Chi è cresciuto negli anni 80 e 90 difficilmente non conosce il nome o il volto di Pavlína Pořízková, “supermodella americana di origine cecoslovacca” come recitano alcuni dei profili biografici che si possono trovare online. Durante una recente intervista alla televisione americana PBS, la Pořízková ha ricordato brevemente le sue impressioni del totalitarismo comunista cecoslovacco: “Fin dall’asilo ci veniva insegnato che saremmo stati lodati se avessimo informato su quelle ‘brutte persone che ci creavano problemi, diffondendo menzogne’. […] Il vero pericolo che veniva dall’occupazione, non era dover fare la fila per il poco cibo che si riusciva ad avere, o la scarsità di vestiti e giocattoli.



Il pericolo stava nel non poter fare affidamento sulle proprie convinzioni. Ad essere occupato era il tuo stesso cervello. Era come se ci fosse un alieno nel tuo cervello a prendere decisioni al tuo posto. Non eri realmente una persona”. In pochi però conoscono la drammatica storia della fuga dalla Cecoslovacchia della famiglia di Pavlína.



Jiří l’anticomunista

Il padre, Jiří Pořízka, era anticomunista dalla nascita. La sua famiglia aveva origini nobili, e in più i genitori lo avevano educato nella fede cattolica, rafforzata negli anni dell’infanzia con l’appartenenza convinta ed entusiasta a un gruppo scout locale. Nel 1962, appena ventiduenne, Jiří viene arrestato per aver distribuito pochi volantini con contenuto religioso. “Ideologia religiosa nemica” nel linguaggio del regime. Due anni e mezzo di reclusione, ridotti in appello a un anno e mezzo, e l’etichetta di “nemico del popolo” che gli costerà il declassamento da impiegato d’ufficio a operaio nell’azienda tessile in cui aveva da sempre lavorato a Prostějov, in Moravia. Sarà riabilitato nel 1968 grazie alle riforme di Dubček e alla Primavera di Praga, riconquistando anche la qualifica precedente.



I “nemici del popolo” erano sistematicamente discriminati dal regime in ogni aspetto della vita quotidiana. Nel caso di Jiří Pořízka e della sua famiglia, l’apparato comunista aveva sempre negato la concessione del passaporto. Questo aveva impedito a Jiří e alla moglie Anna di realizzare uno dei loro sogni di gioventù: viaggiare all’estero per “vedere come era la vita al di là della cortina di ferro”. Anche questa limitazione, però, cade con le riforme del 1968. Pořízka decide di mettere alla prova la sincerità del nuovo corso dubčekiano, e nella motivazione della richiesta per il passaporto scrive: “desidero viaggiare in ogni Paese del mondo a eccezione dell’Unione Sovietica”. La richiesta è approvata: Jiří e Anna ottengono il passaporto. Nella notte tra il 20 e il 21 agosto 1968 però il sogno finisce, con l’invasione militare della Cecoslovacchia da parte degli eserciti del Patto di Varsavia. Pavlína ha da poco compiuto tre anni; Jiří e Anna temono il ritorno del regime alla sua forma precedente e decidono che non possono accettare di convivere con il male comunista.

La fuga in Austria senza la figlia

La decisione è pressoché immediata e il 25 agosto la coppia scappa in Austria in motocicletta, portando con sé solo 2mila corone cecoslovacche che spenderà interamente per poter acquistare la polizza assicurativa per poter circolare nel Paese. La decisione di lasciare Pavlína con i nonni materni si rivela presto scellerata: la coppia mette radici in Svezia e chiede alla Cecoslovacchia di lasciare partire la piccola, che nel frattempo ha compiuto quattro anni. La risposta del regime è categorica: se Jiří e Anna vogliono ricongiungersi con la loro figlia, devono tornare in Cecoslovacchia. Dove, nel frattempo, sono stati condannati per aver illegalmente lasciato il Paese.

L’unico contatto possibile con Pavlína è il telefono: è allo stesso tempo conforto e sofferenza per Jiří e Anna sentire la propria figlia cantare dalla cornetta. I due non si arrendono e continuano a cercare di ottenere il ricongiungimento con la piccola. Inutili sono gli appelli al presidente cecoslovacco Svoboda, alla Croce Rossa Internazionale o alla Commissione internazionale per i diritti umani dell’Onu. E così la famiglia Pořízka decide di lanciare una petizione che raccoglierà circa 80mila firme e uno sciopero della fame nel pieno centro di Stoccolma. Vengono stampati circa 10mila volantini con scritto “Pavlína, per quanto ancora dovrai cantare al telefono?”. Jiří e Anna ottengono il sostegno morale di alcuni parlamentari svedesi, ma soprattutto il sostegno finanziario di Emil Rior, imprenditore di origini finlandesi. Ma il tempo passa, e il risultato non cambia: il governo cecoslovacco rimane fermo nell’indicare il rimpatrio dei genitori come unico mezzo per riabbracciare Pavlína.

