L’autunno del 1941 portò nuove sciagure e nuove cattive notizie dai diversi fronti. Nei Balcani era prevedibile che la guerriglia sarebbe passata al contrattacco nella primavera del 1942; in Russia i tedeschi erano arrivati alle porte di Mosca, ma il fango prima e il gelo poi, oltre all’incrollabile resistenza russa, mettevano in forse la vittoria finale della Wehrmacht; in Italia le città del meridione venivano ripetutamente bombardate dall’aviazione britannica con commenti del bollettino di guerra che, testualmente, così suonano in data 8 novembre: “una prolungata incursione su Brindisi con lancio di alcune centinaia di bombe … Gravi danni all’abitato. Fra le macerie delle case demolite sono stati identificati e raccolti 40 morti e 80 feriti. Contegno della popolazione, calmo”. (sic!)
Il 30 novembre si arrendeva anche l’ultimo caposaldo italiano in Africa orientale italiana dopo aver esaurito i viveri. Notevole, per incomprensione della realtà e disprezzo nei confronti dei nostri soldati, il commento di Galeazzo Ciano: “il Duce era molto contrariato dalla scarsità delle perdite in Africa orientale. I caduti di Gondar, a novembre, sono 67; i prigionieri 10.000. Non bisogna riflettere a lungo per capire cosa queste cifre vogliono dire”. E qui si poteva osservare che il generale Guglielmo Nasi con italiani e ascari aveva resistito per ben sei mesi, completamente isolato e senza possibilità di aiuti con 4mila morti e 8mila feriti. Ironia della sorte, per i fascisti della Repubblica Sociale (nonché quelli attuali) Culquaber e Gondar furono dei miti come le Termopili e con ragione, si potrebbe dire. Peccato che il Duce disprezzasse quei soldati.
Il peggio doveva arrivare nel Mediterraneo sulla rotta di Malta. La nostra flotta mercantile stava andando a picco e, con essa, il 18% dei rifornimenti alla Libia; eppure per Churchill non bastava. I collegamenti dovevano essere tagliati totalmente in previsione della grande offensiva britannica prevista per quel mese. Così una flottiglia di due incrociatori leggeri e due cacciatorpediniere, denominata “Forza k” si stabilì a Malta e iniziò a fare strage dei nostri convogli. Nella notte del 9 novembre gli inglesi attaccarono un convoglio composto da sette mercantili e scortato da sei cacciatorperdiniere. Grazie al radar e a un addestramento superiore gli inglesi eliminarono la scorta e distrussero tutti i mercantili. Il dato sconcertante era la presenza di una forza navale italiana, a 4mila metri di distanza, composta da due incrociatori pesanti e due caccia e comandata dall’ammiraglio Brivonesi. Questi fece compiere alla squadra italiana una serie di manovre per portarsi in posizione favorevole al combattimento, in realtà allontanandosi dallo scontro, senza serrare le distanze nonostante la velocità di cui erano dotate le navi italiane. Fatto sta che la Forza k rientrò a Malta con tutta tranquillità. Sulla vicenda si rimanda all’ottimo volume di Giorgio Giorgerini La guerra italiana sul mare nel quale l’autore, menzionando sia l’assoluzione di Brivonesi davanti alla Corte marziale dove era stato portato, sia l’assoluzione, nel 1954, dello storico Antonino Trizzino che aveva ferocemente criticato il comportamento dell’ammiraglio.
Questo e altri disastri navali furono prodromici all’offensiva britannica in Africa settentrionale (nome in codice “Crusader”) che scattò il 18 novembre 1941 e il cui obbiettivo era il totale annientamento delle forze italo-tedesche. Il piano britannico era, come nel 1940, un attacco dall’interno verso la costa, anche perché di fronte alla rinomata 7a divisione corazzata c’erano solo gli italiani del Corpo d’armata di manovra (Cam) comandato dal generale Gastone Gambara. Il generale inglese Gott pensava che, una volta eliminati gli italiani senza troppa fatica, la 7a divisione avrebbe preso alle spalle l’Afrika Korps di Rommel tagliando le linee di collegamento.
Descrivere le battaglie di Bir El Gobi e Sidi Rezegh comporterebbe troppo spazio e, per approfondimenti, si consiglia la lettura dell’eccellente Le grandi vittorie dell’esercito italiano di Gianluca Bonci e Gastone Breccia. Basti dire che gli inglesi adoperarono una tattica antiquata quanto presuntuosa, con carri e fanteria in poca o nulla cooperazione tra loro mentre gli italiani, addestrati dai tedeschi, resistettero ovunque pur con mezzi inferiori. I cannoni da 102 seminarono la distruzione tra i carri britannici; i nostri piccoli carri M13, pur con notevoli perdite, inflissero una durissima lezione agli inglesi che persero la metà dei carri impiegati. I bersaglieri dell’8° reggimento, in trincee provvisorie e su terreno piatto si dimostrarono un osso troppo duro da mordere. La battaglia degenerò in un caos totale e gli inglesi subirono le perdite più rilevanti, ma godevano di una possibilità di rinforzi illimitata.
In quella battaglia non vi fu solo il comportamento dell’“Ariete” che iniziava a entrare nella leggenda. Anche le altre divisioni di fanteria si comportarono in modo splendido.
Il 24 novembre una nuova sortita della guarnigione di Tobruk attaccava le posizioni della divisione “Pavia” per travolgerle e unirsi alle forze britanniche appostate a Sidi Rezegh. Il capitano Sergio Falletti, comandante di un caposaldo avanzato, aveva già combattuto per quattro giorni. Prese il posto del mitragliere rimasto ucciso e continuò a far fuoco fino all’ultima cartuccia, rimanendo ferito. La posizione stava per essere travolta. Falletti si rizzò in piedi, fuori dal trinceramento e vuotò il caricatore della pistola sul nemico avanzante e veniva colpito mortalmente. La radio, però, funzionava ancora e Falletti trasmise un ultimo messaggio, con cui chiedeva di far fuoco sulla propria posizione.
Un destino simile a quello del tenente Gildo Cuneo, del 39° reggimento, facente parte della divisione “Bologna”. Anch’egli, dopo quattro giorni di battaglia, dopo aver esaurito le munizioni e con il reparto quasi sterminato, rifiutava di arrendersi e veniva ucciso a baionettate dagli inglesi che travolgevano la sua postazione. Il 9° reggimento bersaglieri della divisione motorizzata “Trieste” veniva coinvolto nei combattimenti a Sidi Rezegh il 26 novembre. Il bersagliere Settimio Di Battista del 9° attaccava due carri nemici con bottiglie incendiarie, ne distruggeva uno ma restava gravemente ferito. Si rialzava e attaccava anche il secondo carro dandolo alle fiamme ma veniva schiacciato dai cingoli di un terzo carro. Lo stesso giorno cadeva anche il tenente Giuseppe Regazzo, sempre del 9°, mentre cercava di difendere un settore dello schieramento da una potente attacco di colonna motocorazzata. Ferito a morte, riusciva a respingere l’assalto e consegnava al sergente la pistola e il binocolo sussurrando “Siamo bersaglieri, resistete!”
Per la prima volta gli italiani avevano battuto gli inglesi quasi ovunque e il piano del generale britannico Auchinleck era quasi fallito. L’esito della grande battaglia si sarebbe avuto solo a dicembre 1941: il mese che avrebbe cambiato la storia del mondo.
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