del D-Day, dichiara: “Ho fatto quello che sono stato chiamato a fare (…) Come combat medic il mio lavoro era salvare le persone e guidare gli altri che facevano lo stesso. Ero orgoglioso del mio compito e lo sono tuttora. Ma sono sempre stato un uomo normale”.

In un’intervista rilasciata nello stesso anno gli chiesero come voleva essere ricordato. Dopo averci pensato un attimo Lambert disse che gli sarebbe piaciuto essere ricordato come un ragazzo disposto a morire per la sua famiglia e per il suo Paese, un buon soldato e una brava persona. Ray Lambert è mancato il 13 aprile 2021, all’età di cento anni.

Lo storico americano Stephen Ambrose, intervistando dopo la guerra i veterani, fa notare che quando qualcuno gli parlava dell’uomo più coraggioso che avessero mai incontrato spesso citavano il medico del proprio reparto. Per oltre diecimila americani che hanno combattuto nella Seconda guerra mondiale, la presenza del combat medic ha fatto letteralmente la differenza fra la vita e la morte, e continua a farla tutt’ora per i militari di tutto il mondo impegnati nei diversi teatri operativi.

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