Il tentativo di due piloti

Anna Pořízková ha un esaurimento nervoso, e insieme a Jiří decide di dare ascolto a due giovani piloti che si offrono di volare in Cecoslovacchia e prendere con sé la piccola Pavlína, per riportarla dai genitori. Jiří fornisce ai giovani (Christer Larsson e Karl-Goran Wickenberg) una mappa dettagliata della città di Prostějov e una lettera per i suoceri in cui spiega la situazione.

La motivazione ufficiale per la visita dei due piloti in Cecoslovacchia è l’intenzione di acquistare un piccolo velivolo da turismo costruito da una ditta morava. L’8 ottobre 1971 Larsson e Wickenberg atterrano a Brno. Tutto va bene, fino all’incontro con i nonni di Pavlína. La barriera linguistica è insormontabile: a nulla serve il messaggio di Jiří e Anna. Ai due giovani viene mostrata la porta e viene consegnata una risposta al messaggio che avevano portato: i nonni accusano Jiří e Anna di essere irresponsabili. I due giovani piloti tornano in Svezia a mani vuote.

Poche settimane dopo si decide di fare un altro tentativo, con un espediente più raffinato: Anna Pořízková, che intanto è anche incinta, si spaccia per la moglie di Wickenberg, grazie anche alla grande somiglianza tra le due donne. È il 24 ottobre 1971: il piccolo aereo atterra di nuovo a Brno, ma Anna e i due piloti non raggiungeranno mai Pavlína: vengono infatti arrestati dalla polizia sulla strada per Prostějov.

Il regime cambia le regole del gioco

A questo punto la polizia segreta del regime decide di cambiare le regole del gioco e avvia un’operazione mirata a spezzare l’unione familiare di Jiří e Anna. La mamma di Pavlína viene messa subito in libertà, graziata dal presidente e aiutata finanziariamente dalle autorità locali. Per Larsson e Wickenberg arriva invece la condanna a sei anni di reclusione: ne sconteranno uno, saranno espulsi, e torneranno in Svezia senza più avere contatti con Jiří.

Anche il premier svedese del tempo, Olof Palme, si attiva per aiutare Jiří a riabbracciare la sua famiglia. Nel frattempo, però, al di là della cortina di ferro sono diventate tre le persone da salvare: Pavlína, Anna e il neonato Jáchym. Jiří viene convinto a fare un altro tentativo, il più estremo, per portare in salvo i suoi cari. Una oscura agenzia svizzera dichiara infatti di essere in grado di effettuare “rapimenti” su commissione, utilizzando speciali veicoli con compartimenti “impossibili da trovare per chiunque”. Jiří deve impiegare gli ultimi fondi rimasti per finanziare quest’altra spedizione. È il terzo fiasco: l’8 febbraio 1973 i “compartimenti impossibili da trovare per chiunque” vengono trovati immediatamente dagli agenti della dogana cecoslovacca della stazione di Rozvadov.

I rapporti diplomatici tra Svezia e Cecoslovacchia sono ormai ai minimi storici e anche due partite di hockey programmate nel novembre 1973 a Praga vengono cancellate.

La famiglia riunita si spezza, ma il regime è sconfitto

Saranno gli incontri per la Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, che era iniziata ad Helsinki nel luglio del 1973, a portare al disgelo. I colloqui tra i ministri degli Esteri di Svezia e Cecoslovacchia portano infine al permesso, per Anna Pořízková e i suoi due figli, a lasciare definitivamente il Paese. È il 12 marzo 1974, Pavlína ha quasi nove anni e non vede il padre da sei. Ma finalmente tutta la famiglia è libera, da quest’altra parte della cortina di ferro.

Pavlína Pořízková diventerà una modella di successo e la sua fama raggiungerà ogni Paese del mondo. Questo non sarebbe mai potuto succedere se fosse rimasta rinchiusa nella grande prigione comunista del regime cecoslovacco. Ma il prezzo da pagare fu alla fine piuttosto elevato: l’operazione avviata dalla StB cecoslovacca per spezzare l’unione della famiglia Pořízková si era infatti conclusa in un successo. Troppo lunghi per Anna i tre anni passati lontano dal marito: una volta tornati insieme, non sarebbero più riusciti a ritrovare l’amore e avrebbero divorziato. Una piccola, amara vittoria per un regime abituato a distruggere famiglie fin dalla sua istituzione. Ma al tempo stesso una grande sconfitta per un sistema basato sulla menzogna e sull’inganno, che quindici anni dopo sarebbe definitivamente crollato davanti al desiderio di libertà di quel popolo che pensava di poter soggiogare per sempre.

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