Con “O tutti o nessuno!” Storia e ritratti dei 123 sacerdoti e religiosi morti in Emilia-Romagna nell’ultima guerra (Ares, 2021) Alberto Leoni riapre pagine dolorose, e a volte ancora misteriose, della storia italiana. Tutto nasce dall’ostinazione di un sacerdote, don Alberto Benedettini, morto nel 2015, che tra il 1989 e il 1994, con pochi mezzi, ma con molto amore per la verità, iniziò un lavoro di ricerca appassionata. Pieve di Rivoschio, frazione di Sarsina, è un luogo simbolo della resistenza in Romagna: qui c’è un Parco della Resistenza, ma poco lontano c’è anche la chiesa di S. Anastasia sulle cui pareti e lungo l’abside vi sono i 123 pannelli con foto di sacerdoti o di lapidi, frutto della ricerca di don Benedettini. Alla sua morte egli chiese a un amico, Pierino Petrini, di badare alla chiesa. L’amico lo fece, anche se nessuno si interessava a queste foto, anche se si parlava di abbattere quella chiesa. Quest’uomo continuò a resistere finché non incontrò una signora che aveva sognato don Elia Comini, mitragliato a Pioppe di Salvaro, nell’eccidio di Monte Sole, comunemente detto di Marzabotto. Ma la signora non riusciva a convincere nessuno a pubblicare un libro sul tema: quei centoventitré volti non interessavano.



Poi, un giorno di aprile del 2020, un anziano signore fece una conferenza sulla Resistenza. La fece via internet, come da necessità a causa della emergenza Covid. E fu allora che seppe da un’amica che Silvana aveva qualcosa di interessante da raccontare. La cosa lo colpì, perché il nonno dell’anziano conferenziere era stato fatto prigioniero, forse proprio a Pioppe di Salvaro e, forse, aveva conosciuto o anche soltanto visto don Elia Comini. Ma ciò che lo colpì maggiormente fu la fedeltà di Pierino Petrini all’impegno preso con don Alberto. Ancora oggi, infatti, quest’uomo, da solo, sta restaurando la chiesa un pezzetto per volta, senza fermarsi.



Così è nato questo libro emozionante, che condensa l’impegno di molti anni, la tenacia di persone cui Alberto Leoni rende omaggio, e insieme la memoria di una storia semisconosciuta, che, dice l’autore, “induce al desiderio di ‘fare Resistenza’. Resistenza a che cosa? Al male, alla menzogna, al nulla. Di fronte al nulla che tutto sembra travolgere”.

Il lavoro di Alberto Leoni cataloga i sacerdoti uccisi in quattro grandi gruppi, il primo dei quali (cui è dedicato il capitolo 1) è quella dei cappellani militari, qui in numero di undici. Fra loro don Ettore Barucci, della diocesi di Sarsina, tenente cappellano dell’ospedale da campo della 101ª divisione motorizzata “Trieste”. La divisione aveva partecipato ai combattimenti sulle Alpi contro la Francia nel giugno 1940 e nell’agosto del 1941 era stata trasferita in Libia, raggiungendo la linea del fronte in ottobre. Il destino di don Ettore Barucci si compì all’inizio del ciclo operativo della divisione. La motivazione della medaglia di bronzo al valor militare, che gli venne conferita nel 1956, recita: Sorpreso da azione aerea di bombardamento mentre dall’altare impartiva l’estrema benedizione a due Caduti, rifiutava esplicitamente di cercare riparo. Vestito dei Sacri paramenti cadeva al suo posto, sull’Altare. Bir Hacheim (A.S.), 22 novembre 1941.



Il capitolo 2 ricorda “Il clero sotto i bombardamenti”: ovvero quei sacerdoti che hanno vissuto con i loro parrocchiani tutta l’angoscia e la rovina della guerra. Il numero dei morti nel clero dell’Emilia-Romagna per cause di guerra (bombardamenti aerei, cannoneggiamenti e mine) è alto: 44 su 265 per tutta l’Italia, secondo il Martirologio del clero italiano. Il primo nome tra i caduti per amore del proprio gregge è frate Eugenio Costantini, laico professo dei minimi, falciato da una scheggia durante il bombardamento aereo del 13 settembre 1943 a Sant’Arcangelo di Romagna.

Il Capitolo 3 – “Tra le fauci della bestia nazifascista” – ci presenta, fra gli altri, il ritratto di don Pasquino Borghi: egli, già missionario in Sudan, richiamato in Italia nel 1937 per motivi di salute, divenne cappellano di Canolo di Correggio, dove si occupò della gioventù dell’Azione cattolica. La sua condanna a morte venne decisa non solo senza informare il vescovo della sorte del prete, in spregio quindi ai Patti Lateranensi, ma senza nemmeno uno straccio di processo.

Il Capitolo 5, “Martyres in odium fidei”, invece, ricostruisce la storia e la morte, per quanto possibile, di decine di sacerdoti in tutta Italia, in particolare in Emilia-Romagna. Questi delitti, dei quali spesso gli autori non sono mai stati individuati, sono ancora oggi taciuti, ignorati. Ma questo non è da addebitare ai rari ricercatori di verità storiche, quanto al silenzio che ha circondato e come presidiato accuratamente, quasi militarmente, queste storie e questi morti.

È un mistero, per esempio, l’assassinio di don Aldemiro Corsi, sessantaduenne parroco di Grassano, vicino a Reggio-Emilia, e della sua perpetua, avvenuto nella notte del 21 settembre 1944 e perpetrato a colpi di pistola e di mitra. In tavola c’erano ancora tre bicchieri di vino, pane e formaggio. La ricostruzione più logica è che una persona ben conosciuta da don Aldemiro, che non apriva a nessuno di notte, abbia fatto visita al sacerdote con altri due complici. Poi, dopo essersi accomodati, i tre hanno spianato le armi e crivellato di colpi il parroco e la domestica. Il movente resterà sconosciuto.

La storia di questi sacerdoti insegna che certi gesti, certe prese di posizione, non si improvvisano, e lo straordinario delle loro vite nasce dall’ordinario della loro quotidianità. Ritorna sempre alla memoria la profezia di de Tocqueville: “Se cerco di immaginarmi il nuovo aspetto che il dispotismo potrà avere nel mondo, vedo una folla innumerevole di uomini uguali, intenti solo a procurarsi piaceri piccoli e volgari, con i quali soddisfare i loro desideri”.

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