Può un lettore del XXI secolo interessarsi alla storia di Tommaso da Olera, un umile frate cappuccino nato in un piccolo, sconosciuto borgo della Valseriana in quel di Bergamo nella seconda metà del Cinquecento, per di più da una coppia di poveri pastori-contadini e rimasto analfabeta fino all’ingresso in convento all’età di diciotto anni? I genitori gli hanno trasmesso una fede robusta, incarnata nei sacrifici richiesti dalla vita quotidiana. Egli, figlio unico, li aiuta fin da piccolo nel lavoro dei campi e nell’allevamento delle pecore, allora molto praticato nelle valli bergamasche in vista della produzione della lana, assai richiesta sul mercato.



La sua fama è dovuta forse al fatto che un suo scritto, Fuoco d’amore, sarà una delle letture preferite dal grande papa suo conterraneo, Giovanni XXIII. Lo conserva sul tavolino da notte insieme alla Bibbia, al breviario e all’Imitazione e se la fa leggere quando non può più farlo da solo.

Ma cosa spinge Tomaso Acerbis a lasciare quella vita prevedibile nel solitario paesino di Olera? È un incontro. Gli capita, un giorno che accompagna il papà in paese, di assistere, insieme a una piccola folla, all’ improvvisato sermone di un frate cappuccino che alla fine elargisce agli astanti un sorriso, ricevendone in cambio poveri doni con cui riempire la bisaccia. La scena, il tono e le parole del frate lo lasciano inizialmente agitato e confuso, ma gli rimangono dentro fino a fargli maturare la sua vocazione.



I cappuccini sono il frutto del rinnovamento portato alla famiglia francescana nel 1525 da Ludovico da Fossombrone, mosso dall’ideale del ritorno alla sequela genuina e radicale di san Francesco d’Assisi. Da subito molti sono gli adepti, entusiasti e pieni di slancio e vigore.

I francescani riformati intendono vivere l’amore per Dio e per il prossimo nell’ordinarietà del quotidiano fra e per la gente, a cui si avvicinano con gesti semplici e generosi.  Sfamano, curano, confortano, consigliano, si donano a tutti senza distinzione. Saranno moltissimi i cappuccini che ben presto si distinguono per le capacità oratorie, come per le opere caritative o intellettuali. La loro presenza diverrà un saldo e rassicurante riferimento in ogni ambiente: dal carcere agli ospedali agli orfanotrofi, dai tuguri ai palazzi ai monti di Pietà.



A Tomaso, entrato in convento a Verona, vengono assegnati i compiti più umili: il servizio in cucina dove per lo più lava scodelle, il lavoro nell’orto dove collabora a semina, potature e sarchiature, e dove scopre la patata, arrivata da poco dal Nuovo Mondo. Per un certo periodo sarà portinaio nel convento di Padova.

Ma è il compito della questua quello che predilige Tommaso, magro e spigoloso, coi piedi nudi in ogni stagione mal riparati da rozzi sandali. Quel giovane cappuccino dalla chioma rossa, sempre accompagnato da un confratello, viene ascoltato con cuore aperto nelle case a cui chiede l’elemosina e a cui dona serenità con preziosi consigli, ammonimenti e incoraggiamenti circa la vita di fede.

A proposito della questua, ricordiamo le parole che Alessandro Manzoni mette in bocca a fra’ Galdino nel cap. 3 dei Promessi sposi: “Noi siamo come il mare, che riceve acqua da tutte le parti, e la torna a distribuire a tutti i fiumi”. Infatti l’elemosina non sopperisce solo alle necessità dei frati ma viene distribuita ai poveri che si rivolgono al convento in cerca di aiuto.

Chi vuole approfondire la vicenda di fra Tommaso (1563-1631) può farsi tenere per mano dal libro Fra’ Tommaso da Bergamo. Il cappuccino di Olera nel cuore di papa Giovanni XXIII, di Ambrogio Amati e Laila Nyaguy (Morcelliana, 2006). È una biografia completa, che ricostruisce integralmente con linguaggio accattivante, a volte con toni e racconti da romanzo, la multiforme attività e l’incredibile intelligente sapienza del personaggio, rimasto sempre frate per scelta, cioè fratello laico, converso, senza gli ordini sacri che lo avrebbero abilitato al ministero sacerdotale.

Fra’ Tomaso viaggia molto, sollecitato dai superiori, spostandosi da un convento all’altro in quella che era allora la Repubblica di Venezia, in Trentino, in Austria, nel Tirolo, oltre a visite più occasionali come a Loreto, dove torna ben tre volte, e a Roma dove è ricevuto in udienza da papa Gregorio XV. Preceduto ormai dalla sua fama, come cinquant’anni dopo Marco D’Aviano, al secolo Carlo Domenico Cristofori, incontra papi e imperatori, duchi e principi. Promuove la fondazione di chiese e conventi, pacifica e consiglia persone di ogni rango. Si prodiga decisamente con la testimonianza e la predicazione per recuperare al cattolicesimo quelle terre, dove la pressione della riforma protestante, nella versione luterana o calvinista, non è indifferente. Sa leggere in profondità i pensieri dei suoi interlocutori, tanto che a volte riesce con le sue ammonizioni a influenzarne le scelte fino a cambiarne la vita. In molte occasioni si dimostra capace di “indovinare” il futuro. Spesso è ritenuto responsabile di fatti miracolosi.

Ad un certo punto il cappuccino, su consiglio dei superiori, inizia a stendere le sue riflessioni e le meditazioni scaturite dalle esperienze mistiche che vive. Da questi scritti traspare una profondità di pensiero e una sapienza del cuore fuori dell’ordinario, nonostante le carenze culturali e le frequenti imprecisioni formali, dovute all’istruzione sommaria ricevuta nei primi anni in convento. Il fatto è che Tommaso, mai spinto da ambizioni o orgoglio, si dichiara “povero e indegnissimo servo di Giesù Christo”. Lui vive in modo assoluto il distacco dalle categorie mondane, in completa e serena sottomissione alla volontà di Dio, per cui lo scrivere per lui non è che un’altra forma di servizio apostolico, destinata al bene delle anime. Esattamente come si dedica al lavaggio dei piatti e del pentolame, o all’intaglio di cucchiai di legno. Oltre al già citato Fuoco d’amore, le altre opere del frate bergamasco, che raccolgono una gran quantità di materiale documentale, portano i seguenti titoli: Scala di perfezione, Selva di contemplazione, Concetti Morali contra gli Heretici, l’Epistolario con 27 lettere.

Gli ultimi anni di vita il frate li trascorre a Innsbruck, dove sebbene prostrato da una seria malattia, non trascura i suoi impegni di apostolato, continuando a comporre trattati morali e a mantenere fitti contatti epistolari con le persone conosciute. Lì muore nel 1631, a 68 anni, compianto da tanti e onorato dai confratelli. E viene sepolto nella cripta della locale chiesa dei Cappuccini. Subito dopo la morte, la voce popolare definisce santo fra’ Tommaso da Olera, che tale è già stato considerato in vita. Si verificano grazie alla sua intercessione episodi prodigiosi, come guarigioni inspiegabili. Il processo per la beatificazione inizierà nel 1967 e si concluderà nel 2013.

Proprio nel 2013 viene realizzato un docufilm dal titolo Tommaso ad opera del regista Omar Pesenti, con la partecipazione dell’attore Tiziano Ferrari, entrambi affascinati da una figura così carismatica e viva nonostante i secoli che ci separano da lui.

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