Il vecchio, grande cinema, ormai sconosciuto ai più, ha immagini che restano nella memoria di chi ha potuto goderne. E così vedere il volto impietrito di Henry Fonda in Furore (1940) di John Ford ha un gusto che “Intender non la può chi non la prova”.
Hank Fonda entrava nella storia del cinema con quella sua camminata leggera, raffinata, di eleganza ineguagliata, ma solo due anni dopo, a 37 anni, entrava in Marina per servire il proprio paese. E così Fonda, che guadagnava 150mila dollari all’anno, lasciò tutto per una paga annuale di 1.600. Diciamo che, tra cambio e svalutazione, era passato da 2,3 milioni a 25mila dollari. Henry Fonda era motivatissimo, nonostante l’età non giovanissima, si classificò tra i primi dieci del corso e si fece la campagna del Pacifico dalle Marianne a Iwo Jima come osservatore aereo, decorato con la Bronze star.
Ancor più commovente è la storia di Clark Gable, che nel 1940 aveva interpretato il ruolo che lo rese famoso nei lustri a venire: quello di Rhett Butler in Via col vento (1940). A 39 anni Gable aveva tutto, ma pochi anni dopo era ridotto alla disperazione: nel gennaio del 1942 l’adorata moglie, l’attrice Carole Lombard, morì in un incidente aereo mentre tornava da uno spettacolo per le truppe americane. Dopo mesi di depressione decise di arruolarsi in aviazione come mitragliere nelle Fortezze Volanti, i B-17. Ufficialmente fece “solo” cinque missioni, ma i suoi compagni dicono che furono molte di più. Gable insisteva per avere i posti più pericolosi, come mitragliere di coda e filmava gli scontri aerei. Soffrì di congelamento ad alta quota e sfiorò la morte più volte in missioni su Norvegia, Francia e Germania. Alla fine i produttori di Hollywood riuscirono a farlo tornare in patria per non perdere un patrimonio.
Di tante star di Hollywood quella che fece la carriera militare più travolgente, giungendo al grado di colonnello dell’Aeronautica alla fine della guerra fu James Stewart. Nato nel 1908, allo scoppio della guerra aveva raggiunto due obbiettivi notevoli: l’Oscar nel 1941 per Scandalo a Filadelfia e il brevetto di pilota con 400 ore di volo. Per più di un anno fu confinato in una base di addestramento poi, nella primavera del 1943, riuscì ad andare in Europa nel 445° gruppo bombardieri. L’equipaggio del suo bombardiere B-24 pensava che, con un attore famoso, le missioni non sarebbero state molto rischiose: e invece Stewart portò il suo velivolo su un obbiettivo tedesco e poi si fece altre 19 missioni, laddove l’aspettativa di vita per un equipaggio era di 11 missioni al massimo.
Dal 20 al 26 febbraio 1944 Stewart volò per tre volte sopra la Germania e in un’occasione il suo velivolo fu colpito in pieno dall’antiaerea e sopravvisse a stento. Ma Stewart non era un cacciatore di gloria. Come comandante di squadriglia e poi di gruppo il suo principale obbiettivo era colpire il bersaglio e riportare a casa tutti i suoi uomini.
Lo stress di quei mesi di guerra a costante contatto con la morte lasciò un segno indelebile sul volto del giovane Stewart, come si vede da queste due foto, scattate nel 1942 e nel 1944.
Quando Jimmy Stewart tornò in patria era invecchiato precocemente e quei capelli grigi contribuirono a rendere ancora più affascinante e straordinaria la figura di George Bailey, il protagonista di La vita è meravigliosa, il capolavoro di Frank Capra del 1946. Quella tensione, quella rabbia, quella disperazione che Stewart aveva provato come comandante di uno squadrone bombardieri si vedono in alcune scene del film. Ma Stewart sarebbe tornato a volare al comando di bombardieri per i decenni successivi fino al 1966, quando partecipò, come semplice passeggero, a una missione sul Vietnam.
Ma c’è un ultimo personaggio del quale è doveroso parlare: l’americana Josephine Baker, nata a Saint Louis nel 1906, vessata, oltraggiata, oppressa, discriminata dal razzismo dei bianchi fino a quando in Francia, con la sua bellezza, fece impazzire un continente intero. Già negli anni Venti la Baker (ma questo nome viene sempre pronunciata alla francese, con l’accento sulla E) era famosa per ballare vestita con un gonnellino di banane. Anche qui il razzismo fascista ebbe modo di offenderla, ma Josephine, ormai cittadina francese dal 1937, aveva mille risorse, sapeva come ripagare i razzisti. Quando scoppia la guerra Jacques Abtey, il capo dello spionaggio militare francese, la recluta come spia. È chiaro che, dovunque vada, sarà sempre sotto i riflettori: ma proprio per questo sarà insospettabile. Alla proposta di Abtey Josephine rispose: “La Francia mi ha reso ciò che sono. I parigini mi hanno dato il loro cuore e io sono pronta a dare la vita per loro”.
Il ruolo della Bakér “era raccogliere informazioni in ambiente diplomatico e portare documenti segreti alle forze della Francia Libera durante le sue tournée in paesi neutrali: in Sudamerica, in Spagna, in Portogallo. E chi sarebbe riuscito a perquisire le decine di b26auli pieni di costumi che si portava sempre appresso o controllare i vestiti dove scriveva con inchiostro invisibile? La spia Bakér operò nel Nordafrica, dove era stato ambientato Casablanca, ma i rischi erano reali. In Marocco fu colpita da una peritonite così violenta che alcuni giornali la dettero per morta, ma nemmeno allora Josephine si arrese e continuò a operare dal suo letto d’ospedale.
Nell’ottobre del 1944 la Baker tornò a Parigi e fu decorata con la Legion d’Onore e la Croix de guerre. Ma c’è da scommettere che la sua più grande gioia fu poter cantare nuovamente ai francesi, che tanto la amavano, con quella voce squillante e argentina “J’ai deux amours: mon pays et Paris”.
Quanto a noi, tornando al nostro momento, possiamo solo augurarci di non vivere momenti così tragici e di non dover chiederci se Leonardo di Caprio potrebbe entrare nella Delta Force.
Non è questo il punto: l’essenziale è rovesciare lo sciagurato assunto di Bertoldt Brecht: “Sventurato il paese che ha bisogno di eroi”. Perché è ancora più sventurato un paese che non ne trovi al momento del bisogno.
(2 – fine)
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