La Moldova era un principato che nei secoli dal Trecento fino al primo Ottocento comprendeva un territorio esteso dal Mar Nero al fiume Nistro (in russo Dnestr), dalla Bucovina alla Romania orientale odierna. Fu vassallo dei turchi che nel 1812 cedettero all’impero russo la parte a oriente del fiume Prut, mentre la Bucovina, con Czernowitz, finì all’Austria. Alle terre tra i fiumi Prut e Nistro, lo zar aggiunse il Bugiàk o Bessarabia, regione sul Mar Nero portata via agli ottomani, e formò la Bessarabskaja Gubernija come parte dell’impero russo.



Nel 1859 il resto del principato moldavo, in cui vi erano città importanti come Iaşi e Suceava, si unì alla Valacchia (detta Țăra Românească) e così nacque il Principato Unito, poi divenuto regno di Romania. Passarono decenni, arrivò “il guerrone” temuto da San Pio X e il governatorato di Bessarabia fu inglobato nel regno di Romania, che si prese anche la Transilvania e il Banato (fino ad allora austro-ungarici). Nel secondo conflitto mondiale il territorio già dello zar fu preso dai sovietici, che tolsero l’antico Bugiàk e lo misero nell’Ucraina, insieme a una fetta settentrionale della Bucovina.



Quel che rimase costituì la repubblica socialista sovietica di Moldavia, in cui finì anche il territorio a est del Nistro, la Transnistria, abitata da romeni, russi, ucraini ecc. ecc. Quest’ultima, negli anni Venti del Novecento, era inserita, come repubblica autonoma, nella repubblica socialista sovietica dell’Ucraina; passò da un paradiso socialista all’altro. Tramontò anche l’Urss et voilà, la Moldova fu libera di affrontare tutti i problemi di un territorio conteso da secoli dai potentati di turno – e fu sballottata anche la lingua, che era scritta in vari modi: in cirillico (come del resto si faceva anche nelle altre terre romene, fino al 1862), poi in caratteri latini, poi – all’avvento dell’Urss – di nuovo in cirillico, fino al 1991. Ma nella Transnistria ribelle e secessionista mantengono il cirillico. E in che lingua scrivono? In moldavo, cioè nel romeno di Moldova.



Carlo Tagliavini, esperto di linguistica balcanica e tra i maggiori glottologi italiani, osservava che in Bessarabia “il nome della lingua era […] limbă moldovenească, piuttosto che limbă romanească”. Inoltre, “nel periodo fra il 1812 e il 1918, proprio negli anni più importanti per la formazione della lingua letteraria rumena, la lingua rumena in Bessarabia non aveva seguìto in tutto l’evoluzione di quella dei Principati Danubiani prima e della Rumania poi” (C. Tagliavini, Le origini delle lingue neolatine, Pàtron, Bologna, p. 357, nota 4; si noti che Tagliavini usa la u sia per rumeno sia per Rumania; oggi gli studiosi italiani preferiscono la o in entrambi i casi). Notevole è stato poi l’influsso della lingua e della cultura di matrice russa, per tutti gli ultimi due secoli.

Non dimentichiamo, peraltro, che la Moldova ha diverse comunità plurilingui. Secondo i dati del censimento fatto nel 1897 sotto l’impero russo, nell’allora governatorato bessarabico c’erano circa due milioni di abitanti e per la metà erano moldavi; vi erano poi russi (150mila), ucraini (400mila), ebrei (oltre 200mila), bulgari (100mila), 60mila tedeschi (chiamati a suo tempo dalla zarina Caterina, tedesca pure lei), 50mila gagausi (popolo cristiano, con una lingua parente del turco) e altre comunità minori. In parte, la situazione rimase tale fino al Novecento, pur con i cambiamenti territoriali avvenuti: la shoah cancellò la comunità ebraica, i tedeschi furono deportati in epoca sovietica e gli altri si arrangiarono come poterono; invece, i gagausi ci sono ancor oggi e hanno un territorio autonomo (la Gagausia) dentro alla Moldova.

Nella prospettiva della sociolinguistica contemporanea, il romeno si configura come una delle tante lingue pluricentriche: questo vuol dire che sono riconosciute ufficialmente in più di uno Stato e in ciascuno di questi Stati è elaborata una norma, che descrive una varietà standard, ossia il riferimento per gli usi linguistici nelle funzioni sociali di prestigio. Il romeno ha appunto due varietà standard, quella di Romania e quella della Moldova. Pluricentriche sono molte lingue d’Europa: per esempio, il francese, oltre alla varietà standard riconosciuta in Francia come langue de la République (così nella Costituzione, dal 1993), ne ha diverse altre: in Vallonia (uno dei tre stati della Confederazione dei Belgi), nella Svizzera romanda, nel Québec – e altre ancora. Del pari, lo spagnolo ha una varietà standard in Spagna e altre varietà nei molti stati dell’America Latina; così pure il portoghese, le cui due varietà standard più prestigiose sono la lusitana e la brasiliana. Per il catalano, vi è anche la varietà del valenciano, che ha riconoscimento nella regione di Valencia – la quale non è in Catalogna! E un altro standard vi è ad Andorra (Stato indipendente). Tra le diverse varietà standard di ciascuna di queste lingue ci sono differenze, peraltro non così grandi come quelle che distinguono, per esempio, l’urdu (del Pakistan musulmano) dallo hindi dell’India. Anche il serbocroato ha diverse varietà: ma le differenze sono più culturali e politiche che linguistiche. È possibile ritenere che pure l’italiano si caratterizzi come una lingua pluricentrica: la varietà standard elvetica, usata sia nella “Repubblica e Cantone del Ticino” sia nel Canton Grigioni, ha peculiarità (per lo più lessicali) rispetto alla norma d’Italia. Non parliamo poi dell’inglese – la lingua pluricentrica per eccellenza – o del tedesco: persino le autorità dell’Unione Europea riconoscono una varietà standard austriaca distinta da quella della Germania; aggiungiamo quella della Svizzera (e altre ancora: del Belgio tedesco, del Lussemburgo, della Provincia Autonoma di Bolzano). Per l’Europa settentrionale, basti citare il caso del finlandssvenska, lo svedese di Finlandia, con una varietà standard diversa da quella di Svezia. Nell’Europa contemporanea, il “pluricentrismo” è diffuso e ampiamente riconosciuto, anche in sede politica.

La Moldova, riconoscendo il romeno come lingua ufficiale, ha ribadito il carattere pluricentrico di tale lingua; non ha adottato la varietà standard di Romania, ma ha affermato implicitamente che moldavo equivale a romeno, beninteso a “romeno della tradizione moldava”. La decisione è linguistica, culturale e politica: la Moldova si allontana dalla storia ottocentesca di asservimento prima all’impero dello zar e poi al potere sovietico, ma, soprattutto, rivendica la dignità della propria varietà di romeno; come a dire: la Romania non ha “l’esclusiva” di questa lingua, perché le tradizioni secolari della Moldova rientrano nello spazio linguistico romeno. E un grande erudito moldavo del primo Settecento, il principe Dimitrie Cantemir, noto a San Pietroburgo con il nome russo di Dmitrij Kantemir (e come tale inserito nelle storie della letteratura russa), aggiungerebbe che la Moldova, legata agli zar anche per la comune radice cristiana bizantina, è storicamente e culturalmente un ponte fra il mondo romeno e quello russo.

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