Il cardinale… era tutto sommato un buon cardinale. Non aveva fatto molto per diventarlo. Certo: famiglia di ottima tradizione cristiana, studi eccellenti con relativo dottorato a Roma.
Naturalmente il primo incarico dopo l’ordinazione era stato quello di insegnante in seminario. Naturalmente, all’inizio, all’ombra di quel maestro che in fondo già in partenza l’aveva scelto come discepolo.
Era anche un prete che non trascurava quella che in seminario chiamavano vita di pietà. In più ogni sabato e domenica si buttava nell’esperienza di vita pastorale di una cittadina di provincia dove le sue omelie erano molto apprezzate perché parlava bene, proprio bene, anche se non proprio tutti i termini che usava erano del tutto comprensibili.
Di vacanze non ne faceva, o meglio, le usava per lo più per studiare preferibilmente all’estero. Si sa, bisogna sempre essere aggiornati e praticare bene anche qualche lingua straniera poteva essere molto utile.
Un anno era stato anche in Africa, d’estate, per studiare la missione e i missionari. Anzi, li aveva anche un po’ aiutati tenendo loro un breve corso di aggiornamento.
Il resto, si sa, era venuto da sé. Pubblicazioni poche, e lette da pochi, ma conferenze molte e ritiri, esercizi spirituali, eccetera.
Eppure, giunto al vertice della carriera (almeno così pensa la gente), era evidente che qualcosa gli mancava ancora.
Sappiamo che tutti gli uomini desiderano l’infinito e per questo, a volte, rimangono un po’ saggiamente tristi, ma lui voleva qualcosa prima dell’infinito che lo aiutasse a vedere in un modo più concreto questo infinito. Se è vero che Gesù aveva promesso il centuplo e poi la vita eterna, a lui mancava il centuplo. Era intellettualmente onesto e doveva ammettere con se stesso che le cento cose, per lo più buone, che aveva avuto e fatto non erano tutto il centuplo.
Poi un giorno era scoppiata la guerra, una delle tante guerre, ma un po’ più vicina delle altre.
Più vicina anche perché come vicini erano arrivati dall’Ucraina alcune donne con bambini e anche un gruppo di disabili accompagnati da volontari, anche loro rifugiati.
Aveva provato a parlare con loro quando era andato a trovarli in alcuni locali della Curia che aveva loro concesso.
Aveva detto loro sincere parole di conforto, tra le più semplici che aveva trovato, anche perché c’era stato il problema della traduzione, ma poi era successo qualcosa di assolutamente imprevedibile. Una bimba, piccola di 5 o 6 anni, piangendo, gli aveva chiesto perché era morto in un bombardamento il suo cagnolino.
All’inizio gli era sembrata una domanda persino inopportuna di fronte al dolore atroce della guerra. Ma come si fa a non rispondere a una bambina che piange in questo modo? Dopo aver cercato inutilmente la risposta in quegli studi che riguardavano il rapporto di san Francesco, e di altri santi, con gli animali, gli era improvvisamente venuta una strana idea.
Un’altra bambina, italiana, il giorno prima gli aveva regalato un uovo di Pasqua di cioccolato con attaccato un piccolo cagnolino di peluche.
Quanto mai l’avesse fatto! La bimba ucraina aveva ben capito che quella non era la risposta alla sua domanda, ma il cioccolato le era piaciuto e il peluche era proprio simpatico.
E da quel momento il povero cardinale era stato investito da un’infinità di domande per le cui risposte non sarebbero stati sufficienti tutti i peluche del mondo. Tanti peluche, cento e passa peluche erano forse il centuplo che cercava? Per quella bambina forse sì.
E da quel giorno spesso lui va a trovare quella bambina, ad ascoltare le sue domande, anche a correggerle, se è il caso, perché il centuplo non è il duocentuplo, ma poco a poco la distanza infinita con l’infinito non è più così infinita. “Se non diventerete come bambini…”.
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