A venticinque anni dalla prima edizione (1998) Ares ha deciso di ristampare La guerra non è perduta di Luciano Garibaldi. Un saggio importante, perché per molti (troppi) anni è stata tramandata la storia di una guerra di liberazione combattuta dai soli partigiani, unici artefici della lotta contro l’occupazione tedesca. Raramente nelle celebrazioni del 25 aprile sono ricordati i militari in servizio che dopo l’8 settembre 1943 decidono di restare fedeli al giuramento di fedeltà al re, e quindi di combattere indossando una divisa del regio esercito, della regia marina o della regia aeronautica, al fianco alle forze alleate che stanno risalendo la penisola, così come gli oltre seicentomila internati in Germania che hanno deciso di non aderire alla Rsi.
Nel marzo 1944 l’Esercito italiano cobelligerante è inquadrato nel Corpo italiano di liberazione come corpo d’armata su due divisioni alle dipendenze del generale Umberto Utili. La prima divisione viene creata ex novo fondendo due brigate di fanteria; la seconda è la 184esima Divisione paracadutisti “Nembo”, di stanza in Sardegna. Le divisioni son strutturate in cinque gruppi di combattimento (Folgore, Friuli, Piceno, Cremona, Legnano, Mantova) con un organico di circa 254mila uomini.
La regia aeronautica, che con il 4° stormo caccia comincia ad operare contro i tedeschi già 24 ore dopo l’armistizio, è riorganizzata nell’Icaf (Italian Co-belligerant Air Force), strutturata nei raggruppamenti caccia, bombardamento e trasporti, idrovolanti. Opera prevalentemente nell’Adriatico, sia con azioni di supporto a Corfù, Cefalonia ed alle divisioni Venezia e Taurinense nei Balcani, sia con missioni di bombardamento.
La regia marina, che dopo l’armistizio si consegna alle basi britanniche a Malta, contribuisce anch’essa alla cobelligeranza con operazioni di scorta alle navi britanniche. Una parte della X Mas, al comando del capitano di vascello Ernesto Forza, inquadrata in una nuova unità denominata Mariassalto che ingloba anche il reparto Np (nuotatori paracadutisti) del reggimento San Marco, effettua infiltrazioni e operazioni di sabotaggio dietro le linee nemiche.
Come ha fatto notare Indro Montanelli, di queste cose i giovani, e anche i non più giovani, ignorano tutto perché nessuno gliele ha mai raccontate. La ristampa di questo volume è una occasione per farlo. La letteratura su questi fatti d’arme è davvero esigua, ma ancora meno conosciuto è il contributo dei 240 ufficiali dell’esercito italiano che prestano servizio nelle file del Iilo’s (Italian Intelligence Liaison Officers) come ufficiali di collegamento italiani con le unità britanniche. Vestono l’uniforme britannica, alla quale sono applicate le stellette, i fregi, le mostrine e i gradi dell’esercito italiano. Si tratta di giovani tra i diciotto ed i trent’anni, in gran parte ufficiali di complemento, che devono avere una caratteristica fondamentale: comprendere ed esprimersi correttamente in inglese. Molti di loro provengono da reparti di cavalleria del regio esercito. Spesso appartenenti a famiglie nobili, sono da sempre orgogliosamente fedeli al re ed alla patria, ed allo stesso tempo altrettanto insofferenti nei confronti del fascismo. Tra di loro anche una donna, Giuliana Cavazza Geddes da Filicaia, l’unica Iilo donna, autorizzata a vestire la divisa britannica con le stellette italiane e i gradi di sottotenente. Il loro comandante è il tenente colonnello di cavalleria Riccardo Esclapon de Villeneuve. Il loro contributo alla guerra di liberazione non è da poco: 218 ufficiali e 22 sottufficiali, 3 caduti 3, 17 feriti, 4 medaglie d’argento al valor militare, 9 medaglie di bronzo, 2 croci al valor militare.
Luciano Garibaldi, giornalista e storico rigoroso, ha scritto questo volume nell’ultimo decennio del 900, anni nei quali era ancora possibile indagare sui recenti fatti bellici in presa diretta, basandosi sia su interviste con i protagonisti, sia sui diari di due dei protagonisti. (…)
A partire dagli anni 60 del Novecento parlare o scrivere del contributo dei militari italiani nella guerra di liberazione è stato considerato qualcosa di inopportuno, che doveva essere dimenticato, per convenienza strumentale di una narrazione politica che dipingeva i partigiani comunisti come unici artefici della lotta di liberazione, senza una memoria condivisa del contributo dei partigiani cattolici, socialisti, liberali, monarchici, e tanto meno dei militari che avevano combattuto nelle unità cobelligeranti. Questa parte della storia d’Italia è stata per molti anni taciuta, forse deliberatamente, ed è sintomatico che i libri di storia delle scuole superiori non facciano menzione di questi fatti.
Nell’era di internet non è raro che giornalisti, politici e leoni da tastiera, veloci nello scrivere ma troppo spesso superficiali nell’analisi, facciano un uso sfacciato e strumentale della storia per fini politici, ritenendo di poter formulare giudizi secondo un’opposizione radicale di vero e falso, bene e male, senza offrire alternative né ammettere sfumature, e ritenendo di essere dalla parte del giusto e del vero. È quello che alcuni storici chiamano “uso pubblico della storia”, cioè l’uso di risultati della ricerca storica per produrre effetti di qualsiasi tipo, allo scopo di dare battaglia sul piano politico, isolandoli dal contesto storico, gonfiando a dismisura l’importanza di alcuni fatti mentre altri fatti contemporanei o collegati sono deliberatamente ignorati.
Luciano Garibaldi non cade mai in questo tipo di tentazione. Ci conduce attraverso la narrazione dell’impiego in servizio degli ufficiali di collegamento italiani nell’8a armata in modo immediato e coinvolgente, riscoprendo un pezzo della nostra storia immeritatamente dimenticata.
Il volume comprende una appendice storica con la postfazione di Massimo de Leonardis, che ricostruisce il contesto storico della cobelligeranza e gli avvenimenti che l’hanno accompagnata, e la prefazione all’edizione originale di Edgardo Sogno, del quale è stata aggiunta una breve biografia. La prefazione di Sogno, scritta nella seconda metà degli anni 80, risente certamente del contesto storico degli anni immediatamente precedenti (1969-1982) caratterizzati dalla eversione armata di ispirazione comunista che aveva portato molti ragazzi, convinti di provocare in questo modo il sollevamento delle masse oppresse, a sparare per uccidere, sfociando in un periodo di violenza politica che ebbe come vittime 1.100 feriti e 350 morti tra carabinieri, poliziotti, dirigenti d’azienda, magistrati, giornalisti, politici, sindacalisti. È evidente che chi in quegli anni non aveva posizioni allineate alla sinistra radicale, in particolare chi aveva alle spalle una esperienza come quella di Edgardo Sogno, ne sarebbe stato certamente influenzato. Pur segnata dagli eventi del tempo nel quale è stata scritta, la prefazione di Sogno fornisce un ulteriore punto di vista sugli avvenimenti narrati da Garibaldi.
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