Nella primavera del 1940 oltre 4.500 ufficiali polacchi prigionieri dell’Armata Rossa, prelevati dal campo di Kozelsk all’inizio di aprile del 1940, sono barbaramente trucidati nella foresta di Katyn. Il modus operandi di questa epurazione è tristemente speculare alle notizie giunte da Bucha. L’eliminazione fisica con un colpo alla nuca, le sepolture improvvisate in fosse comuni, la campagna di disinformazione prolungata negli anni per attribuirne la responsabilità agli avversari, sono la “firma” degli esecutori.



I fatti di Katyn hanno la loro origine nel patto Molotov-Von Ribbentrop (23 agosto 1939), dal nome dei due ministri degli Esteri che lo avevano sottoscritto, con il quale il Terzo Reich e l’Unione Sovietica si impegnavano sia in un patto reciproco di non aggressione, sia a non stringere alleanze con altri Paesi stranieri. In pratica si garantivano reciprocamente di avere le mani libere per i relativi piani di conquista. La storia anche recente ci insegna che i dittatori spesso utilizzano il richiamo alla garanzia della pace per prendere tempo, consolidare il loro potere e perfezionare i loro piani di espansione. Il patto era stato integrato da un protocollo aggiuntivo segreto per la spartizione dell’Europa Orientale e le relative sfere di influenza. La Polonia sarebbe stata divisa in due: la parte occidentale sarebbe stata annessa al Reich e la parte orientale sarebbe andata ai russi. I sovietici avrebbero inoltre inglobato la Bessarabia (l’attuale Moldavia), la parte occidentale dell’Ucraina, e le repubbliche baltiche di Estonia, Lettonia e Lituania. Queste ultime si erano rese indipendenti nel 1918 e avrebbero riconquistato l’indipendenza solo nel 1990-91.



La Polonia viene invasa dalle truppe tedesche il 1° settembre 1939, e due settimane dopo, il 17 settembre, viene invasa da Est dall’esercito sovietico. Il piano di Stalin è di dare vita a repubbliche omogenee dal punto di vista etnico. Nei due anni successivi una parte della popolazione viene di fatto deportata: ci sono scambi di popolazione con i tedeschi e nella parte orientale della Polonia ci sono trasferimenti forzati della popolazione verso Ucraina e Bielorussia, unitamente ad un processo di  “depolonizzazione”, con espulsioni e deportazioni verso i gulag siberiani e l’eliminazione fisica dei possibili oppositori.



Con l’occupazione russo-tedesca la Polonia resta divisa in due fino al 22 giugno 1941, quando con l’Operazione Barbarossa Hitler invade l’Unione Sovietica. Le truppe tedesche occupano tutto il territorio polacco e proseguono l’avanzata verso Est.

L’ultima settimana del mese di febbraio 1943 i tedeschi scoprono casualmente le fosse comuni nella foresta di Katyn, venti chilometri a ovest di Smolensk. Joseph Goebbels, ministro della propaganda tedesca, annota nel suo diario: “Vicino a Smolensk sono state trovate delle fosse comuni piene di cadaveri polacchi”. I corpi esumati vestono le divise da ufficiale dell’esercito polacco, e sono stati uccisi con un colpo alla nuca.

Quando la notizia del massacro di Katyn viene diffusa dalla radio tedesca sono in molti a dubitarne. Gli alleati credono si tratti di propaganda. I tedeschi nominano una commissione di inchiesta di cui fanno parte dodici patologi provenienti da diversi Paesi, che attribuisce ai sovietici la responsabilità del massacro: le vittime erano state uccise nella primavera del 1940, quando ancora i russi occupavano la zona, quindi prima dell’occupazione tedesca. Uno dei membri della commissione medica, Vincenzo Palmieri, direttore dell’Istituto di medicina legale dell’Università di Napoli, scrive in seguito: “Fra noi dodici nessuno ebbe alcun dubbio, non ci fu neppure un’obiezione. Fu decisiva l’autopsia del cranio effettuata dal professor Orsos di Budapest: sulla parete interna trovò una sostanza che comincia a formarsi a tre anni dalla morte. Aveva tre anni anche il boschetto piantato sulla fossa. […] Il referto è inconfutabile”.

Contemporaneamente i tedeschi chiedono l’intervento di una commissione della Croce Rossa internazionale per investigare sull’eccidio. Tra i membri della Croce Rossa che partecipano alla missione ci sono anche membri in incognito della resistenza polacca, certamente non compiacenti con i tedeschi. Anche questa commissione giunge alle stesse conclusioni, attribuendone la responsabilità ai russi. La versione dei tedeschi non è accettata. Gli alleati non vogliono credere alla responsabilità russa, principalmente per evitare un rafforzamento dei nazisti. Incredibilmente, le conclusioni della commissione internazionale non saranno rese note fino al 1989.

