Conviene prepararsi al peggio. Da questo settembre fino al maggio 2025 un anniversario della seconda guerra mondiale seguirà all’altro con ogni polemica annessa. Potrebbe, tuttavia, essere l’occasione per scrollarsi di dosso due vulgate, egualmente micidiali per la storia italiana: quella comunista o genericamente di sinistra, secondo la quale i partigiani hanno liberato l’Italia e sconfitto il nazismo (come se i partigiani fossero dei supereroi a livello di super saiyan muniti di “onda partigiana energetica”) e quella post fascista secondo la quale, citando il titolo di un articolo di Marcello Veneziani, “l’8 settembre morì l’Italia sovrana e lasciò il posto alla patria di Nessuno” (La Verità, 8 settembre 2022).
È doloroso vedere in intellettuali di valore come Veneziani, così come in amici e conoscenti, lo stesso pacato disprezzo nei confronti dell’esperienza resistenziale. Forse il punto è che, come saggiamente cantava Francesco De Gregori, nipote di un ufficiale decorato di medaglia d’oro e trucidato dai comunisti a Porzûs, “la Storia siamo noi padri e figli, siamo noi ‘Bella ciao’ che partiamo, la Storia non ha nascondigli, la Storia non passa la mano”.
La Storia siamo noi, ossia, sono loro, quelli che hanno combattuto ottanta anni fa. A partire da gennaio 2021 è stata narrata su queste pagine la partecipazione italiana alla Seconda guerra mondiale in tutto il suo tragico eroismo. È stata la storia di milioni di militari e civili che hanno cercato di vincere una guerra con quello che avevano. Le medaglie d’oro al valor militare (Movm) conferite dal giugno 1940 al settembre 1943 sono 758 e ogni decorazione racchiude una storia, un volto, uno slancio ideale. Dopo di che, e Veneziani e i suoi sodali se ne facciano una ragione, c’è la storia di quei 20mila militari italiani morti combattendo contro i tedeschi con 77 uomini decorati con la Movm. E infine ci sono le resistenze all’estero e in Italia, in prigionia e nel Corpo italiano di liberazione per un totale di 507 insigniti della massima decorazione. Ma non è la decorazione che importa, come saprà chi ha avuto modo di leggere Partigiani cristiani nella Resistenza. La storia ritrovata 1943-1945 scritto con Stefano Contini. Contano le storie delle persone, capire perché uomini e donne si sono giocati la vita in venti mesi di guerra partigiana, metterci al loro posto e chiederci cosa avremmo fatto.
Ed è questa una gran bella domanda alla quale i post-fascisti esitano a rispondere. Perché se i tedeschi avevano ottime ragioni, militari e politiche, per prendere prigionieri i nostri militari nonché per sfruttare l’Italia e trarne il massimo delle risorse disponibili, gli italiani cosa avrebbero dovuto fare? Compiacersi che le proprie famiglie fossero affamate per sostenere il Terzo Reich? Accettare che 700mila militari fossero tenuti in condizioni disumane per spingerli ad arruolarsi nella Repubblica sociale? Acconsentire alla persecuzione contro gli ebrei senza distinzione di sesso e di età? Sia detto con franchezza: voi cosa avreste fatto? E, si badi, non si tratta di essere antifascisti della prima ora. Su 507 decorati con la Movm, 26 avevano partecipato alla guerra d’Etiopia, 15 alla guerra di Spagna dalla parte dei franchisti e ben 298 erano militari che avevano partecipato alla guerra mondiale. Un dato che dovrebbe mandare definitivamente a quel paese la balla per cui la resistenza l’hanno fatta solo gli antifascisti di professione.
Piaccia o meno, in tutta l’Italia vi furono resistenze contro i tedeschi, con gravi sacrifici. A Tarvisio, la sera dell’8 settembre, la guarnigione di 300 uomini della Guardia alla Frontiera sfidò le S.S. in un combattimento feroce durato sei ore. Per tutta la notte i militari italiani si batterono contro una potenza di fuoco superiore mentre la centralinista Luigia Picech manteneva i collegamenti, rimanendo ferita nella battaglia. Alle 9 del mattino, la guarnigione del colonnello Jon aveva esaurito le munizioni con 180 feriti e 25 morti e si arrese ai nazisti.
