“L’ho fatto perché credo ai fondamenti cristiani dell’Europa”: con queste parole Robert Schuman (1886-1963), ministro degli esteri francese dal 1948 al 1952, spiegava il motivo della sua famosa Dichiarazione del 9 maggio 1950 che giustamente vale come l’inizio dell’Unione Europea. Recentemente, il 19 giugno, Papa Francesco ha riconosciuto le sue “virtù eroiche”, dando ulteriore testimonianza per quel collegamento tra il progetto politico e laico dell’Europa unita, da un lato, e quei principi cristiani dell’identità europea che gli Stati moderni tra il nazionalismo e il colonialismo dell’800 e del 900 hanno smarrito, dall’altro. La Dichiarazione Schuman, pertanto, può essere ritenuta la base per il periodo di pace più lungo della storia del nostro continente.



Nato a Clausen in Lussemburgo, ma sentendosi sempre “lorenese”, Schuman ottiene nel 1904 la maturità (Abitur) a Metz, città allora tedesca, studia poi giurisprudenza a Bonn, Monaco e Berlino, per trovarsi poi nel 1919 deputato nell’Assemblea nazionale a Parigi dove difende la minoranza alsaziano-lorenese, e specialmente la loro libertà religiosa contro il centralismo e la laïcité francese. La sua Europa, come si vede, non dipende dai confini degli Stati: sin dai suoi anni giovanili approfondisce il pensiero di Tommaso d’Aquino ed è affascinato dalla grande enciclica sociale di respiro europeo Rerum novarum di Leone XIII del 1891.



Quando si trova imprigionato dai nazisti a Neustadt, chiede come lettura la Storia dei Papi di Pastor in 16 volumi. Per lui, il politico è autentico solo se realizza il “desiderio di Dio”, come lui stesso lo chiama, “ut unum sint”. Per De Gasperi, infatti, di questo compito politico “la prova è là, in quest’uomo lungimirante e lucido che si chiama Schuman”. In questo senso politico-laico di unità e solidarietà consiste la sua “missione politica” dopo la seconda guerra mondiale che egli stesso definì come compito di “ripensare i fondamenti cristiani dell’Europa, costruendo un modello democratico della pratica del potere, modello che attraverso la pacificazione fa nascere una comunità dei popoli in libertà, giustizia, solidarietà e pace”.



Per realizzare l’unità dell’Europa, infatti, dopo le esperienze belliche innanzitutto sul confine tra la Germania e la Francia, ci voleva la saldezza nel principio cristiano dell’universale solidarietà, ma anche la responsabilità del “calcolo freddo” del politico. Solo dalla Francia poteva essere tesa la mano amica, e a nessun popolo ciò fu più difficile che a quello francese. In questo momento per Schuman era decisivo avere in Adenauer e De Gasperi due leader con cui realizzare un progetto certamente ideato nelle correnti democratico-cristiane nel periodo tra le due guerre, ma mai pronto a essere concretamente e politicamente realizzabile. La prospettiva di una costruzione non inter–statale (come ancora proposta dal “patto di Bruxelles” del 1948 e giustamente bocciato da De Gasperi) ma sovra–nazionale in cui i popoli si trovano coinvolti in un processo di continuo approfondimento di collaborazione e solidarietà, ancora non era stata proposta da nessuno. Con Adenauer e De Gasperi, Schuman si trovava a parlare, in questo senso, la stessa lingua – che quindi non era solo il tedesco che tutti i tre, come “uomini di confine”, praticavano. Il “problema Germania” come nucleo della “questione europea” sembrava effettivamente risolvibile quando Schuman il 9 maggio 1950 presentò al mondo la sua dichiarazione – elaborata nei dettagli da Jean Monnet – spiegando che per la salvaguardia della pace in Europa bisognava iniziare un processo di avvicinamento tra i popoli che si distacca dalla logica degli Stati nazione.

A partire da un ambito politico-economico ben preciso, la produzione del carbone e dell’acciaio, gli Stati dovevano essere integrati in una realizzazione sovranazionale delle loro sovranità, destinata a svilupparsi gradualmente: “L’Europa non potrà farsi in una sola volta […]; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”. La forza di questo progetto sta nell’aver messo le basi di un’unione di cui – come dovette costatare Adenauer già nel 1960 – certamente “si pensò che poi tutto il resto sarebbe andato molto più velocemente”, ma alla fine “si andò avanti!”. Schuman aveva colto il kairos del momento – anche questa è una grande virtù politica – perché forse già solo pochi anni dopo ciò non sarebbe stato più possibile.

In quanto le istituzioni della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca) prefigurano i principali organi dell’odierna Unione Europea, l’idea di Schuman può valere a tutti gli effetti come l’inizio di quel progetto politico inedito che nel 2012 ha ricevuto il Premio Nobel per la pace. Tra cui si trova la Corte di giustizia, l’Alta autorità (oggi la Commissione europea), e l’Assemblea comune (oggi il Parlamento europeo), da cui nacque dopo i trattati di Roma nel 1958 l’Assemblea parlamentare europea di cui lo stesso Schuman divenne il primo presidente. Per completare i suoi incarichi politici, va ricordato che era anche ministro delle Finanze e della Giustizia, e che come presidente del Consiglio della Francia (1947-48) era il primo a promuovere una donna ministro.

Essendo senza precedenti nella storia delle istituzioni politiche, l’ispirazione a partire dai principi base che Schuman trovava nella lunga storia dell’Europa e che la sua fede cristiana gli permise di scoprire e comprendere, racconta molto di quell’identità “cristiana” dell’Europa di cui oggi spesso si discute e di cui si teme possa essere fraintesa come “appropriazione religiosa”. Invece, il progetto politico di Schuman, così come lo fu anche per De Gasperi e Adenauer, era politico, laico e universale.

Allo stesso momento, non ci può essere alcun dubbio della fede personale di Schuman e che essa costituiva per lui la motivazione e l’ispirazione del suo agire politico. Segni visibili ne erano la partecipazione quotidiana alla messa e la sempre quotidiana lettura della Scrittura, ma anche la sua scelta celibataria per cui da un giornalista fu chiamato il “monaco del Quai d’Orsay”. Ancora più importante sembra, però, il fatto che questa fede si traduceva in una lucidità e fermezza di idee e di carattere, espressione di grande umanità ma anche di lungimiranza e senso realistico in politica.

Così Schuman ha messo la base per il superamento dei sentimenti di inimicizia tra i popoli e per l’affermazione del bene comune europeo. Per questo, quando Papa Francesco ha autorizzato lo scorso 19 giugno la pubblicazione del decreto che riconosce le “virtù eroiche” di Schuman, ha giustamente voluto presentarlo come esempio per una politica che secondo l’affermazione di Pio XI e Paolo VI è la “forma più alta di carità”, e di cui forse proprio oggi avremmo nuovamente bisogno.

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