Il 30 settembre 1938 un bimotore atterra sulla pista dell’aeroporto di Heston, in Inghilterra. Immediatamente, una folla festante si accalca intorno al velivolo. Dalla pancia dell’aereo fuoriesce un esultante Neville Chamberlain, primo ministro del Regno Unito. Con la mano sventola un foglio di carta: si tratta dell’accordo di Monaco, appena firmato da Chamberlain stesso assieme ai suoi omologhi francese, italiano e tedesco.
Con questo accordo veniva legittimata l’annessione alla Germania della regione dei Sudeti, un pezzo di territorio cecoslovacco prevalentemente abitato da una popolazione di etnia tedesca. Un accordo ambiguo, capace di soddisfare il principio di autodeterminazione su cui, almeno in linea teorica, era stato costruito l’ordine europeo all’indomani del primo conflitto mondiale, e allo stesso tempo di avallare le mire espansionistiche di Hitler, fondate sulla coercizione e sulla violenza militare.
E forse era proprio quest’ultimo aspetto a riecheggiare nella mente di Chamberlain. Lo stesso giorno, all’esterno del numero 10 di Downing Street, il primo ministro britannico afferma: “Sono tornato dalla Germania con la pace per il nostro tempo”. Dietro a queste parole sono nascosti tutti i grandi incubi che in quel momento affliggevano la Gran Bretagna.
L’incubo della debolezza, che si stava lentamente insinuando all’interno del decadente impero britannico, pochi anni prima costretto nella forma a reinventarsi come Commonwealth per mantenere nella sostanza i suoi dominions all’interno della propria sfera d’influenza.
L’incubo del socialismo, e in particolare della sua “incarnazione terrena”, quell’Unione Sovietica che si estendeva da Brest-Litovsk a Vladivostok, tanto terrificante quanto misteriosa ed estranea per i politicanti europei.
Ma soprattutto, l’incubo della guerra. Nella mente di ogni cittadino d’Inghilterra e d’Europa erano ancora troppo vivide le immagini delle trincee in cui, vent’anni prima, un’intera generazione era stata mandata al massacro in una catastrofe mondiale che forse nessuno aveva veramente voluto. E pur di non dovere costringere la Gran Bretagna a vivere un’altra Somme, Chamberlain era disposto a tutto. Anche a venire incontro alle richieste del Führer.
Non era la prima volta che Londra rimaneva immobile di fronte ad una picconata tedesca verso la sistemazione dell’Europa. Nel marzo del 1936 Hitler aveva mandato i suoi soldati a rioccupare la Renania smilitarizzata; in quel momento, con un esercito tedesco allo stadio larvale del suo processo di ricostruzione, una rapida azione militare anglo-francese avrebbe posto fine per sempre all’espansionismo tedesco e al regime nazionalsocialista. Ma Parigi e Londra tacciono.
Esattamente due anni dopo, nel marzo del 1938, è la volta dell’Austria. Dopo aver provocato fortissimi disordini interni grazie ai suoi agenti in loco, culminati con l’assassinio del cancelliere Dollfuss in persona, Hitler invia l’esercito “come garanzia contro i disordini che si stanno verificando”. Il Führer ci aveva già provato quattro anni prima, nel 1934; ironicamente, era stata l’Italia di Mussolini a bloccare Hitler, schierando al Brennero due divisioni pronte ad intervenire in caso di una violazione dei confini dell’Austria. Ma ora, nel 1938, Roma e Berlino sono saldamente alleate, e Mussolini non ha più nessun interesse a bloccare il colpo di mano tedesco. Un plebiscito popolare sancisce l’unione ufficiale dell’Austria alla Germania, secondo il principio di autodeterminazione. Parigi e Londra tacciono ancora.
Ma a Monaco è diverso. Questa volta le grandi potenze democratiche non si limitano ad accettare il fatto compiuto. Durante quei giorni di trattativa, preceduti da espliciti annunci tedeschi sull’intenzione di ricorrere all’uso della forza per risolvere la questione dei Sudeti, Francia e Gran Bretagna hanno deciso di legittimare le richieste tedesche, senza neanche portare al tavolo delle trattative il paese oggetto della discussione.
Monaco segna il collasso definitivo del sistema di Versailles. La sovranità cecoslovacca, di cui Francia e Gran Bretagna si erano fatte garanti per i due decenni precedenti, viene sacrificata sull’altare della realpolitik. La concertazione tra le grandi potenze sembra tornare ad essere la chiave di volta della politica europea. Tutto per tutelare la pace.
Non tutti condividono le scelte di Chamberlain. Il 5 ottobre, meno di una settimana dopo l’atterraggio di Chamberlain a Heston, un uomo prende la parola nella Camera dei Comuni, per definire gli accordi di Monaco “Una totale e completa sconfitta”. Si chiama Winston Churchill, ed è l’uomo che tra meno di un anno subentrerà a Chamberlain, quando la Gran Bretagna vivrà la sua ora più buia.
Durante i colloqui, Adolf Hitler afferma che la regione dei Sudeti rappresenta l’ultima rivendicazione territoriale della Germania nazista, e che se le sue richieste saranno esaudite si impegnerà a non espandere più in alcun modo i confini tedeschi. I suoi interlocutori gli credono. Meno di sei mesi più tardi, nel marzo del 1939, l’esercito tedesco occupa una Cecoslovacchia incapace di resistere, sconvolta dalle sommosse interne e privata delle installazioni difensive che nei decenni precedenti aveva alacremente costruito lungo i confini con la minacciosa Germania.
Le illusioni di Francia e Regno Unito su un avvenire pacifico si infrangono di fronte alle colonne della Wehrmacht che marciano su Praga. Entrambe avviano un immediato programma di riarmo, consapevoli che lo scontro sarà inevitabile. Ma se la netta superiorità militare di cui le due potenze democratiche potevano godere nel decennio precedente era stata lentamente erosa da ogni concessione fatta al revisionismo hitleriano, l’occupazione della Cecoslovacchia l’aveva completamente vanificata: occupando Praga, Hitler guadagnava la Skoda, ovvero il maggior produttore di mezzi corazzati nell’Europa di allora.
Quando nel settembre del 1939 scoppia la guerra, la rinata macchina militare tedesca travolge tutti coloro che osano metterlesi contro. Nel maggio del 1940 sarà il turno della Francia, piegata da equipaggi tedeschi alla guida di mezzi cecoslovacchi. Contemporaneamente, Neville Chamberlain, travolto dalle critiche per l’inefficace conduzione del conflitto, viene costretto alle dimissioni e sostituito da Churchill, mentre i soldati inglesi si ritrovano a combattere lo stesso nemico sullo stesso territorio di venticinque anni prima, nella guerra che il vecchio politico inglese aveva cercato di evitare a ogni costo.
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