È prima a Torino, poi a Roma, che il marchese di Gallo scruta da lontano l’arrivo del nuovo re di Napoli, quel Giuseppe Bonaparte ch’egli da tempo ben conosce e cui sottili trame massoniche da ugual tempo lo legavano. Da Roma don Marzio Mastrilli scrive a Giuseppe una lettera in terza persona che è ancor oggi uno dei massimi capolavori della prestidigitazione cortigiana: “Avendo servito fedelmente il suo sovrano [Ferdinando] ed impiegato tutt’i suoi sforzi per renderlo grande e felice e per salvare la corona da ogni sinistro avvenire […e] sarebbe pronto a dare tutto il suo sangue per vederlo ristabilito ne’ suoi domini e nella sua corona; ma poiché a Dio era piaciuto di disporre diversamente, non essendo in poter suo di mutare i decreti del cielo, egli lo ringraziava che in questa gran catastrofe avesse preferita e scelta la M. S., piena di virtù personali, per reggere e formar la felicità del suo paese, perciò [egli] sarebbe venuto in Napoli per prestargli quelli omaggi e quei sentimenti che fussero uniformi a quelli di tutta la sua nazione e di tutti gli ordini dello stato”.
Il 30 giugno 1806 Mastrilli è a Napoli, “onorato di grandi accoglienze dal re Giuseppe che volle dargli tutte le pruove di ricordarsi di essere stato suo antico amico” (Maresca). Due decreti nomineranno presto il marchese di Gallo ministro degli affari esteri e consigliere di stato di Giuseppe Bonaparte, re di Napoli. Mastrilli lo seguirà presto a Bayonne, per assistere alla proclamazione di costui a re di Spagna ed esser dipanatore abilissimo dell’intrico di trattati necessari al passaggio delle corone di Spagna da Napoleone a Giuseppe e di Napoli da questi a Murat. Verrà premiato con doni preziosi, altissime decorazioni, congrue pensioni e fregiato del feudo di Torre Allemanna in Puglia. Vi aggiungerà re Gioacchino nel 1813 il titolo di duca e augurerà fecondissimi natali alle nuove nozze di don Marzio (rimasto vedovo della nipote) con Maria Luigia Colonna di Stigliano.
È uno zenith di cui sarà peraltro impossibile arrestare il tramonto: le disastrose campagne di Napoleone in Russia e in Spagna vedono Mastrilli – lucidamente cosciente dell’assai diminuita stabilità del trono di Napoli – adoperarsi perché Gioacchino faccia transitare la sua politica e il suo regno verso un’entente cordiale con le potenze alleate. La sconfitta di Lipsia, l’irriducibile volontà di Luigi XVIII perché i Borboni vengano ristabiliti in Francia, in Spagna e a Napoli, le tesissime trattative epistolari fra Mastrilli e Bentinck perché l’alleanza fra Murat e l’Austria venga rispettata, hanno per esito finale la dichiarazione di guerra inviata dal Principe di Metternich ai plenipotenziari di Napoli a Vienna. Sarà la fine all’ultimo regno napoleonide ancor vigente. Maresca ben sintetizza la gravità della situazione. “11 maggio 1815. Incalzando il pericolo della corte di Napoli, per modo di dire, ogni ora, non ci fu tempo da perdere per procurare di scongiurare la tempesta che la sovrastava. Fu quindi spedita al principe di Cariati la plenipotenza di trattare la pace coll’Inghilterra, ed indi anche quella di trattarla coll’Austria. […] Ma non fu più luogo a trattative. Già troppo rapidi progressi, disastrosi per l’armata napolitana, aveva fatto quella di Austria […] Sopra tutta la frontiera del regno era essa già penetrata, e giunta che fu a Capua, in un sito vicino a quella piazza chiamato Casalanza, ai 20 di maggio 1815 fu conchiusa un convenzione militare fra il generale napolitano Colletta e il generale austriaco conte di Neipperg, in virtù della quale le truppe austriache dovevano prendere possesso di Napoli e de’ castelli nel giorno 23 dello stesso mese. […] Così terminò nel regno di Napoli il governo della dinastia dei Napoleoni; […] ed il duca di Gallo, cessando per la seconda volta di essere ministro degli affari esteri, rientrò nella vita privata e nella tranquillità domestica. […aspettando] placidamente e con illimitata fiducia il ritorno del suo antico padrone, al quale subito si presentò giustificando la sua necessaria condotta”.
