Il 5 maggio è una data particolare. Le reminiscenze scolastiche ci dicono che è il giorno della morte di Napoleone, nel 1821, nella sperduta isola atlantica di Sant’Elena dove è stato esiliato (ce lo ricorda anche la celebre ode manzoniana dedicata a Bonaparte, intitolata proprio Il 5 maggio). Ma ė anche il giorno, tre anni prima, nel 1818, della nascita a Treviri, in Renania, del filosofo tedesco Karl Marx, e 39 anni dopo, nel 1860, della partenza da Quarto (Genova) della spedizione dei Mille, guidata da Giuseppe Garibaldi. Avvenimenti che fanno parte a pieno titolo della storia.
Al confronto, l’udienza privata concessa il 5 maggio 1961 da Papa Giovanni XXIII alla giovane sovrana inglese Elisabetta II (allora 35enne, sul trono dal 1952) sembra un episodio minore. In realtà è l’incontro ravvicinato tra un futuro santo e una regina che siederà sul trono ancora a lungo, per più di 61 anni, “oltrepassando” il XX secolo per diventare il monarca britannico più longevo. Un “a tu per tu” inconsueto, per nulla formale, per certi aspetti davvero sorprendente.
Nella vita di Elisabetta II, che è stata anche a capo della Chiesa d’Inghilterra (capo istituzionale, non spirituale, carica che spetta all’arcivescovo di Canterbury) si sono succeduti ben otto papi, da Pio XI a Francesco. Ne ha incontrati cinque – un autentico record – compreso Pio XII, da cui è stata ricevuta nel 1951, quando era ancora principessa del Galles, prima di salire al trono l’anno dopo succedendo al padre Giorgio VI.
Ma quasi certamente l’incontro più commovente, che l’ha segnata di più, è stato proprio quello con Giovanni XXIII, per il suo carattere confidenziale, intimo, in cui Papa Roncalli la tratta innanzitutto come una madre, non come una potente della terra. Il pontefice accoglie la regina e il consorte principe Filippo, duca di Edimburgo, che l’accompagna, con espressioni di circostanza. Esordisce infatti cosi: “La sua presenza in Vaticano corona nel modo più felice la serie di dimostrazioni di amicizia che hanno segnato le relazioni tra Regno Unito e Santa Sede”. Ma ben presto i toni cambiano e si esce dal rigido protocollo previsto.
Lo straordinario appuntamento era stato preparato con cura sin dal mattino. Una ricostruzione fedele non si trova nelle biografie ufficiali ma in un libretto scritto da chi era presente, il segretario di Roncalli fin dai tempi in cui era Patriarca di Venezia monsignor Loris Capovilla, intitolato Papa Giovanni XXIII gran sacerdote: come lo ricordo. Scrive Capovilla: “Papa Roncalli mi confida: ‘Farò così. Introdotti la Sovrana e il Principe, ritiratasi la corte, suonerò il campanello. Tu entrerai. Passeremo dalla sala del trono alla biblioteca privata”. E così avvenne. E in questa fase più discreta e personale il figlio di un mezzadro, diventato il Vicario di Cristo in terra, racconta alla coppia reale un aneddoto della sua infanzia: “Quand’ero bambino, nella mia casa contadina, sentivo i miei vecchi nominare talvolta la regina Vittoria, imperatrice delle Indie. Ci pensavo stamattina. Il povero ragazzo di allora, collocato dalla Provvidenza a questo posto di responsabilità, si allieta di salutare la diretta discendente di quella Sovrana…”.
È a questo punto che il Papa, pur non parlando alla perfezione la lingua inglese, sorprende piacevolmente la giovane regina chiedendole notizie dei suoi figli. “Maestà, so i nomi dei vostri figlioli, ma amerei risentirli da voi. Sulle labbra di una mamma essi acquistano risonanza di inesprimibile dolcezza”. Completamente liberata dall’imbarazzo protocollare, la sovrana mormora: “Anna, Carlo, Andrea”. Anna aveva all’epoca 10 anni e già dimostrava il suo talento equestre, Carlo il futuro re 12, l’oggi tanto chiacchierato Andrea poco più di un anno. Il quartogenito Edoardo nascerà solo tre anni dopo, nel 1964. Immediata e spontanea la reazione di Roncalli: “Che bei nomi! Anna significa grazia. Permettete che ve lo confidi, Maestà, la mia mamma si chiamava così”. Poi sottolinea che Carlo è il nome del suo santo preferito, Carlo Borromeo, che gli è “tanto caro”. Infine Andrea, il più piccolo, a cui Giovanni XXIII augura che “diventi motivo di particolare consolazione per mamma e papà. A lui, con gioia, una carezza”.
In quella prima visita a Roma da regina, Elisabetta II incontrò anche il presidente della Repubblica Giovanni Gronchi e si recò al Colosseo per rendere omaggio all’Altare della Patria, accompagnata da Giulio Andreotti, allora ministro della Difesa. L’incontro della regina Elisabetta con Giovanni XXIII, aldilà del contesto semplice e dei modi colloquiali, ebbe un alto valore storico perché fu la prima visita ufficiale di una sovrana inglese a un Pontefice romano dopo l’Atto di Supremazia del 1534, una legge del Parlamento inglese che stabiliva che il re Enrico VIII fosse proclamato capo supremo della Chiesa d’Inghilterra, assumendo di fatto tutti i poteri giuridici del Papa. Quella visita in Vaticano della regina era stata preceduta, il 2 dicembre 1960, dal primo incontro tra un Papa di Roma e l’arcivescovo di Canterbury dopo la separazione. “Santità, sono quattro secoli che non ci vediamo”, disse a Giovanni XXIII in quell’occasione il dottor Geoffrey Francis Fisher, primate della Comunione anglicana.
La regina Elisabetta è stata “un esempio di devozione al dovere”, di “ferma testimonianza di fede in Gesù Cristo e di ferma speranza nelle sue promesse”. Così ha scritto Papa Francesco nel telegramna di cordoglio inviato al nuovo re Carlo III, il ragazzino di un tempo che piaceva al “Papa buono” perché portava il nome di san Carlo Borromeo.
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