“San Michele Arcangelo, proteggici in battaglia”. Sono le prime parole dell’invocazione all’Arcangelo San Michele, protettore dei paracadutisti. Nel corso della storia solo nei racconti della Bibbia è accaduto che Dio si sia schierato apertamente da una parte o dall’altra di due popoli in guerra. Tuttavia, spesso accade che gli uomini, sotto qualsiasi bandiera combattano, rivolgano il loro pensiero a Dio quando vedono in faccia la morte.
Durante il D-Day, soli nella notte dopo essersi lanciati con il paracadute o sulle spiagge spazzate del fuoco nemico, e in patria, nelle case, dopo aver appreso dello sbarco, molti hanno sentito l’impulso di affidarsi alla preghiera e di riprendere il dialogo con l’Onnipotente. Parecchi soldati americani raccontano di avere portato con sé la Bibbia.
Certamente sapevano che Dio era in grado di parlare al cuore degli uomini che a lui si affidavano. Tutti avevano timore della morte, sapevano che stavano per affrontare una situazione terribile. Si rendevano conto che le probabilità di sopravvivere sarebbero state davvero limitate, e di fronte alla domanda sul significato ultimo della vita e della morte si rivolgevano a Dio. Questi momenti drammatici sono potenzialmente momenti di risveglio, perché portano con sé la domanda del senso ultimo di tutto. Per questo il rapporto con Dio assume una insospettata concretezza riscontrabile in molte testimonianze.
Il messaggio del generale Eisenhower, consegnato a tutti coloro che avrebbero preso parte allo sbarco, terminava con le parole: “Chiediamo la benedizione di Dio onnipotente per questa grande e nobile impresa”. Il cappellano presbiteriano Frank Svoboda, della 79esima Divisione americana, ebbe una chiara evidenza del fatto che tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio, quando osservò con commosso stupore che ai servizi religiosi partecipavano indistintamente soldati protestanti, ebrei e cattolici, che pregavano insieme recitando il rosario. Gli uomini non erano particolarmente attenti al rispetto delle forme liturgiche, e anche i cappellani spesso dovevano fare di necessità virtù.
Svoboda prima di un combattimento si trovò a distribuire la comunione con cracker e succo d’uva a un gruppo di uomini riparati dietro a un terrapieno a poche centinaia di metri dalla linea del fronte Il paracadutista Harry Reisenleiter ricorda: “Era tempo di preghiera. E credo che tutti noi facemmo una valanga di promesse a Dio. Tutti avevamo paura, paura di rimanere feriti, paura di nuocere ad altri per sopravvivere, e più grande di tutte, paura di avere paura”. Il suo collega “Dutch” Schultz, sull’aereo che lo porta in Normandia, si affida a Dio: “La prima cosa che feci fu cercare il mio rosario. Avevo avuto una educazione cattolica ed ero particolarmente devoto alla Madonna. Quindi cominciai a recitare un rosario dopo l’altro”.
Dwayne Edwards, a bordo di un C-47, si chiede quanti dei suoi amici moriranno quel giorno, e si rivolge a Dio con queste parole: “Signore, ti prego, fammi fare la cosa giusta, non lasciare che mi uccidano, e fa’ che io non uccida nessuno: penso di essere troppo giovane per questo”.
Il tenente Richard Winters, nel volo che lo portava verso le zone di lancio della Normandia aveva pregato Dio di avere salva la vita e di essere capace di fare il proprio dovere. Ventiquattr’ore dopo, alla mezzanotte del 6 giugno, scrive nel suo diario: “Non ho dimenticato di inginocchiarmi e di ringraziare Dio di avermi aiutato a sopravvivere quel giorno, e di chiedergli di aiutarmi anche per il D-Day più uno”.
Il capitano Francis Sampson, sacerdote e cappellano della 101esima Divisione aviotrasportata americana, si lancia sulla Normandia insieme ai suoi ragazzi e atterra in mezzo alle paludi del Dives. L’acqua è profonda e il pesante equipaggiamento che ha addosso lo trascina verso il fondo, mentre il paracadute è rimasto fuori dall’acqua. Sommerso, recita velocemente l’atto di contrizione. Poi in preda al panico si libera di tutto l’equipaggiamento, compreso l’occorrente per la celebrazione della messa. Il paracadute si gonfia per il forte vento e lo trascina per un centinaio di metri fuori dall’acqua. Sfinito, rimane venti minuti steso nel fango. La zona è battuta da mitragliatrici e mortai, ma il cappellano ritorna dove aveva lasciato l’equipaggiamento, si immerge per recuperare la borsa con il necessario per celebrare la messa e al quinto tentativo ci riesce. Qualche tempo dopo, ripensando a quanto gli era accaduto, si accorge che l’atto di contrizione che aveva recitato in fretta mentre si trovava sott’acqua in realtà era la preghiera prima del pranzo.
