L’emigrazione italiana si era formata in Urss in momenti ben distinti ed era, anche dal punto di vista sociale, assai composita. Le origini più antiche erano quelle della comunità italiana di Kerč’, formata da contadini viticoltori e orticoltori e commercianti, per lo più pugliesi, veneti e piemontesi che, a partire dal XIX secolo, si erano a più riprese trasferiti sulle rive del Mar Nero in cerca di terre fertili da coltivare. Questi immigrati si stabilirono nella regione della Crimea, determinando così il carattere prevalentemente agricolo della comunità che andava formandosi.



Una seconda parte era composta da marinai liguri, proprietari di imbarcazioni con le quali trasportavano merci nei porti del Mar di Azov e del Mar Nero, da Taganrog a Odessa, oppure lavoravano su navi russe. A differenza dei contadini, che mantennero quasi tutti la cittadinanza italiana, molti marittimi presero la cittadinanza russa prima e sovietica poi, dal momento che la legge non permetteva agli stranieri di lavorare nella marina, anche mercantile.



Durante la Seconda guerra mondiale, la Crimea fu invasa dai tedeschi nel settembre 1941. Dopo pochi mesi tutta la penisola di Kerč’ venne liberata da reparti dell’Armata Rossa e dai marinai della flotta del Mar Nero. L’occupazione tedesca ebbe conseguenze gravissime per la comunità italiana, accusata di collaborazionismo con i nazisti. Sulla base di un censimento fatto proprio dalle autorità tedesche, tra il 25 e il 29 gennaio 1942 il gruppo operativo dell’Nkvd della Repubblica Autonoma di Crimea dette avvio alla deportazione di tutti gli abitanti di origine italiana da Kerč’ e da altre città della Crimea. Iniziò allora un viaggio di due mesi, per mare e in vagoni merci. Durante questo viaggio, che si sarebbe concluso in Kazakistan, molti morirono.



Così Emilia Barone Ermakova ricorda la deportazione: “Il 29 gennaio 1942 da noi e da tutti gli italiani che vivevano a Kerč’, la mattina presto giunsero gli uomini dell’Nkvd e ci comunicarono che ci trasferivano da Kerč’, ma non ci dissero dove. Ci ordinarono di radunare tutto il necessario in due ore, permettendoci di prendere non più di 8 kg a testa, e di presentarci al punto di raccolta al pensionato del Rybtrest. Poi fummo tutti caricati in camion scoperti e portati ad alcuni chilometri dalla città, al porto. Là ci caricarono nella stiva di un barcone, come un carico qualsiasi, e navigammo nel Mar Nero, ogni miglio del quale era minato. Il barcone era diretto a Novorossijsk. Qui ci sistemarono in una baracca e ci tennero per tre giorni e tre notti. Il quarto giorno ci caricarono in vagoni merci non riscaldati e sotto i bombardamenti ci fecero attraversare il Caucaso fino a Baku. A Baku ci trasferirono nella stiva di un barcone e attraversammo il mar Caspio fino a Krasnovodsk. A Krasnovodsk ci trasferirono alla stazione ferroviaria, dove ci tennero sotto il sole cocente fino a sera. La sera ci caricarono di nuovo su vagoni merci e attraverso tutte le repubbliche dell’Asia Centrale ci portarono a Nord lungo il nuovo ramo ferroviario Kartaly-Akmolinsk. Ed ecco che nella regione di Akmolinsk nelle diverse stazioni cominciarono a staccare un vagone alla volta e a distribuire la gente nei kolchoz”.

La popolazione femminile restò a lavorare nei kolchoz del Kazakistan nelle regioni di Akmolinsk, Karaganda e Atbasar, dove il clima continentale era estremamente rigido per circa la metà dell’anno. Dopo una settimana circa di permanenza venne a tutti quanti ritirato il passaporto e restituito con la scritta “specpereselenec”, cioè “deportato speciale”. Gli uomini vennero inviati al lavoro coatto nel complesso metallurgico di Čeljabinsk, che era in corso di costruzione sotto la direzione dell’Nkvd.

Solo dopo la morte di Stalin i deportati furono liberi di tornare alle loro terre di origine. Alcune famiglie rimasero in Kazakistan, o a Čeljabinsk. Alcune centinaia di persone ritornarono a Kerč’ e in altre città della Crimea.

A Kerč’ attualmente vivono circa 300 persone della comunità italiana ed è stata fondata l’associazione culturale Cerkio, impegnata a salvaguardare la memoria della deportazione.

A più di 70 anni di distanza, i membri della comunità italiana restavano gli unici a non veder riconosciuto il loro status di deportati, a differenza di quanto avvenuto per altre comunità nazionali (tartara, tedesca, greca, armena e bulgara). Solo il 23 aprile 2014 la Russia ha riconosciuto lo status di deportati agli italiani di Crimea.

Sul sito di Memorial Italia sono presenti le videointerviste degli ultimi testimoni italiani della deportazione in Kazakistan e le schede biografiche degli italiani di Kerč’, raccolte nella banca dati (oltre mille schede) delle vittime italiane del Gulag.

Sabato 29 gennaio 2022, alle ore 10, al “Parco in memoria delle vittime italiane nei Gulag”, in via Valsesia a Milano, si svolgerà la cerimonia di commemorazione dell’80° anniversario della deportazione degli italiani di Crimea.
Il pomeriggio, alle ore 17, ci sarà un incontro online, da remoto, per ricordare i nostri connazionali deportati e i discendenti ancora privi della cittadinanza italiana, con Giulio Vignoli, storico, “scopritore” di questa comunità; Giulia Giacchetti Boico, presidente dell’Associazione Cerkio di Kerč (Crimea); Giulia Fabiano, italiana di Crimea; Francesco Pergolo, parente di italiani in Crimea; Francesca Gori di Memorial Italia, Valerija Lovkova, autrice e regista del documentario “Fryazi. La nebbia trasfigurata” (così i russi chiamavano gli italiani di Crimea), 2017; Marco Brando e Lorenzo Bordoni, giornalisti. La commemorazione è promossa dall’Associazione Regionale Pugliesi di Milano.

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