Tanja, al momento della fuga da Kharkiv, dopo l’inizio della guerra, era scappata con la sua bambina Julia. Con loro c’erano anche altre donne e bambini, tra cui la piccola Katarina, compagna di scuola di Julia. Poi, arrivate in Polonia, erano state accolte da diverse organizzazioni umanitarie e Tanja, con la piccola, erano finite in Olanda, in un villaggio vicino, ma non troppo, alla città di Rotterdam.
Giunte in città, dopo un lungo ed estenuante viaggio, l’organizzazione le aveva fatte accompagnare da un taxi fino alla casa della famiglia che le avrebbe ospitate.
In casa trovarono Paul e Ursula, che le accolsero con molto calore. All’interno faceva molto caldo, anche se questo non spiegava completamente perché Paul ed Ursula fossero completamente nudi. Tanja, dopo un istintivo, quanto inutile, tentativo di coprire gli occhi della bimba fu informata, in inglese, che per fortuna conosceva discretamente, che erano capitate in una famiglia di naturisti, ecologisti e amanti della campagna. Julia, che fino ad allora le uniche persone, si fa per dire, nude, a parte lei stessa quando faceva il bagno, erano state le galline che nonna Ljuba spennava prima di mettere a bollire, rimase un po’ scioccata.
La cosa si dovette ripetere poi alla sera, a cena. Le ucraine, dopo giorni passati a nutrirsi a biscotti e panini, avevano sognato non dico i “pelmeni”, ma almeno una bistecca, o un hamburger.
E no, care! Quella famiglia si annunciò come strettamente vegana, generosa nell’offrire cibi che nonna Ljuba, forse, avrebbe riservato alle galline di cui sopra. Comunque, meglio di niente. E questo silenzio irreale del villaggio, interrotto solo dall’abbaiare dei molti cani presenti nel giardino della casa, era certo meglio del fragore delle bombe.
La mattina presto, anzi, prestissimo, si trattò di cominciare l’esperienza della scuola. Perché la scuola era alla periferia della città, e si sarebbe potuti andare anche in autobus. Ma volete che persone ecologicamente perfette si servissero di un mezzo ecologicamente degenerato, a motore? Meglio prendere una sana bicicletta e partire di buona lena per la scuola, che distava solo 15 chilometri.
Quindici chilometri sono certo meno della Parigi-Roubaix, ma Julia, alla quale fino a quel momento era sempre piaciuto girare in bici per il parco di Kharkiv, non aveva mai pedalato così tanto. E poi quel cavalcavia a due chilometri dalla scuola le sembrò come una specie di Mont Ventoux. La scuola le apparve quasi normale. Quasi; non c’erano i banchi. I bambini se ne stavano seduti, alcuni stravaccati per terra come la maestra. Per le prime due ore ci fu lezione di iniziative libere. Insomma, ciascuno faceva più o meno quello che voleva. Ci fu persino uno che, così sembrò a Julia di capire, propose una gita in bicicletta. Per fortuna, quando Julia, disperata, aveva già pensato di sgonfiare le gomme di tutti, capì che gli altri non erano d’accordo.
Dopo altre due ore comparvero finalmente i banchi, o meglio, i bambini furono portati in un locale che assomigliava di più a quella che era la sua aula di Kharkiv. Ci furono altre due ore, questa volta di matematica, una materia abbastanza comprensibile anche per chi non sa l’olandese. Poi due ore di disegno, poi due ore di inglese in olandese, poi altro, altro fino alle cinque del pomeriggio. E il pranzo? Quel giorno era ridotto a pochi biscotti per solidarietà con i poveri bambini affamati.
Dopo le 17 si tornava finalmente liberi. Liberi di riprendere la bici, di ri-scalare il Mont Ventoux e di ritornare dai nudisti, ecologisti, vegani.
“Mamma, se è così ogni giorno, sei sicura che siamo scappate dalla parte giusta?”
Per Natale, quello degli Occidentali, finalmente ci sono le vacanze. Così Tanja, che nel frattempo aveva trovato un lavoro da cameriera, lei che era ingegnere elettronico alla Centrale di Kharkiv, poté andare con Julia in Italia, a Milano, a trovare Katarina e sua mamma Natasha, non in bicicletta ma con uno strano bus verde, che costa poco, anche se si ferma ogni dieci chilometri.
L’accoglienza era stata commovente. Le bimbe poterono giocare in una camera riservata loro per due giorni e due notti fino allo sfinimento. Per il mangiare non ci fu alcun problema perché Natasha cucinava benissimo, soprattutto quella strana cosa italiana che si chiama “carbonara”, una roba che quei vegani di Rotterdam neanche si potevano immaginare! Poi in gita a Leolandia, poi ancora in gita persino a Venezia, una città con tanta acqua come in Olanda, magari non molto pulita, come in Olanda, ma messa giù bene con dei palazzi bellissimi. Unico momento brutto, molto brutto, fu l’ultimo dell’anno, quando gli italiani festeggiano sparando botti tremendi, che alle piccole ucraine avevano ricordato il bombardamento di quelle che erano le loro case.
Purtroppo la vacanza finì e si dovette tornare in Olanda. Lì c’era però una novità. Mamma Tanja aveva ottenuto il trasferimento in un’altra famiglia, vicino alla scuola e anche al ristorante dove lavorava. La famiglia ospitante sembrava più normale. Le persone giravano vestite, c’erano anche due piccoli bambini. La stranezza era che non si vedevano papà, in compenso c’erano due mamme.
Julia chiese alla mamma: “Sei sicura che l’Italia e l’Olanda facciano parte della stessa Europa? Comunque, Katarina qui non ce la inviterò mai!”.
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