È il mattino del 10 settembre e subito sui muri cittadini appare un proclama di Superti che annuncia l’avvenuta costituzione della Giunta di governo. I primi gruppi partigiani entrano in città con la popolazione che è ancora all’oscuro di tutto, anche perché la partenza della colonna di camion verso sud è avvenuta di prima mattina ed in relativa discrezione.
Esplode – dicono le cronache – una grande gioia collettiva, ma nessun grave episodio di violenza né di rappresaglia contro i fascisti locali viene a turbare la giornata.
Nei giorni successivi a Domodossola e nella zona vennero peraltro arrestate circa 250 persone (tra le quali ben 175 donne) rinchiuse nella colonia estiva di Druogno, in Valle Vigezzo, ma nessuno torse loro un capello come – va detto – pure successe quando a metà ottobre tornarono a Domodossola i fascisti, che non operarono rappresaglie sulla popolazione locale.
È il fronte politico che invece scalpita: i comunisti negano che una giunta “stabilita e nominata dall’alto” possa interpretare la volontà popolare, tanto che il comando del Clnai da Milano fa sapere il 12 settembre di non riconoscere la Giunta. Sono dichiarazioni che in Ossola non hanno comunque conseguenze pratiche e si inizia subito a deliberare: cambiamento nell’intitolazione delle strade, riforma scolastica, messa al bando di libri fascisti, sovrastampa dei francobolli, scioglimento dei Carabinieri e della Guardia di finanza e costituzione al loro posto di una “Guardia nazionale a reclutamento volontario”. In campo economico viene emessa una carta moneta che in cittadini devono accettare in cambio delle requisizioni, un prestito di “buoni del Tesoro” al 5% con scadenza al 1° gennaio 1948, un decreto per fare versare anticipi sulle future imposizioni tributarie.
In campo politico – ed anche questa decisione è molto criticata dal Clnai – si sostiene che la Repubblica ossolana ha il diritto di nominare propri rappresentanti all’estero e di fatto ciò avvia una stretta collaborazione con la Confederazione Elvetica.
Ma tutto ciò esula da questa ricerca, che vuole concentrarsi sui fatti precedenti all’azione di governo ed affrontare un punto fondamentale: quale fu la strategia della decisione di dar vita ad un governo autonomo? Fu una decisione programmata o conseguente ai fatti che abbiamo cercato di descrivere? Come si inserisce nella storia della guerra di liberazione?
Cominciamo dall’ultimo aspetto. Non c’è dubbio che dal punto di vista militare le conseguenze furono nulle, ma questo soprattutto perché l’Ossola non aveva importanza strategica e gli Alleati – salvo l’invio di pochi “consiglieri” e probabilmente alcune spie infiltrate sul territorio – non dettero quell’appoggio logistico necessario per proseguire nell’esperimento. Furono preparati ad esempio in pochi giorni ben due campi di aviazione – uno a Masera, l’altro in Val Vigezzo – ma nessun aereo venne mai ad atterrare, né furono effettuati lanci con paracadute di armi o vettovagliamenti.
Alcuni esponenti degli Alleati giunsero dalla Svizzera, ma vi fecero prontamente ritorno ai primi di ottobre quando si capì che ormai la Repubblica dell’Ossola – che visse per 33 giorni – aveva i tempi contati.
Secondo la concezione dei gruppi partigiani comunisti (anche sull’esperienza di un analogo tentativo avvenuto in Valsesia alcuni mesi prima) non aveva molto senso questa attività di autogoverno, limitandosi l’obiettivo delle loro puntate al piano a rifornirsi di armi e di mezzi, ad eliminare avversari o far colpo sul morale e le aspettative della popolazione civile.
Il punto fondamentale è la potenziale continuità di questo episodio “repubblicano”: ed è questo un aspetto ben valutato dai gruppi comunisti. La Repubblica Ossolana poteva continuare finché fosse stata tollerata dal nemico, ma non aveva risorse proprie per difendersi né – soprattutto – poteva permettersi di sfamare una popolazione che non possedeva un territorio adatto a produrre alimentari in modo sufficiente.
Da questo punto di vista gli aiuti svizzeri “ufficiali” (a parte alcuni interventi della Croce Rossa) furono sporadici e fatti pagare letteralmente a peso d’oro, segno che oltre le montagne si guardava con una certa diffidenza all’Ossola, dalla quale giungevano sempre più numerosi sfollati e rifugiati, quindi nuove bocche da sfamare in territorio elvetico.
Ma diverse erano anche le considerazioni politiche: appare evidente che solo pochi giorni prima di inizio settembre nessuno aveva minimamente programmato l’azione e le sue conseguenze, tanto che il governo ossolano – pur poi ammantatosi di iniziative di alto profilo ideale, ma ben poco realizzabili – fosse per molti di fatto una continuità amministrativa, volta ad evitare soprattutto rappresaglie, violenze e turbamenti all’ordine pubblico.
Pochi giorni dopo il 10 settembre la Giunta provvisoria si autoproclamò “Governo”, allargando da 7 a 14 i propri componenti e pose mano a moltissimi provvedimenti legislativi.
La battaglia di Gravellona
Ma la data del 10 settembre va ricordata anche per un altro fatto, diretta conseguenza dell’allontanarsi da Domodossola – indisturbata e scortata dai partigiani – dell’autocolonna dei fascisti e loro famigliari. Giunti infatti a Mergozzo, ovvero allo sbocco della Valdossola, si ode un gran clamore di spari ed il via ad una battaglia.
Cos’era successo? Ignari di quanto stava avvenendo più a nord, i partigiani di Moscatelli avevano scatenato proprio quel giorno un’offensiva su Gravellona Toce, importante nodo stradale a tre chilometri di distanza. Mentre in un primo tempo i partigiani sembrano in grado di sopraffare il locale presidio fascista, ecco che alle loro spalle arriva la colonna da Domodossola che può prendere di infilata i partigiani, costringendoli ad arretrare e riguadagnare la montagna lasciando sul terreno ben 33 morti. Era il 10 settembre 1944: la Repubblica dell’Ossola nacque quel giorno e sarebbe vissuta fino al 13 ottobre, quando l’ultimo gruppo partigiano della Val Formazza, attraverso Passo San Giacomo, riparò in Svizzera.
(5 – fine)
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