1945. Le truppe americane hanno riconquistato buona parte delle isole del Pacifico occupate dai giapponesi tra il 1941 ed il 1942. L’isola di Iwo Jima, situata a poco più di 1.000 chilometri a sud di Tokyo, 20 chilometri quadrati di territorio giapponese, è un obiettivo primario per gli americani. In quei mesi il Giappone viene continuamente bersagliato dai bombardieri B-29 americani che partono dalle basi americane nelle Marianne.



Iwo Jima si trova sulla rotta tra le Marianne ed il Giappone. La conquista dell’isola è un obiettivo strategico per il controllo dei due aeroporti costruiti dai giapponesi sull’isola. Decollando da Iwo Jima i bombardieri americani dovranno percorrere una distanza minore per colpire gli obiettivi in Giappone. I minori consumi di carburante consentiranno di aumentare il carico offensivo dei bombardieri. La maggiore vicinanza degli aeroporti di partenza, inoltre, permetterà di salvare le vite degli aviatori americani che disporranno di una base molto più vicina dove atterrare se danneggiati in azione.



La forza di invasione americana, al comando dell’ammiraglio Raymond Spruance e composta di oltre 11mila uomini, si trova a fronteggiare le truppe dell’esercito imperiale nipponico al comando del generale Tadamichi Kuribayashi e reparti della marina imperiale del contrammiraglio Toshinosuke Ichimaru. Gli americani mandano a Iwo Jima una forza stimata tra i 20 ed i 22mila uomini. L’isola è stata fortificata con centinaia di bunker di cemento armato costruiti miscelando la cenere vulcanica con calcestruzzo, collegati da una serie di tunnel scavati nella roccia vulcanica. Molti dei bunker sono interrati e protetti da pareti di oltre tre metri di cemento armato, capaci quindi di resistere ai bombardamenti dei grossi calibri delle navi americane. I due campi di aviazione sono circondati da fossati anticarro ed i sentieri dell’isola sono stati disseminati di mine. La parte meridionale dell’isola è dominata dal vulcano Suribachi, alto 550 metri, anche questo fortificato da bunker collegati da gallerie.



La mattina del 19 febbraio 1945 la quarta e la quinta divisione dei Marines sbarcano sull’isola. Le spiagge sono bersagliate dall’artiglieria giapponese che dalle postazioni del Suribachi domina le spiagge. Solo nel primo giorno gli americani perdono 2.500 uomini. La mattina del 23 febbraio, dopo cinque giorni di cruenti combattimenti all’interno delle gallerie scavate nella montagna e di pesanti perdite da entrambe le parti, alle 10:30 del mattino i Marines americani raggiungono la vetta del vulcano e vi innalzano una bandiera americana di 140×71 centimetri presa dalla nave da trasporto Uss Missoula, l’unità che aveva portato il 2º Battaglione a Iwo Jima, fissata ad un lungo tubo metallico trovato sul posto. Il sergente Louis R. Lowery, un fotografo di Leatherneck Magazine, la rivista del corpo dei Marines, scatta alcune foto che immortalano la scena. Una seconda bandiera, molto più grande della precedente (2,4×1,4 metri) proveniente dalla nave da sbarco carri armati Uss LST-779, viene innalzata quello stesso pomeriggio. Questo secondo evento viene immortalato da Joe Rosenthal, un fotografo della Associated Press. Rosenthal non sa che in quel momento ha scattato la foto più importante della sua vita, una delle più famose della storia, per la quale in seguito avrebbe vinto il premio Pulitzer. Scatta anche altre foto, una delle quali ritrae tutti i soldati presenti sulla cima del Suribachi raccolti intorno alla bandiera.

Questo evento iconico non segna la fine della battaglia, una delle più sanguinose dell’intero conflitto, che prosegue per altri venti giorni, fino al 26 marzo. Al termine le perdite americane ammontano di 6.821 marine e 363 marinai caduti in combattimento e 17.372 feriti. La guarnigione giapponese composta da 14.500 soldati e 7mila marinai viene quasi totalmente annientata: i superstiti sono poco più di 2mila. Iwo Jima è ricordata come l’unica battaglia del Pacifico nella quale gli americani hanno perso lo stesso numero di uomini dei loro avversari.

Nel 1954 a Washington D.C., poco lontano dal cimitero militare di Arlington, sulla base della fotografia scattata da Rosenthal, viene eretto il Marine Corps War Memorial, conosciuto anche come Iwo Jima Memorial, un monumento dedicato a tutti i marine caduti per la difesa degli Stati Uniti dalla fondazione del Corpo nel 1775. La data della fondazione si riferisce al corpo dei Continental Marines, la fanteria di marina delle tredici colonie creata durante la guerra d’indipendenza americana. Benché il corpo sia stato sciolto nel 1783 al termine della guerra di indipendenza, l’attuale U.S. Marine Corps, fondato nel 1798, si considera a tutti gli effetti in continuità storica con i Continental Marines, e celebra quindi la sua data di fondazione il 10 novembre 1775. Per questo la cerimonia di inaugurazione del monumento è avvenuta nel 179esimo anniversario della fondazione del corpo, il 10 novembre 1954, alla presenza dal presidente degli Stati Uniti Dwight D. Eisenhower.

La scultura, opera dello scultore Felix de Weldon, è alta 24 metri e lunga 18 e poggia su un piedistallo di lucido granito nero su cui sono incise le date e i nomi delle più importanti battaglie nelle quali è stato impiegato il Corpo degli U.S. Marines. Sul piedistallo è scolpita la frase: “In onore e in memoria degli uomini del United States Marine Corps che hanno dato la vita per il loro Paese dal 10 Novembre 1775”. Sulla base del monumento è inoltre scolpita anche la frase pronunciata dall’ammiraglio Chester Nimitz dopo la battaglia di Iwo Jima: “Uncommon Valor was a Common Virtue” (un valore non comune fu una virtù comune).

L’epopea di Iwo Jima è raccontata in tre famosi film: Iwo Jima deserto di fuoco (1949) di Allan Dwan con John Wayne, Flags of our fathers e Lettere da Iwo Jima, entrambi del 2006 per la regia di Clint Eastwood.

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