Durante gli ultimi mesi di guerra la regione di Smolensk viene di nuovo occupata dall’Armata Rossa. Anche i russi istituiscono una commissione composta da cittadini sovietici, con il preciso compito di sostenere la responsabilità nazista nell’eccidio. il 15 gennaio 1944 un gruppo di giornalisti occidentali è invitato a Katyn. I russi mostrano che i proiettili usati per le esecuzioni erano di fabbricazione tedesca, e su questo basano la linea accusatoria. La teoria però non regge il confronto con altre evidenze. Le pallottole provenivano dalla tedesca Gustaw Genschow di Karlsruhe, che dopo le imposizioni del Trattato di Versailles aveva cominciato ad esportare massicciamente le munizioni in Unione Sovietica, Polonia e Paesi baltici. Inoltre, le corde usate per legare le mani ai prigionieri erano di fabbricazione sovietica. Le esecuzioni, secondo la tesi sovietica, sarebbero avvenute tra agosto e settembre del 1941. I cadaveri, però, indossavano cappotti e  indumenti invernali.  Le lettere ed i ritagli di giornale trovati nelle tasche dei morti si riferivano all’aprile del 1940, ed in quei mesi la zona era ancora sotto controllo dei russi. I tedeschi vi arrivano infatti soltanto nel giugno 1941.

Altre prove che contribuiscono a determinare la data dell’eccidio provengono dai documenti che i tedeschi avevano trovato sui cadaveri esumati nel 1943:  ritagli di giornale, tutti precedenti all’aprile 1940, e brani di diario che alcuni degli ufficiali erano riusciti a tenere negli ultimi giorni prima dell’esecuzione. Un ufficiale polacco trasferito dal campo di Kozelsk l’8 aprile 1940 insieme ad altri 277 ufficiali ha lasciato queste brevi note, che terminano il 9 aprile.

8 aprile – Alla stazione siamo stati caricati su un treno cellulare sotto stretta guardia. Ci muoviamo nella direzione di Smolensk.

9 aprile – martedì. Il giorno è invernale… Neve sui campi. È impossibile dedurre la direzione in cui ci muoviamo… Ci trattano male… Non ci permettono di far niente… 14,30, stiamo arrivando a Smolensk… Sera, siamo arrivati alla stazione di Gniazdowo. Sembra che si debba scendere. Ci sono molti militari intorno. Da ieri  abbiamo avuto solo un pezzo di pane e un sorso d’acqua.

Un’altra testimonianza descrive i fatti fino a pochi minuti prima dell’esecuzione.

9 aprile – La giornata è cominciata in modo molto strano. Siamo partiti in piccoli furgoni cellulari composti da tante piccole celle (orribili). Siamo stati portati in qualche posto in una foresta; sembra un luogo per vacanze estive. Siamo poi stati perquisiti accuratamente. Hanno preso i rubli, la cintura e il temperino.

Al termine del conflitto, durante il processo di Norimberga, i sovietici tentano nuovamente di attribuire la responsabilità dell’eccidio ai nazisti, ma le dichiarazioni dei testimoni da parte sovietica anche in questo caso risultano fumose e non affidabili. Per motivi di opportunità politica l’intera storia viene insabbiata dagli alleati e volutamente dimenticata. Nei cinquant’anni seguenti i dirigenti comunisti hanno sempre negato le responsabilità russe nel massacro di Katyn e cercato di addossarle ai tedeschi. Quello che era successo nella foresta di Katyn era infatti solo la punta di un iceberg. Nel settembre del 1939 L’Armata Rossa aveva imprigionato circa 250mila polacchi (intellettuali, ufficiali, docenti universitari, imprenditori, poliziotti, sacerdoti), deliberatamente eliminati perché non comunisti e ostili ai progetti di Stalin. Dopo la dissoluzione dell’Urss e con l’apertura degli archivi sovietici sono stati trovati documenti che provano che l’eccidio dei 4.500 ufficiali polacchi a Katyn faceva parte di un progetto più vasto. Uno di questi documenti è una lettera che il 5 marzo 1940 Laurentij Berija, responsabile della polizia politica, invia a Stalin, nella quale si propone l’eliminazione fisica degli oppositori politici. Lo stesso giorno il Politburo approva tutte le proposte di Berija. Circa 15mila prigionieri polacchi, identificati come oppositori, sono assassinati dalla Nkvd, la polizia politica di Stalin: 4.500 di loro, una intera generazione di ufficiali, appartenenti alla borghesia e all’intellighenzia polacca, sono barbaramente uccisi a Katyn. Di altri 10mila non si conoscono né il luogo né le modalità di eliminazione.

Negli anni seguenti in Russia nessuno degli assassini è stato messo sotto processo o è stato sottoposto ad alcuna indagine. Il sito web in lingua italiana associazionestalin.it (un nome che sembra essere garanzia) ancora oggi sostiene che a Katyn non ci sia stata alcuna strage, che si tratti di una invenzione e di una menzogna anticomunista.

Purtroppo,  Katyn è solo uno dei tanti crimini comunisti in Europa di cui nessuno ha dovuto rendere conto. Per più di cinquant’anni l’eccidio di Katyn è rimasto avvolto nel mistero e nella menzogna. Oggi sappiamo con certezza di chi fu la responsabilità.

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