Il 5 giugno 1815 il duca riceve uno scritto assai significativo: “Il principe Diego Pignatelli di Monteleon, nel presentare il suoi omaggi a S.E. il sig. duca di Gallo, ha l’onore di prevenirlo che S.A.R. il principe Leopoldo, essendosi fatto un piacere di parlare a S.M. il re [suo padre] del desiderio che l’E.S. aveva di essere presentato, la M.S. ha risposto che l’avrebbe sempre veduto con estrema soddisfazione. Che perciò il signor duca potrà andare nel corso della giornata a Baia sul vascello inglese, a bordo del quale troverà S.M. il Re disposto a riceverlo”. Non molti mesi dopo Mastrilli verrà confermato a consigliere di stato, e farà parte d’alcune prestigiose commissioni: quella per la ricostruzione dell’incendiato San Carlo e quella per la costruzione della Chiesa di San Francesco di Paola. Dovrà anche vendere “argenterie e gioie sue e quelle della duchessa ed altre preziose suppellettili, onde poter” riacquisire per 62.000 ducati i beni caduti in beneficio dello Stato perché “donati sotto il governo del decennio”. Fatto memore dell’antica promessa d’una terra in Ungheria, l’Imperatore d’Austria, in visita a Napoli, rimetterà al duca un prezioso scrigno gravido di ben centomila fiorini.
I sommovimenti talora già carbonari, talaltra almeno costituzionalisti, del 1820, riporteranno il duca di Gallo alla ribalta: come alto consulente sulle problematiche in atto, come antagonista di Luigi de’ Medici, ancora come ambasciatore a Vienna e nuovamente come ministro degli esteri. Tuttavia, nel viaggio che il re e il duca separatamente compiono alla volta del Congresso di Lubiana, nel maggio del 1821, Ferdinando ordina improvvisamente a Mastrilli di fermarsi a Gorizia; poi lo chiama a raggiungerlo. Forse ha saputo d’incontri troppo ravvicinati del ministro con certi liberali lucchesi e in specie con il conte Giuseppe Binda (una delle più celebri spie dell’entrante secolo); forse ha risolto definitivamente di chiedere quell’intervento austriaco nel Regno di Napoli cui sapeva esser il duca contrario. Il 23 marzo 1821 un gelido biglietto del marchese di Circello comunica a don Marzio l’esonero dalla carica di ministro degli esteri. Due giorni dopo questi gli risponderà con qualche alterigia: “Accuso il biglietto di V.E. in data dei 23 del corrente, che mi fa conoscere la reale disposizione, colla quale Sua Maestà il re nostro signore si è degnata esonerarmi dal ministero degli affari esteri di cui con decreto del 10 dicembre s’era piaciuto incaricarmi interinamente. Sin dal 27 febbraio io avevo umiliato al principe reggente una rispettosa supplica per ottenere la dimissione da tale incarico, che forse le circostanze politiche non permisero a S.A.R. di concedermi in quel momento. Mi fo quindi un dovere di pregare l’E.V. di voler rassegnare ai piedi di S.M. il re i sentimenti della mia rispettosissima ed inalterabile ubbidienza, assieme ai voti fervidissimi che non cesserò mai di formare per la gloria e prosperità della sua augusta persona e della sua reale famiglia”. Ossia, fuor d’ogni forbitezza epistolare, “sono io che me ne vado, non siete voi a mettermi alla porta”.
Rimarrà membro decano del Consiglio di Stato, dei decorati dell’Ordine di San Gennaro e di quello del Toson d’Oro. Morirà a Napoli il 4 febbraio 1833 nel suo palazzo di Strada S. Maria in Portico: in verità tutt’altro che dimenticato.
(2 – fine)
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