Anche i tedeschi, uomini non diversi da quelli che avevano di fronte, affidavano la loro vita a Dio. Il soldato Franz Gockel sotto il bombardamento alleato si rannicchia nella sua postazione pregando Dio che gli permettesse di sopravvivere. Erwin Müller, un tedesco che aveva imparato l’inglese, la notte del 6 giugno ha catturato tre paracadutisti americani, di cui uno gravemente ferito e ormai agonizzante, che spira poco dopo. Uno dei due americani si inginocchia, chiude le palpebre al morto, gli mette le braccia incrociate sul petto e poi comincia la preghiera dei defunti. Müller e l’altro americano si uniscono a lui; poi il sergente e gli altri due tedeschi, riconoscendo il ritmo della preghiera, la continuano in tedesco. I sei uomini pregarono insieme, ognuno nella propria lingua, raccolti in gruppo attorno al morto.
Molti rivolsero il loro pensiero al Cielo nell’inferno del combattimento, ma tanti altri lo fecero nelle loro case alla notizia dell’inizio dell’invasione. La sera precedente a Cape St Albans il guardiacoste Wallace, dopo aver visto la flotta e udito il rombo degli aerei, si era inginocchiato con la moglie a pregare. Il presidente americano Franklin Delano Roosevelt, in un intervento alla radio, chiese alla popolazione di unirsi in preghiera. L’appello fu trasmesso durante tutta la giornata, e apparve sui quotidiani nell’edizione della sera. Alle 22 tutta l’America si unì alla preghiera del presidente. L’impulso di pregare fu una esigenza condivisa. In Madison Square un gran numero di persone si fermò e si riunì in raccoglimento. I giornali dell’epoca riferirono che a New York le donne e gli uomini che rientravano a casa dai turni di notte si fermarono a pregare nelle chiese.
In tutto il Paese suonarono le campane nel richiamo solenne alla preghiera. Le chiese di tutte le confessioni e le sinagoghe si riempirono di gente. La cattedrale di St Louis a New Orleans era gremita fin dal primo mattino. La mattina molti negozi rimasero chiusi. Macy’s, una grande catena di supermercati, sospese le vendite a mezzogiorno. In un’altra catena, Lord & Taylor, il presidente Walter Howing comunica ai suoi tremila dipendenti la decisione di non aprire per un giorno con queste parole: “Il negozio è chiuso. L’invasione è iniziata. Il nostro pensiero va agli uomini che stanno combattendo. Abbiamo chiuso il negozio perché sappiamo che i nostri dipendenti e clienti che hanno i loro cari in guerra vorranno dedicare questa giornata alla speranza e alle preghiere per la loro incolumità”.
Il New York Daily News sostituì l’articolo di fondo della prima pagina con il testo del Padre Nostro. Ancora molti altri, da entrambi i lati del fronte e nei mesi che seguirono, si sarebbero affidati a Dio nel momento del pericolo. Uno di questi eventi, sconosciuto ai più, ebbe esiti significativi. E vale la pena di narrarlo. Durante l’offensiva tedesca delle Ardenne (16 dicembre 1944-25 gennaio 1945) i paracadutisti americani sono circondati dalle divisioni tedesche a Bastogne. La copertura aerea e i rifornimenti dal cielo sono impediti dalle condizioni meteorologiche avverse. Il generale Patton chiede al cappellano James O’Neil se per caso avesse una preghiera per il bel tempo. O’Neil ne compone una ad hoc, che viene stampata in 25mila copie e distribuita alle truppe con un messaggio di Patton che chiede di pregare per avere quattro giorni consecutivi di bel tempo. Nei giorni successivi il tempo cambia, e le truppe americane possono essere rifornite con lanci di viveri e munizioni. Non sappiamo se le preghiere davvero contribuirono allo scopo, però ci piace pensare che fu davvero così.
(2 – continua)
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