“Se non direte mai cose che facciano dispiacere a qualcuno, non potete affermare di aver sempre detto la verità” (Albert Schweitzer)
Gentile direttore,
nel corso di una guerra è inevitabile, ed entro certi limiti comprensibile, che la comunicazione dei fatti sia alterata in funzione degli interessi politico-militari delle parti in lotta. Cosa diversa è che quella versione dei fatti si consolidi in una verità storica indiscutibile e venga celebrata in perpetuo come tale. In questo caso a farne le spese è la Storia con la sua insostituibile funzione di ricostruzione dei fatti e di accertamento della verità, per quanto possibile.
È quanto si è fatto nel racconto e nella celebrazione della liberazione di Firenze l’11 agosto 1944, di cui ricorre quest’anno l’ottantesimo anniversario. Nella lapide apposta sul fianco di Palazzo Vecchio il testo (scritto da Piero Calamandrei) recita: “Dall’ XI agosto MCMXLIV / non donata ma riconquistata / a prezzo di rovine di torture di sangue / la libertà / sola ministra di giustizia sociale / per insurrezione di popolo / per vittoria degli eserciti alleati / in questo palazzo dei padri / più alto sulle macerie dei ponti / ha ripreso stanza nei secoli”.
E già nella giornata dell’11 agosto La Nazione del Popolo, organo del CTLN (Comitato Toscano di Liberazione Nazionale), scriveva in un articolo titolato Firenze in mano ai Patrioti: “Non erano ancora scoppiate le mine tedesche sui ponti del Mugnone, che dalle case, fino ad allora silenziose, si son visti uscire i Patrioti armati attaccare e incalzare fino ai margini della città la soldataglia tedesca…”. E nella seconda pagina, sotto il titolo La cronaca della giornata, si legge che “Nelle prime ore di questa mattina formazioni della divisione garibaldina Arno, dopo aver messo in fuga oltre quattrocento tedeschi, occupavano Palazzo Vecchio […]”.
In sintesi, secondo la fortunata formula coniata dal giornalista della Nazione del Popolo Sergio Lepri, “Firenze insorse e si liberò da sola”.
Le cose in realtà andarono diversamente. Gli alleati arrivarono a Porta Romana la mattina del 4 agosto. Nella notte tra il 3 e il 4 i tedeschi si erano ritirati dall’Oltrarno facendo saltare i ponti e distruggendo le zone di testa al Ponte Vecchio. Una settimana più tardi, nella notte tra il 10 e l’11, l’esercito tedesco ritirò le sue truppe anche dalla parte nord della città, arretrando al di là del Mugnone e della linea ferroviaria e facendo saltare i ponti sul torrente, salvo una parte del Ponte Rosso. Il 18 agosto, infine, i tedeschi completarono il loro ripiegamento ritirandosi sulle colline a nord di Firenze. In città rimasero solo i franchi tiratori, una frangia di fanatici fascisti “pavoliniani”, che operavano nel territorio occupato dagli “invasori”, cioè gli alleati, e che inflissero ai partigiani gravi perdite.
Non ci fu però alcuna battaglia tra partigiani e tedeschi, tanto meno un’insurrezione di popolo, e ci sono testimonianze e documenti che lo dimostrano.
Il più importante, e a mio parere già decisivo, è paradossalmente il verbale della seduta dell’11 agosto 1944 dello stesso CTLN, dove si legge: “Alle ore 8 il Comitato si insedia in Palazzo Medici Riccardi unitamente al Comando Militare essendo stata la città evacuata dalle truppe tedesche. Si delibera di fare invito alla popolazione di ritirarsi entro le case per ragioni di ovvia prudenza e di dislocare le forze volontarie alla periferia. Il Comandante notando come i tedeschi abbiano costituito una linea di resistenza lungo il Mugnone e alla fascia ferroviaria Cure-Campo di Marte propone di aumentare le forze della 2a e 4a zona […]. Il Commissario Politico nota che se i tedeschi volessero fare una spedizione in città, tanto di notte che di giorno, potrebbero farla. Fra le nostre truppe si notano purtroppo molti indisciplinati”.
Tra le testimonianze è particolarmente significativa quella di Maria Luigia Guaita, allora partigiana del gruppo Giustizia e Libertà e nel dopoguerra fondatrice della Stamperia il Bisonte. Nel suo libro del 1957, Storie di un anno grande. Settembre 1943-Agosto 1944, ricorda l’incredulità e la gioia di quando fu svegliata all’alba dell’11 agosto con la notizia che i tedeschi se ne erano andati e con gli amici e compagni Lea Valobra e Alfio Campolmi corsero per le strade del centro, trovandole deserte: “…una donna da una finestra bassa mi chiese urlando: ‘Se ne sono andati?’ ‘Siamo liberi, liberi’ risposi singhiozzando e allargando le braccia” (Capitolo 14, Undici agosto ore 5, pp. 79-85).
Ma il sigillo sulla “verità ufficiale” dei fatti fu messo dal conferimento della Medaglia d’oro al valor militare alla città di Firenze un anno dopo, il 10 agosto 1945. Fra le motivazioni quella di avere contribuito “con ogni forza alla resistenza e all’insurrezione”.
Nel corso della mia lunga attività di ricercatore ho scritto numerosi volumi su questa e su altre vicende di quegli anni, a Firenze e in altri contesti, dove i fatti sono stati alterati da una verità ufficiale, per lo più per scelta ideologica, facendo, io credo, un pessimo servizio alla Resistenza e alle sue pagine più luminose, oltre che alla credibilità della ricerca storica. A ottanta anni di distanza sarebbe finalmente l’ora di voltare pagina.
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