“Diamo un’occhiata al mondo così com’è. Guerre ovunque. Stiamo vivendo la terza guerra mondiale a pezzi”. Lo diceva Papa Francesco già anni fa, unico al mondo a denunciare una realtà di fatto: da tempo l’intero pianeta è sconvolto da guerre, spesso per procura, e genocidi. La storia ha dato rapidamente ragione al Pontefice: quei conflitti che andavano esplodendo a macchia d’olio erano parte di un più ampio confronto egemonico tra blocchi. Adesso che la terza guerra mondiale viene sbandierata da tutti alla luce del conflitto in Ucraina, con risvolti anche terrorizzanti, come lo spettro di un conflitto nucleare, le richieste di Bergoglio per la pace sono più inascoltate che mai. Ad una recente udienza generale del mercoledì il suo grido è sembrato quasi sconsolato: “Tacciano le armi, affinché quelli che hanno il potere di fermare la guerra, sentano il grido di pace dell’intera umanità”.
Ma chi ha il potere di fermare la guerra davvero? È inevitabile, in questi momenti, tornare con la memoria a un momento della storia dell’umanità in cui il mondo si trovava anche allora davanti all’abisso di una terza guerra mondiale nucleare. Erano i giorni della cosiddetta crisi dei missili di Cuba, quando domenica 14 ottobre 1962 il presidente americano Kennedy fu informato dalla Cia della presenza a Cuba di missili russi a medio raggio, con relativi sistemi di lancio. Dopo la presa del potere da parte di Fidel Castro, il Paese caraibico aveva chiesto ai sovietici di proteggere l’isola militarmente. Gli Usa avevano tentato di abbattere il governo di Castro attraverso un tentativo insurrezionale organizzato da esuli anticomunisti addestrati in Florida. L’operazione si concluse tragicamente con il fallito sbarco alla Baia dei Porci. In quei giorni, 25 navi sovietiche con a bordo testate nucleari si stavano avvicinando a Cuba.
Kennedy ordinò il blocco navale di Cuba, chiedendo la rimozione dei missili; in caso contrario avrebbe attaccato l’isola, provocando di fatto la reazione sovietica, e quindi lo scoppio di una guerra nucleare.
Tutti sanno dell’intervento di Papa Giovanni XXIII con un radiomessaggio drammatico trasmesso dalla Radio Vaticana il 25 ottobre: “Alla Chiesa sta a cuore più d’ogni altra cosa la pace e la fraternità tra gli uomini; ed essa opera senza stancarsi mai, a consolidare questi beni. A questo proposito, abbiamo ricordato i gravi doveri di coloro che portano la responsabilità del potere […] Oggi noi rinnoviamo questo appello accorato e supplichiamo i Capi di Stato di non restare insensibili a questo grido dell’umanità. Facciano tutto ciò che è in loro potere per salvare la pace: così eviteranno al mondo gli orrori di una guerra, di cui nessuno può prevedere le spaventevoli conseguenze. Continuino a trattare. Sì, questa disposizione leale e aperta ha grande valore di testimonianza per la coscienza di ciascuno e in faccia alla storia. Promuovere, favorire, accettare trattative, ad ogni livello e in ogni tempo, è norma di saggezza e prudenza, che attira le benedizioni del Cielo e della terra”. Quel messaggio, secondo la storiografia, avrebbe fatto cambiare idea a russi e americani.
Ma perché allora si evitò la guerra e oggi le medesime parole di Papa Francesco sono ignorate?
È cambiata la storia e sono cambiati i suoi protagonisti. Allora i capi di Stato avevano ancora a cuore il bene dell’umanità. Solo nel 2000, con l’apertura degli ex archivi sovietici, si venne a sapere che il Papa aveva in precedenza inviato il suo messaggio agli ambasciatori russo e americano. I leader delle due superpotenze ne furono estremamente colpiti. Kennedy, cattolico fervente (nonostante una vita non del tutto integerrima dal punto di vista morale, ma spesso sono propri i peccatori quelli che testimoniano la fede) giorni prima aveva personalmente chiesto l’intervento di Papa Giovanni XXIII che ne restò molto colpito. Altri tempi, dicevamo: Joe Biden è altrettanto cattolico, ma si guarda bene dal chiedere l’intervento del Papa o quantomeno ad ascoltarlo.
Dall’altra parte un ex contadino, tra l’altro nativo dell’Ucraina (coincidenze?), Nikita Krusciov, uomo di popolo. Era stato il primo leader sovietico, nel 1959, a visitare gli Stati Uniti, e fu l’uomo che denunciò pubblicamente i crimini di Stalin dando vita alla “destalinizzazione” dell’Unione Sovietica. Tutto l’opposto di un freddo burocrate ex agente del Kgb come Vladimir Putin. Entrambi avevano capito di essere nelle mani di un potere più forte del loro, quello dell’apparato militare che voleva la guerra a tutti i costi. I capi di stato maggiore americani infatti chiedevano di bombardare e invadere Cuba.
Durante la crisi dei missili, Kennedy in qualche modo si convertì alla pace. Quando si giunse al punto di rottura che le sue stesse politiche contro Fidel Castro avevano contribuito a fare precipitare, cercò una via d’uscita, che i suoi generali giudicarono assolutamente imperdonabile: un anno dopo, a Dallas, le sue scelte gli sarebbero costate la vita.
Il presidente americano non soltanto respinse le loro pressioni per attaccare Cuba e l’Unione Sovietica: peggio ancora, si rivolse al nemico in cerca di aiuto. Lo si poteva considerare un atto di tradimento. Krusciov invece lo vide come un segno di speranza. Quando ricevette l’appello di Kennedy a Mosca, si rivolse al suo ministro degli Esteri, Andrei Gromyko, dicendo: “Dobbiamo far sapere a Kennedy che vogliamo aiutarlo”. Krusciov esitò all’idea di aiutare il nemico, ma ripeté: “Sì, aiutiamolo. Ora abbiamo una causa comune, salvare il mondo da coloro che ci stanno spingendo verso la guerra”.
Ad un mese dal suo intervento alla radio, Giovanni XXIII scrisse nel suo diario: “Ricevuto il polacco Ierzy Zawieyski confidente del Card. Wyszynski, e bene accetto al Sigr. Gomulka il quale lo incaricò di portare il suo saluto al Papa, e a dirgli che la liquidazione del terribile affare di Cuba egli la ritiene dovuta allo stesso Pontefice”.
Il ruolo della Santa Sede è stato ricostruito dal russo Anatoly Krasikov, la cui testimonianza è ricordata nella biografia di Giovanni XXIII scritta da Marco Roncalli. Il passo compiuto dal papa fu ignorato dalla storiografia fino all’apertura degli archivi sovietici avvenuta nel 2000. Ha ricordato a proposito Krasikov: “Certo resta curioso il fatto che negli Stati ‘cattolici’ non si riesca a trovare traccia di una reazione ufficiale positiva, all’appello papale alla pace, mentre l’ateo Krusciov non ebbe il più piccolo momento di esitazione per ringraziare il papa e per sottolineare il suo ruolo primario per la risoluzione di questa crisi che aveva portato il mondo sull’orlo dell’abisso”.
Altri tempi, anche se gli Stati “cattolici” continuano a ignorare le parole del Papa. Chi le ascolterà?
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