Camminando per le strade del centro di Milano, o anche lungo corso Buenos Aires, capita spesso sentire persone che parlano tra di loro in russo.

In russo, non solo in ucraino. E sono russi. Certo spesso anche gli ucraini parlano in russo, ma con un particolare accento, come quel mio caro amico che quando si sforza di parlare in italiano, si capisce subito che è di Bergamo.



Questi che incontriamo sono proprio russi, russi doc. Sono venuti in Italia con un regolare visto turistico, oppure con un particolare visto “speciale” posseduto da chi dimostra di avere una grande possibilità di risorse da spendere nel nostro Paese da venirci quando vuole.

Se poi a Milano c’è qualche fiera particolare, soprattutto della moda, comincia una “pacifica” invasione di russi, spesso giovani, che al di là delle conseguenze di qualche eccesso di vodka, ci portano tanti euro-rubli.



Loro delle sanzioni se ne fanno un baffo. Magari li ha anche inviati da noi qualche “sanzionato” perché comprassero cose al suo posto. E state certi che nessuno oserebbe contrariare chi li ha mandati.

Certo, direte, dovrebbe essere il loro governo, i loro distretti militari, a limitare questi viaggi. Ma, si sa, questi giovani “eletti” hanno alle spalle quelli che sono i sostenitori, gli “elettori” del regime. Si deve pur fare un piacere a chi ti permette di tenere il potere. E non si creda che anche da parte ucraina siano impossibili certi fatti.

L’altro giorno poi, davanti a quella che noi vecchi milanesi chiamiamo “La Rinascente”, mi è capitato uno strano incontro. Una simpatica giovane coppia di moscoviti si sforzava di chiedere un’informazione in un inglese che rivelava un accento tipico, diverso da quello bergamasco. Superata la sorpresa di un vecchio prete che parlava la loro lingua, che non era il bergamasco, è nata una piacevole conversazione.



“Come vi trovate, adesso, qui in Italia?”.

“Benissimo, come sempre. Il vostro Paese è eccezionale. E Milano, in particolare, offre la possibilità di acquistare cose stupende. Tutto bene, forse a parte un problema”.

“Quale?”.

“Gli immigrati!”.

“Certo, c’è tanta povera gente che viene dall’Africa”.

“No, no, non quegli immigrati. Anche noi ne abbiamo un po’ di questi, soprattutto dall’Afghanistan e dal Tagikistan. Mi riferisco a tutti questi immigrati ucraini che incontriamo per la strada. Non ne avevamo mai visti così tanti negli anni passati”.

“È vero, però dovete sapere che questi ucraini non sono venuti qui per fare compere, ma a causa della guerra”.

“Guerra? Ah, quella che qui chiamate guerra, in verità è stata un’operazione speciale necessaria per difendere i nostri nel Donbass e di Lugansk”.

“Ma se la vedete così, perché voi siete qui e non state partecipando all’operazione speciale?”.

“Noi siamo qui perché a nostro modo partecipiamo all’operazione speciale. A causa delle sanzioni certi prodotti occidentali non si trovano più a Mosca, e noi siamo venuti qui a rifornirci”.

“E io che per la guerra, o qualunque altra cosa sia, pensavo che servissero armi e munizioni. Chi si immaginava che erano necessari Gucci, Armani e Valentino? Bisogna proprio dirlo agli ucraini: non chiedeteci più armi e carri armati, chiedeteci capi firmati, e indossandoli provocherete la resa dei nemici”.

A questo punto la conversazione si è conclusa, un po’ bruscamente. Forse anche il moscovita ha cominciato a capire di non aver trovato solo un buon interprete, ma forse una spia del nemico.

Spasiba e dasvidanja” e via per un altro negozio.

“Ma di cosa avete parlato, padre?” ha chiesto una vecchietta, che aveva seguito il discorso, senza naturalmente capire niente.

“Niente, niente, signora, non si preoccupi. Finché c’è la moda, la nostra moda, c’è speranza”.

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