La resistenza vi fu anche nel Meridione. In Abruzzo, Lanciano insorse fra il 4 e il 6 ottobre quando gli inglesi erano ancora fermi. La rivolta venne spenta e un giovane patriota, Trentino La Barba, venne torturato atrocemente per estorcergli nomi e luoghi della Resistenza. Appeso a un albero per i piedi, La Barba non parlò nemmeno quando il suo boia gli passò la baionetta davanti agli occhi. All’ennesimo rifiuto, il nazista prima cavò gli occhi all’italiano e poi lo sventrò come un animale. Altre bande partigiane si costituirono in Abruzzo come a Bosco Martesa o la Brigata Maiella di Ettore Troilo.
Nel frattempo gli angloamericani sbarcavano a Salerno nella notte del 9 settembre e incontravano una resistenza ferocissima da parte tedesca. Il 10 settembre un contrattacco tedesco mise in crisi la 46esima divisione britannica. Il 13 settembre la 36esima divisione americana venne posta in fuga e sembrò che i tedeschi potessero travolgere la testa di ponte. Solo il fuoco dell’artiglieria navale e di quella campale che sparò ad alzo zero, frantumando i carri tedeschi, poté impedire il disastro. Il 16 settembre i tedeschi iniziarono a ritirarsi verso nord, dopo aver inflitto una serie di dure lezioni agli angloamericani.
Ciò che i tedeschi non prevedevano fu la rivolta della popolazione napoletana, ormai esaurita e disperata ma decisa a sopravvivere. Il terrore nazista ebbe un effetto inverso a quello desiderato. I tedeschi pensavano che applicare la forza e la prepotenza potesse piegare la resistenza umana mentre contribuì solo a scatenarla. La mattina del 27 settembre alcuni tedeschi andarono alla Rinascente a far compere alla loro maniera, rubando quello che trovavano: ma un commesso, questa volta, era preparato ad accoglierli come meritavano, estrasse la pistola e fece fuoco. Altri scontri si verificarono in città e, quella sera, i depositi di armi di Forte Sant’Elmo e di san Giovanni a Carbonara cadevano in mano dei ribelli.
In poche ore, in tutta la città, scoppiarono decine di sparatorie mentre i tedeschi cercavano di soffocarle sparando indiscriminatamente sulla popolazione e scatenando nuove reazioni. Ci si batteva a Bagnoli, in piazza Vanvitelli, a Capodimonte, a Porta Capuana, a Monte Oliveto, al Maschio Angioino. I tedeschi si asserragliarono nel campo sportivo del Vomero con decine di ostaggi senza però poterne uscire. In quei giorni caddero decine di cittadini e, tra gli altri, adolescenti come Mario Menichini, Pasquale Formisano e il piccolo Gennaro Capuozzo di soli undici anni, servente di una mitragliatrice in via Santa Teresa.
Avendo resistito all’assalto tedesco i rivoltosi, pochi e male armati, riuscirono a darsi una parvenza di coordinamento. Il 29 settembre gli insorti erano poco più di mille e i tedeschi dovettero prendere atto che non potevano stroncare la ribellione anche e soprattutto perché gli americani erano ormai alle porte della città. Gli ostaggi del Vomero vennero liberati e la guarnigione tedesca ripiegò con ordine, cannoneggiando spietatamente la città dalle alture di Capodimonte. Al prezzo di 300 morti e centinaia di feriti, Napoli aveva inflitto all’esercito tedesco una lezione che non sarebbe stata dimenticata. Giustamente Battaglia osserva che “il ricordo di Napoli inciderà profondamente sull’atteggiamento dell’esercito nazista in Italia costringendolo a muoversi con cautela nelle grandi città, a esercitare le sue rappresaglie nei luoghi più remoti” (Roberto Battaglia, Storia della Resistenza italiana).
È questo il significato della resistenza italiana che sfugge ancora a così tanti. E vale la pena concludere citando le parole che Pier Paolo Pasolini scrisse nell’agosto del 1945 facendo parlare suo fratello, Guidalberto, assassinato a Porzûs con Francesco De Gregori : “L’Italia non è caduta, ed io non la vedo nemmeno toccata dagli avvenimenti di questi ultimi anni della storia, poiché la sua grandezza è tutta spirituale, e s’innalza al di sopra di tutte le miserie nostre ed altrui. È per questa spirituale grandezza che io sono morto. E a chi si mostri sfiduciato davanti alla miseria della Patria, io dirò che mai in tutta la sua storia, essa ha potuto contare un numero così grande di martiri che la glorificano, come in questi anni che possono sembrare sconfortanti e non lo sono”.
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